Cambiamenti climatici in Africa: problemi ambientali e sociali devastanti
Anche se l'Africa contribuisce solo in minima parte ai cambiamenti climatici, ne sta subendo pesantemente gli impatti ambientali, sociali e sul patrimonio artistico e culturale. Una situazione, peraltro, che favorisce la crescita delle organizzazioni terroristiche
La questione del riscaldamento globale e la denuncia delle conseguenze dettate da una negligenza nei confronti dell’ambiente trovano sempre più spazio nel dibattito internazionale. Leggendo lo studio condotto dai ricercatori di Multidisciplinary Digital Publishing Institute (Mdpi), però, emerge che solo l’1% della ricerca sugli impatti del cambiamento climatico interessa l’Africa.
Eppure il cambiamento climatico ha già provocato perdite e danni all’ambiente, alle popolazioni e al patrimonio africano. L’Africa è uno dei luoghi in cui i danni generati dalla crisi ambientale, a causa anche di una situazione di fragilità economica e mancanza di politiche mirate a prevenire o contenere gli effetti del problema, sono e saranno maggiormente devastanti sotto diversi punti di vista: quello ambientale, quello sociale e quello della conservazione del patrimonio artistico, culturale e naturale del continente.
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Il patrimonio vittima dei cambiamenti climatici in Africa
Il patrimonio delle ricchezze naturali e culturali del continente è minacciato e la sua distruzione è già iniziata, come dimostra un’inchiesta pubblicata dalla rivista Quartz. Per rendersi conto dei danni che l’erosione costiera e l’innalzamento del livello del mare stanno provocando in Africa basti sapere che alcuni siti archeologici e alcune aree naturali protette hanno già subito perdite irreparabili.
La città romana di Sabratha, sulla costa della Libia, e le fortezze coloniali lungo la costa del Ghana stanno scivolando nel mare e rischiano di franare e andare perdute per sempre se non saranno prese misure concrete nel breve termine. E non sono gli unici scempi che si registrano.
L’isola Ibo, nell’arcipelago delle Quirimbas, nel Mozambico settentrionale, le isole Shanga e Pate in Kenya, Pemba e le rovine di Kaole in Tanzania, Mahilaka in Madagascar e Suakin in Sudan, sono tutti luoghi unici che però hanno i giorni contati dal momento che l’innalzamento del livello del mare e la violenza dell’erosione provocata dall’acqua salmastra stanno distruggendo lentamente questi luoghi secolari e di straordinaria bellezza.
L’emergenza climatica in Africa colpisce città storiche e siti naturali
La città di Djenné, in Mali, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, sul delta del Niger, sta subendo quotidianamente danni a causa del cambiamento climatico e i siti di arte rupestre nel Golden Gate Highlands National Park in Sudafrica sono sotto attacco di un degrado biologico costante e aggressivo a causa dell’aumento dell’umidità.
Ma anche i siti naturali sono costantemente sotto minaccia dell’innalzamento del livello del mare. Le foreste della Guinea, sono in gran parte scomparse, a causa dell’erosione costiera e quanto sta avvenendo lungo le coste atlantiche, entro il 2050, si verificherà anche in Gambia, Nigeria, Togo, Bénin, Congo, Tunisia, Tanzania (compresa Zanzibar) e Comore.
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Guerra, terrorismo e cambiamenti climatici in Africa
Nel continente africano il cambiamento climatico è anche la causa di conflitti e dell’espansione di formazioni legate al terrorismo in differenti aree. Per capire come mai il surriscaldamento globale stia favorendo l’insorgenza di gruppi armati soprattutto di matrice islamista occorre prendere in analisi il caso più eclatante, ovvero il Sahel.
La regione è sotto scacco della desertificazione e le milizie legate all’Isis e ad Al Qaeda stanno guadagnando terreno e anche consenso tra la popolazione. Burkina Faso, Mali e Niger, Paesi dove gran parte della popolazione vive grazie all’agricoltura, sono divenuti oggi la frontiera dell’espansionismo jihadista.
Le colonne motorizzate degli irregolari salafiti stanno minacciando sempre più la popolazione e, soprattutto nelle regioni settentrionali attraversate dal deserto del Sahara, le truppe regolari faticano ad avanzare e lo stato è oggi praticamente assente.
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Burkina Faso tra mancanza d’acqua, profughi e terrorismo
Il Burkina Faso, il Paese di Sankara, è divenuto l’epicentro della crisi saheliana. Al momento si registrano oltre un milione di profughi e il cambiamento climatico ha contribuito notevolmente all’esacerbarsi della crisi.
L’avanzata del deserto, l’assenza di acqua potabile e la scomparsa di gran parte delle terre coltivabili è stata strumentalizzata dai terroristi, che si sono infiltrati all’interno della crisi umanitaria.
Le bandiere nere hanno infatti allargato le proprie fila arruolando i pastori peul. Un popolo di nomadi che, a causa dell’assenza di terre e della moria del bestiame, ha deciso di abbracciare l’estremismo islamico perchè attratto dalla promessa di nuovi terreni (ma è anche stato vittima di gravi soprusi, come descritto nell’articolo Terrorismo nel Sahel: abusi delle forze armate contro i civili). In Burkina Faso, Mali e Niger, si è generato quindi un conflitto per la terra che ha assunto però i connotati di una guerra etnica e religiosa.
Emergenza climatica in Africa alleata di Boko Haram
Un fenomeno già registrato nel bacino del lago Ciad, dove Boko Haram ha creato un proprio Califfato approfittando dell’assenza di infrastrutture, servizi basici e del fatto che la desertificazione e la mancanza di terre e pesci ha condannato alla miseria più assoluta centinaia di migliaia di persone (leggi Crisi umanitarie: ecco i dieci paesi a maggior rischio nel mondo).
Facendo leva sulla fame e la disperazione dei popoli che abitano l’area lacustre, i ribelli nigeriani hanno instaurato un proprio fortilizio dove, grazie ai proventi della lotta terroristica riescono a fornire i servizi basici e ad attirare a sé ampie fette della popolazione, tanto che in un’inchiesta pubblicata su Jeune Afrique diverse persone intervistate hanno dichiarato che è possibile vivere e lavorare nelle zone occupate da Boko Haram.
Catastrofi ambientali senza precedenti: locuste e inondazioni
Oltre ai problemi legati alla perdita del patrimonio naturale e artistico e all’insorgere di conflitti, la crisi climatica sta stravolgendo l’ecosistema dei paesi africani, tanto che negli ultimi mesi si è assistito a due eventi di portata epocale: un’invasione di cavallette senza precedenti e inondazioni e piogge torrenziali anche in regioni estremamente aride che hanno provocato danni e centinaia di vittime.
A causa dell’invasione di locuste quasi 200 miliardi di esemplari hanno invaso e devastato le coltivazioni di Kenya, Etiopia, Somalia e si sono spinte sino in Yemen, India e Pakistan. Distruzione delle colture e danni inquantificabili all’agricoltura: è questo il bilancio finale del passaggio degli insetti.
Stando a quanto riportato dall’agenzia scientifica nazionale australiana Csiro, questo fenomeno è estremamente legato al cambiamento climatico perchè è dovuto alla differenza di temperature tra le due sponde dell’ Oceano Indiano. Questa differenza genera una “estremizzazione climatica” che causa o nubifragi e inondazioni, oppure stagioni di estrema aridità. Ed è proprio a causa delle piogge torrenziali che si è verificato il proliferare incontrollato delle locuste che hanno devastato le coltivazioni dell’Africa orientale.
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Le alluvioni sommergono l’Africa
Le piogge torrenziali ad agosto hanno messo in ginocchio l’Africa orientale. Alluvioni ovunque e rovesci con una violenza senza precedenti hanno provocato centinaia di morti e migliaia di sfollati.
In Somalia oltre 100 mila persone sono state colpite dalle inondazioni, in Etiopia si parla di 30 mila sfollati, in Sud Sudan, paese travolto ancora dalle violenze comunitarie sono 600 mila le persone che hanno trovato rifugio in ricoveri d’emergenza e in intere province è andato completamente perduto il raccolto.
Ma i danni peggiori si sono registrati in Sudan, dove le piogge hanno causato la morte di centinaia di persone, oltre mezzo milione di sfollati e il Nilo ha superato il livelli record del 1946 e del 1988, anni ricordati per le piene disastrose.
Il governo di Khartum ha proclamato lo stato di emergenza per i prossimi tre mesi, ma il timore è che a causa dei cambiamenti climatici questi eventi saranno sempre più frequenti e andranno così a inficiare e aggravare ulteriormente le realtà di nazioni già in balia di situazioni economiche e politiche instabili.