Dislessia a scuola: i diritti dei bambini a 10 anni dalla legge

La legge 170 del 2010 compie 10 anni: ecco qual è la situazione negli istituti scolastici con cui hanno a che fare tutti i giorni i bambini con dilessia, disortografia, disgrafia e discalculia

L’8 ottobre 2020 l’approvazione della legge n. 170/10 ha compiuto 10 anni. Si tratta della legge sulla dislessia e sugli altri disturbi specifici di apprendimento (Dsa) che possono essere diagnosticati prevalentemente in età scolare.

La legge ha rivisto il tema della dislessia a scuola e secondo Antonella Trentin, vice presidente nazionale dell’Associazione nazionale dislessia, «ha portato un cambiamento radicale nella scuola, a tutela dei ragazzi con Dsa e del loro diritto allo studio».  

Eppure, l’iter che porta alla diagnosi non è semplice per tutti e, nonostante la legge, non mancano le segnalazioni di casi difficili di ragazzi vittime di discriminazione perché non riescono a scrivere in corsivo, bambini rifiutati dagli stessi compagni, studenti cui viene negato l’uso di strumenti compensativi, come il semplice computer, anche agli esami.

L’8 ottobre era la Giornata mondiale della dislessia, che si celebra in Italia all’interno della Settimana Nazionale, dal 5 all’11 ottobre 2020, con diversi appuntamenti online, tra cui, il 10  ottobre, il convegno nazionale “10 Anni dalla Legge 170/2010: tra luci, ombre e prospettive future”.

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Foto: shangarey (via Freepik)

Cosa dice la legge 170/2010 sulla dislessia

È nel comma 1 della legge n. 170 dell’8 ottobre 2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” che si definisce il diritto dello studente con diagnosi Dsa di «fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari».

Il fulcro della legge è infatti il Pdp, ovvero il Piano didattico personalizzato. Un piano didattico deciso appositamente per lo studente in base alla sua certificazione di Dsa, specifico per ogni materia, usando una valutazione formativa che non tenga conto degli errori e della lentezza di esecuzione causati dal disturbo specifico di apprendimento.

Tra questi disturbi, la  dislessia, che riguarda l’area della lettura, è forse la più nota, ma si parla anche di disortografia, disgrafia, discalculia, che indicano difficoltà nella capacità di scrivere e calcolare in modo corretto.

Non si tratta di patologie neurologiche, ma ciononostante un ragazzo con Dsa può incontrare diverse difficoltà nella vita di tutti i giorni e soprattutto nelle fasi di apprendimento scolastico.

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Foto: via Pixabay

Legge dislessia tra scuola e diagnosi

Tutto parte con la diagnosi del disturbo, che deve essere convalidata dall’Asl (azienda sanitaria locale) di riferimento. «Presso le Asl di molte regioni ci sono liste di attesa per la certificazione che arrivano fino a un anno e mezzo. Quali effetti può avere un tempo così lungo su un ragazzo?», spiega a Osservatorio Diritti Antonella Trentin.

«La legge dice che la scuola deve adottare misure per i bambini dislessici anche in attesa della diagnosi, ma capita che questo non avvenga se l’istituto scolastico non è particolarmente sensibile. E a fare le spese di questi lunghi ritardi sono soprattutto le famiglie meno abbienti, che non possono permettersi di rivolgersi a specialisti privati o alle strutture pubbliche intramoenia con parcelle che in molti casi sono elevate. Senza contare che le diagnosi dei privati, se non accreditati in base alle singole leggi regionali, devono poi essere convalidate dalle Asl di riferimento per essere accettate definitivamente dalla scuola, che comunque da subito è tenuta a fare un Pdp per bisogni educativi speciali. Per questo è necessario garantire certificazioni diagnostiche rapide e un servizio sanitario nazionale efficiente», sottolinea Trentin.

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I dati su dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia

Secondo gli ultimi i dati del ministero dell’Istruzione, che si riferiscono all’anno scolastico 2017-2018, le certificazioni Dsa in Italia – relative a dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia – sono state 276.109, ovvero il 3,2% della popolazione scolastica.

I dati mostrano una differenza consistente tra le regioni del Nord (4,8%) e del centro (3,9%) e quelle del Sud, ferme all’1,4%, a denunciare un numero consistente di mancate certificazioni nel Mezzogiorno.

A livello regionale si può semplificare: il caso Piemonte

«Secondo un accordo Stato-Regioni, qualora le Asl non garantiscono una diagnosi nell’arco di sei mesi si devono trovare soluzioni diverse. Per esempio dal 2014 la Regione Piemonte ha permesso alle scuole di accorciare i tempi della certificazione attraverso un’attenta osservazione delle difficoltà dello studente da parte  dei docenti, brevi attività di potenziamento didattico e, se persistono le difficoltà, la compilazione e la consegna alla famiglia di un allegato sulle varie criticità da portare all’Asl di competenza per verificarne le cause. Una soluzione che però è stata adottata soltanto in poche altre regioni», spiega Viviana Rossi, ex dirigente scolastica e formatrice scuola dell’Associazione italiana dislessia.

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Foto: via Pixabay

Il ruolo della scuola previsto dalla legge 170/2010

«La legge 170 e le linee guida successive sono molto esaustive sul ruolo della scuola», spiega Viviana Rossi. «Riconosce a bambini e ragazzi con Dsa il diritto di utilizzare strumenti compensativi e misure dispensative a supporto del loro apprendimento durante tutto l’anno, di essere valutati per i loro progressi, prima che per i risultati. Offre, più in generale, spunti sui metodi e strategie di apprendimento validi, in un’ottica inclusiva, per tutti i ragazzi ribadendo per esempio l’obbligo da parte della scuola di personalizzare il loro percorso didattico in base alle loro diverse esigenze. E questo, secondo la legge 53 del 2003, non riguarderebbe soltanto gli studenti con Dsa. Per fortuna, oggi si stanno sempre più diffondendo nelle scuole strategie di didattica inclusiva, che, quando vengono applicate, danno risultati positivi per tutti», spiega Viviana Rossi

Dislessia e a apprendimento: attenzione alle emozioni

Al contrario, i danni provocati a scuola da comportamenti poco sensibili possono essere pesanti.  «Tra i casi che sono stati segnalati all’help-line della sede centrale dell’Aid a Bologna, c’è quello di un bambino di 9 anni disgrafico, disortografico e dislessico. Il bambino, che scriveva solo in stampatello, si è ritrovato sul compito un commento del suo insegnante che diceva che non gli avrebbe più corretto i compiti fino a quando non fossero stati scritti in corsivo. L’effetto di un commento del genere è stato devastante sul bambino, che ha provato a scrivere in corsivo, ma  con grande difficoltà e lentezza, diventando sempre più nervoso tanto che nel dopo-scuola ha addirittura mangiato una gomma per esprimere il suo disagio. Ricordiamo che nessuna legge prevede che i bambini a scuola debbano scrivere in stampatello o in corsivo e, soprattutto, che le neuroscienze hanno dimostrato che emozioni e apprendimento sono collegati e quindi un’esperienza  del genere legherà per sempre il bambino a una sensazione negativa associata all’apprendimento». spiega Viviana Rossi.

Insegnanti, presidi, Tar: a chi rivolgersi per far rispettare i diritti dei bambini

«In questi casi le famiglie possono segnalare la situazione, oltre che alla nostra associazione che darà loro tutto il supporto possibile, in primo luogo all’insegnante che non rispetta il Pdp per cercare una soluzione, poi al referente per i Dsa e i Bes (Bisogni educativi speciali, ndr) della scuola, infine al dirigente scolastico. Se questi tentativi fallissero, è importante chiedere un intervento dell’Ufficio scolastico regionale che cercherà una mediazione con la scuola. L’ultima spiaggia è rivolgersi a un legale per un ricorso al Tar. In ogni caso c’è da sperare che in futuro le scuole che non rispettano la legge subiscano controlli e ispezioni severe molto di più di quanto non avvenga oggi. Questa forse è ancora l’unica vera lacuna della legge», conclude Antonella Trentin.

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