Nader Moursi: ingegnere di Roma sequestrato e recluso in Oman
Sono quasi quattro anni che Nader Moursi, cittadino egiziano residente e sposato in Italia, è stato privato dei documenti. E dal 2017 è trattenuto in una caserma a Muscat, in Oman, senza un’accusa né una motivazione. La figlia Yasmin e la moglie Antonella lottano per la sua liberazione
Privato dei suoi documenti di identità, minacciato, sequestrato, tenuto rinchiuso in una caserma in Oman, nella capitale Muscat. Senza neppure sapere quale sia la sua colpa, di cosa sia accusato, con un’unica ipotesi, che è quasi una certezza: essere considerato una persona scomoda a causa dei suoi contatti e dei suoi rapporti professionali, che hanno probabilmente creato malumori e gelosie.
Il calvario che da quasi quattro anni subisce Nader Moursi, cittadino dell’Egitto residente da tantissimi anni in Italia, con permesso di soggiorno illimitato, sposato con una nostra connazionale e padre di una ragazza italiana, ha le sembianze di una complessa spy-story internazionale dove i diritti civili sono stati cancellati.
In affari con una ditta italiana: l’inizio dell’incubo per Nader Moursi
A riassumere la dolorosa vicenda è sua figlia Yasmin, 23enne, che con la madre Antonella Parolari vive a Palestrina, vicino Roma. Racconta Yasmin a Osservatorio Diritti: «Con nostro padre, laureato in Economia e commercio ma da sempre impegnato professionalmente nell’ingegneria civile, mia madre ed io abbiamo vissuto tre anni a Muscat, dove tutto sembrava fantastico. L’incubo ha avuto inizio a dicembre del 2016, perché papà si era messo in affari con una ditta italiana che, dovendogli riconoscere una commissione di 850 mila dollari per un progetto andato a buon fine, ha sequestrato tutti i documenti, compreso il passaporto di mio padre, che lui teneva in ufficio, e lo ha ricattato, intimandogli di rinunciare alla commissione per riavere i suoi documenti. Dopo qualche settimana papà, area manager in Oman di questa ditta di cui preferisco tacere il nome, è stato accusato di mala gestione, accusa che però poi è subito caduta e per la quale lui è stato dichiarato innocente».
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Il generale e lo sceicco: Nader Moursi in Oman
Yasmin e sua madre, nel frattempo, sono rientrate in Italia. Ma per Nader i guai erano appena cominciati. L’imprenditore è stato contattato da un potente generale della polizia omanita, tale Abdullah al-Ghelani, che gli ha chiesto di entrare in affari con lui per risollevare la situazione economica dell’azienda, vicina al fallimento, di uno sceicco locale, tale Nasser Bin Mohammed Al Hashar.
«Mio padre, al quale nel frattempo non erano stati restituiti i documenti, ha accettato, sperando di riavere così il suo passaporto e di tornare di nuovo “libero”. Ad aprile del 2017 ha organizzato un viaggio in Italia con il generale e lo sceicco per concludere due progetti, uno a Piombino e l’altro in Oman riguardante la costruzione di un grande ospedale pediatrico. Ritornato a Muscat con loro, a settembre del 2017 è stato arrestato, rinchiuso in una caserma, con l’accusa di non aver pagato una rata della macchina che avevamo lì. Caduta questa accusa, non solo mio padre non è stato liberato, ma hanno continuato a trattenerlo nella caserma, senza una motivazione esplicita, un’accusa, né alcuna giustificazione. Il suo passaporto, mai restituito, viene usato come arma di ricatto e merce di scambio per ottenere documenti di lavoro da lui firmati».
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Perché è stato sequestrato a Muscat
Pur nella lacunosità della situazione, tutto fa dunque presumere che alla base del sequestro di Nader Moursi ci siano interessi economici e finanziari, giochi di potere riguardanti la professione dell’egiziano.
«Ci sono in ballo dei progetti di lavoro molto importanti che coinvolgono un grande giro di denaro e che mio padre aveva in mano». Aggiunge la madre Antonella, che interviene al telefono: «Questi omaniti volevano sostituirsi a mio marito nei suoi rapporti di lavoro con alcune importanti aziende internazionali. E trattenendo i suoi documenti lo tenevano sotto scacco, sotto minaccia, perché sapevano che se Nader fosse tornato in Italia i loro propositi sarebbero andati in fumo. Lo hanno derubato di tutto, oltre al passaporto, il computer, l’Ipad, il telefonino».
Il sultano ha concesso la grazia, ma Nader Moursi non è stato liberato
Disperate, Yasmin e Antonella si sono rivolte in un primo tempo all’ambasciata dell’Oman a Roma. «Abbiamo poi contattato Human rights watch, Farnesina, ambasciata egiziana a Roma, ambasciata italiana a Muscat, polizia, carabinieri».
Le due donne hanno percorso tutte le vie diplomatiche possibili. Con non poche difficoltà, perché Moursi è cittadino egiziano, non italiano. Ribatte Yasmin: «Lui ha sempre lavorato in Italia. E comunque a lanciare un appello per la sua liberazione siamo mia madre e io, cittadine italiane».
I loro tentativi fino a oggi sono caduti nel vuoto, senza ottenere alcuna risposta. «Ci siamo anche rivolte all’ex sultano omanita, Qabus bin Said al Said, che è morto lo scorso gennaio, per chiedere la grazia per mio padre. Lui l’ha concessa, ma poi non è successo nulla. Mio padre non è stato comunque liberato».
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La figlia Yasmin: «Mio padre dimagrito e disperato, ci ha anche inviato lettere di addio»
«Sappiamo che tutta la vicenda è complicata e può sembrare assurda…», ammette frustrata Yasmin. Suo padre, racconta, è al limite della sopportazione. «Con lui riusciamo a parlare al telefono, per brevi chiamate. Abbiamo visto che è molto dimagrito, terribilmente provato, ha già iniziato vari scioperi della fame, ci ha inviato anche delle lettere di addio, che per me e mia madre sono state devastanti. Stiamo vivendo un incubo dal quale non sappiamo come uscire».
Una situazione che ha dell’incredibile, soprattutto perché è difficile comprendere come sia possibile che le vie diplomatiche non portino quantomeno a una risposta, un chiarimento da parte delle autorità omanite competenti.
Leggendo sul sito dell’ambasciata italiana a Muscat si evince che «l’Oman è un Paese stabile, a reddito medio-alto, dotato di una economia aperta agli scambi e agli investimenti stranieri». E che l’Italia intrattiene relazioni economico-commerciali ben avviate e sviluppate con il Paese del Golfo. In questo contesto, l’ambasciata a Muscat offre una serie di servizi di informazione, assistenza e promozione. Insomma, l’ambasciata italiana conferma che non si tratta di un Paese chiuso al dialogo, isolato, inaccessibile, privo di rapporti esterni.
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Per Nader Moursi la speranza viene dalla Farnesina
Qualche tempo fa l’ambasciata egiziana a Muscat si era mossa in favore di Moursi, ma poi, racconta Yasmin, è sparita, gettando lei e sua madre di nuovo nella disperazione. In questo momento l’unico appiglio concreto al quale le due donne si aggrappano con forza è l’intervento del ministero degli Esteri italiano, che ora appare disposto a prendere in mano la faccenda e cercare una via di uscita.
«Abbiamo scritto al ministro Luigi Di Maio e il giorno dopo il capo del gabinetto ci ha risposto informandoci che la Farnesina farà esplicita richiesta al governo omanita di chiarire la posizione di papà e spiegare la motivazione per la quale si trova ancora recluso».
E aggiunge: «La Farnesina sta spingendo sia sull’ambasciata italiana che su quella egiziana. Se ora possiamo nutrire qualche speranza di uscire da questo terribile incubo è solo grazie al ministero degli Esteri che ha preso a cuore il caso e si è dimostrato molto disponibile, nei limiti certo delle sue possibilità e competenze».
Una petizione per chiedere la liberazione
Yasmin e Antonella non possono tornare in Oman per motivi di sicurezza. Continuano a combattere la loro battaglia a distanza. Hanno lanciato una petizione. Ora, ripetono, l’unica speranza per loro proviene da quanto la Farnesina potrà fare affinché Nader Moursi possa tornare in Italia – il Paese del quale non è cittadino ma che ha scelto come sua patria e per il quale ha deciso di lavorare – e riabbracciare sua moglie Antonella e sua figlia Yasmin.