Because of my body: un film sul diritto alla sessualità delle persone disabili
Un documentario che rompe tabù e preconcetti sul bisogno di sessualità delle persone con disabilità: attraverso la storia di Claudia e del suo "lovegiver", Marco, il regista Francesco Cannavà ci porta alla scoperta di un mondo di cui, purtroppo, si ha ancora paura di parlare
«Il vero ostacolo alla sessualità nel mondo dei disabili è la cultura in cui viviamo. Cresciamo con il culto del corpo perfetto, del calciatore o della modella. Se esci da questi canoni non sei appetibile, non puoi integrarti e avere una vita normale», spiega Max Ulivieri, presidente dell’associazione Love Giver, che dal 2013 forma educatori all’affettività e sessualità per le persone disabili.
È di questo tema, il diritto alla sessualità delle persone con disabilità, che si occupa Because of my body, il documento di Francesco Cannavà vincitore del premio del pubblico per la sezione documentari all’ultimo Ortigia Film Festival, andato in scena lo scorso agosto.
Un docufilm che ha come protagonista Claudia, una giovane donna affetta da spina bifida e con il desiderio di scoprire la sua sessualità.
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Because of my body: disabilità e diritto alla sessualità
Because of my body si apre con gli occhi chiusi di un uomo, una voce fuori campo che ne indirizza i pensieri verso le parti erotiche del corpo e il rumore di un respiro. Segue il risveglio di Claudia, fin da subito raccontata con la sua disabilità, perché svegliata e aiutata a scendere dal letto dalla madre.
Claudia si presenta con il suo corpo, semi nuda, capelli blu. Una ragazza di vent’anni che vive con i genitori in un paesino abruzzese. Non ha sensibilità nella parte inferiore del corpo e per muoversi usa tutori, bastoni e appoggi sulla madre.
Claudia però cerca di conoscersi e vuole conoscere i suoi desideri sessuali, a un’età in cui spesso si esce la sera, si balla e si vivono i sentimenti in maniera autonoma.
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La trama di Because of my body: un ciclo di incontri
Il documentario di Francesco Cannavà segue un percorso di otto incontri che inizia a casa di Claudia, in inverno. I preparativi al primo incontro con Marco vengono inquadrati dal bagno al trucco degli occhi, pesantemente nascosti sotto una matita nera che li ricopre fin troppo. Man mano che la ragazza si conosce e conosce Marco la telecamera abbandona i particolari del corpo e si ferma sulle parole che vengono dette, con inquadrature fisse che attendono di raccogliere i sentimenti di Claudia e le istruzioni di Marco.
«Ho inserito il corpo e la storia di Claudia nel ciclo naturale delle stagioni. L’inizio è l’inverno, un albero spoglio che aspetta di nascere e cresce pian piano, come sono i cicli della vita. Marco è la società, una società che dovrebbe prendere tempo per accorgersi degli altri e aiutarli a crescere», racconta a Osservatorio Diritti il regista Francesco Cannavà.
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Love giver: l’assistente sessuale in Italia, Germania e Svizzera
In paesi come Germania e Svizzera, per esempio, la legislazione tutela la figura dell’assistente sessuale, che spesso è un operatore sociosanitario formato per diventare educatore all’affettività.
In Italia, invece, c’è un vuoto normativo. Una mancata decisione legislativa che sottolinea la difficoltà di affrontare il tabù del sesso regolamentato e legale.
«Quando un disabile ci richiede un assistente non possiamo rispondergli che glielo mandiamo subito, perché commetteremmo reato, favoreggiamento alla prostituzione», dice Max Uliveri in uno degli incontri mostrati nel documentario.
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Chi sono i lovegiver
E allora chi è che si mette in gioco per aiutare ad amarsi e ad amare? «Perché lo fai, perché sei diventato lovegiver?», domanda a metà documentario Claudia a Marco. Lui risponde con poche parole: «Lavoro da anni con i disabili, mi sono accorto di questa loro necessità e ho deciso di aiutarli».
Ma la formazione di Marco non è nata dentro le aule universitarie o in master dedicati. «Nei corsi per diventare operatore sanitario non si parla mai della sessualità degli assistiti, come se non l’avessero», ride Ulivieri. Persone quindi formate per assistere al bisogno del corpo, ma non al desiderio e all’affetto.
L’ottavo incontro del film di Francesco Cannavà
I due protagonisti vengono ripresi sempre di spalle mentre si educano, Claudia viene ripresa spesso nuda utilizzando camere fisse comandate da telecomandi posti all’esterno della stanza. Solo durante l’ultimo incontro, l’ottavo, Claudia e Marco sono ripresi di fronte, come se lo spettatore ormai avesse tutti gli elementi per conoscerli totalmente.
«Abbiamo girato tra dicembre 2017 e maggio 2019. Ho lasciato che il set parlasse, che le azioni succedessero senza troppe costrizioni», commenta il regista. La telecamera ha ripreso errori di Marco e lacrime di Claudia, fino allo sbocciare del mandorlo a fine primavera.
Un documentario educativo per la società
Il tema del prendersi cura di sé stessi è fondamentale per Cannavà. «Ho scritto questo lavoro a seguito di un mio periodo di depressione che ha portato a una disabilità temporanea sessuale. Per capire cosa mi stesse succedendo ho cercato dentro di me, ho provato a capirmi e capire sé stessi serve per venirne a capo».
Un documentario quindi dedicato a tutti, perché la disabilità fisica è di tutti, «la storia di Claudia può essere la storia di ciascuno di noi. Dobbiamo trasformare questa società in una comunità che sappia integrare, assorbire ciascuno», conclude il regista. Che dedica il lavoro ad Alessandra, una sua amica disabile che gli ha aperto gli occhi sul mondo della disabilità fisica e che lui porta nel cuore, ora lei che non c’è più.