Indigeni Amazzonia: la minaccia che viene dall’attività mineraria

Tra il 2000 e il 2015 la distruzione delle foreste nelle terre dei popoli indigeni ha colpito più duro dove erano presenti le miniere. E oggi l'aumento del prezzo dell'oro legato all'emergenza coronavirus scatena nuovo sfruttamento in America Latina

L’attività mineraria nel bacino amazzonico minaccia centinaia di comunità indigene e le loro terre ancestrali, distruggendo non solo la preziosa foresta pluviale, ma mettendo a rischio la sopravvivenza stessa di questi popoli.

La denuncia è contenuta nel report  “Minando i diritti” pubblicato dal World resource Institute, che parla di livelli di distruzione senza precedenti causati dall’attività mineraria, legale e illegale, nelle terre indigene dell’Amazzonia.

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Foto: FZS Peru La Pampa Madre de Dios (dal report Undermining Rights)

Le mani dell’estrattivismo sulle terre degli indigeni dell’Amazzonia

Secondo quanto evidenzia il documento, le concessioni minerarie assicurate dai diversi Paesi amazzonici coprono approssimativamente 1,28 milioni di chilometri quadrati, pari al 18% della superficie della foresta amazzonica. Poco meno di un terzo di queste concessioni – circa 450 mila chilometri – si estende nei territori appartenenti ai popoli indigeni, occupando una superficie pari al 20% del totale.

L’analisi dei dati geo-spaziali effettuata dai ricercatori ha permesso di evidenziare come, tra il 2000 e il 2015, la perdita di aree coperte da foreste sia stata maggiore nelle terre indigene in cui era presente attività mineraria, rispetto a quelle in cui non erano attive miniere.

In Bolivia, Ecuador e Perù, ad esempio, la perdita di foreste è stata almeno tre volte maggiore nei territori indigeni in cui erano presenti attività minerarie rispetto a quelle dove non c’erano miniere. Inoltre, denuncia il rapporto, le attività minerarie contribuiscono all’inquinamento di almeno 30 fiumi del bacino amazzonico e mettono a rischio la capacità delle comunità indigene di prevenire la deforestazione.

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Foto: Amazonía Puno, Madre de Dios (dal report Undermining Rights)

Oggi l’Amazzonia è un forziere di ricchezze

L’area amazzonica accoglie un bacino inestimabile di popoli, ricchezze e biodiversità. In quest’area  vivono 44,9 milioni di persone, tra cui 1,5 milioni di indigeni appartenenti a 385 gruppi etnici diversi.

«L’attività mineraria ha, per sua natura, un impatto distruttivo sull’ambiente e porta con sé conseguenze sociali e sanitarie. Le attività minerarie all’interno delle terre indigene o nelle aree limitrofe possono portare a conflitti, soprattutto tra i minatori e le popolazioni indigene, che dipendono dalle loro terre per la propria sussistenza», si legge nel documento.

Ad alimentare i conflitti è la straordinaria ricchezza mineraria dell’Amazzonia, dove si trovano alcuni tra i più abbondanti giacimenti a livello mondiale di rame, stagno, nichel, minerale di ferro, bauxite, manganese e oro.

Per decenni, tutti i Paesi dell’area hanno promosso e sostenuto lo sfruttamento e l’esportazione di questi minerali. Negli ultimi anni, tuttavia, i governi hanno puntato sull’industria mineraria come componente chiave delle loro strategie nazionali di “sviluppo” e hanno fornito cospicui incentivi per promuovere investimenti. Di conseguenza, il “peso” delle attività estrattive sul prodotto interno lordo (Pil) è aumentato in diversi Paesi dell’Amazzonia.

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Foto: Leandro Neumann Ciuffo (dal report Undermining Rights)

Indigeni Amazzonia, quando la legge non basta

«Tutti i Paesi del bacino amazzonico garantiscono alcune forme di protezione alle comunità indigene. Ma queste sono spesso deboli o non implementate», ha commentato Patricia Quijano Vallejos, tra gli autori del rapporto. In nessuno di questi Paesi viene garantita alle popolazioni indigene la protezione legale di cui hanno bisogno per assicurare la sicurezza delle proprie terre e occuparsi del proprio sviluppo.

Solo la Guyana riconosce il diritto a un consenso libero e informato per i popoli indigeni prima dell’avvio delle attività minerarie e solo la Colombia assicura ai popoli indigeni il diritto di rifiutare la concessione all’apertura di una nuova miniera da parte del governo.

«Tuttavia, le compagnie minerarie hanno spesso il diritto di entrare e di utilizzare la terra indigena per le loro operazioni», scrive il presidente del World resources Institute, Andrew Steer, nella prefazione del rapporto.

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Indigeni dell’Amazzonia, coronavirus e prezzo dell’oro

Uno dei fenomeni denunciati dal rapporto è l’aumento delle miniere artigianali. «L’attività mineraria illegale nel bacino amazzonico, soprattutto quella di piccola scala, è in corso da decenni. Ma è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni», denuncia il documento, che calcola in circa 50 mila il numero dei minatori “di piccola scala” attivi nella regione. Secondo il rapporto, nel 2016 il 28% dell’oro prodotto in Perù, il 30% in Bolivia, il 77% in Ecuador, l’80% in Colombia e fino al 90% in Venezuela veniva estratto illegalmente.

Il principale fattore che ha portato all’aumento delle attività minerarie nel bacino amazzonico è l’aumento costante del prezzo dell’oro sui mercati internazionali. Un aumento in corso da anni, ma che a causa dell’emergenza sanitaria globale ha spinto sempre più investitori a trovare rifugio in un bene sicuro. Il prezzo dell’oro ha registrato un aumento del 27% nel 2020, toccando la cifra record di 2.100 dollari l’oncia ad agosto.

«L’aumento dei prezzi ha fatto crescere la domanda, scatenando una nuova corsa all’oro nel bacino amazzonico e implicazioni per le popolazioni locali e l’ambiente. L’aumento dei prezzi, unito al ritiro di polizia ed esercito dalle aree minerarie per garantire il lockdown nelle città e gestire la crisi sanitaria, ha permesso ai minatori illegali di aumentare le proprie attività».

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