Rosarno: immigrati ancora in tendopoli a 10 anni dalla rivolta

Gli immigranti di Rosarno, in Calabria, affrontano ancora una volta il problema abitativo e lo sfruttamento endemico nei campi. La stagione della raccolta delle arance nella Piana di Gioia Tauro è ormai alle porte, ma la rivolta del 2010 non ha cambiato le cose

da Rosarno, Calabria

Stanno aspettando la raccolta delle arance che partirà a breve nella Piana di Gioia Tauro. I ragazzi del Mali, del Gambia, del Senegal affollano da anni la cittadina di Rosarno. Sono tanti e saranno ancora di più tra qualche settimana, quando il lavoro entrerà nel vivo.

Intanto, però, c’è un problema, ed è quello della casa. Rosarno non ha nulla a che vedere con le città calabresi della costa piene di turisti. È sporca, si incontrano cumuli enormi di rifiuti sparsi per le vie del paese.

Nella vicina San Ferdinando, comune di circa 4 mila abitanti, è in corso lo smantellamento della tendopoli nella quale trovano alloggio alcuni migranti occupati nell’agricoltura. Al momento ospita ancora circa duecento persone che si sono rifiutate di andarsene. Quando la demolizione sarà ultimata e arriveranno altri migranti per la raccolta agrumicola, dove finiranno?

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Insediamento informale nella Piana di Gioia Tauro – Foto: Ilaria Zambelli

Rosarno e immigrati: la rivolta e l’uccisione di Soumayla

A Rosarno si incontrano più ragazzi dell’Africa Subsahariana che locali. Aboubacar ha 29 anni ed è del Gambia. Vive a Rosarno da 12 anni e ricorda ancora la rivolta del 2010, quando gli immigrati reagirono alle condizioni di vita disumane.

Così come ricorda il maliano Soumayla Sacko, ucciso a colpi di fucile il 2 giugno 2018 in un capannone di San Calogero, poco distante da Rosarno, nel quale era entrato a trafugare qualche pezzo di lamiera per farsi una baracca migliore. Viveva nella tendopoli di San Ferdinando. C’è un uomo sotto processo per omicidio alla Corte d’Assise di Catanzaro. Processo rinviato al 22 settembre.

«Le cose non sono migliorate molto da allora, parlo del 2010, ma non abbiamo alternative se non quella di rimanere al lavoro nell’agricoltura. Per vivere abbiamo occupato le prime case che c’erano in giro e ci siamo entrati», racconta in un ottimo italiano.

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Rosarno, due storie di sfruttamento di immigrati

Camarà e Bakaio sono due ragazzi di 25 anni. Il primo del Mali, il secondo del Senegal. Ci mostrano la loro abitazione e ci invitano ad entrare. Dentro manca ogni cosa e le condizioni igieniche sono precarie. Qualche sedia sparsa nella cucina, non c’è il tavolo, alcuni materassi gettati sul pavimento e un fortissimo odore che rende l’ambiente invivibile. Mura diroccate.

È una delle tante abitazioni fatiscenti che i migranti hanno occupato e che rappresentano l’unica possibilità per avere un tetto sulla testa. Non dicono in quanti ci vivono, non vogliono che venga fotografato l’interno. Non vogliono che si sappia molto di loro.

Il ragazzo senegalese dice di avere problemi con i documenti. Tutti dicono di avere moglie e figli nel loro paese. E di essere ricompensati con 30/40 euro al giorno per otto ore di lavoro, ma senza busta paga.

Tendopoli e case abusive: nessuno affitta agli immigrati

L’associazione dei Medici per i diritti umani (Medu), nel suo ultimo report sulla condizione del migranti nella Piana di Gioia Tauro rileva come «nonostante non sia previsto dalla attuale normativa, in molti casi il riconoscimento della residenza rimane dirimente per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno».

Alloggiando in abitazioni di fortuna, nessuno è in possesso di un regolare contratto di locazione e così la stragrande maggioranza non ha la possibilità di effettuare l’iscrizione anagrafica. Le abitazioni vuote ci sono a Rosarno, ma buona parte della popolazione si rifiuta di affittare agli immigrati. Chi affitta lo fa in nero.

Ed è contro di loro che si è scagliato il sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà, in un post pubblicato su Facebook:

«Si segnala che nel territorio del Comune di Rosarno, vi è la presenza di un ingente numero di migranti, i quali, complici alcuni cittadini rosarnesi che fittano abusivamente immobili fatiscenti, hanno contribuito a creare dei veri e propri ghetti, dove regna il degrado e l’illegalità».

Ed è stata fatta anche una richiesta di intervento inviata a prefetto, questore e comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, al comando provinciale della guardia di finanza e al dirigente Sisp ambito di Palmi.

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Il centro di Rosarno – Foto: © Graziano Masperi

Alloggi nuovi: una speranza per gli immigrati di Rosarno

L’emergenza abitativa incontra poi il paradosso della presenza, in contrada Serricella, di alcuni alloggi ormai ultimati e realizzati con i fondi europei. Sono situati all’esterno del paese, una zona periferica raggiungibile dopo un paio di chilometri dal centro percorrendo la strada statale 18 che collega il paese a Gioia Tauro.

Potrebbero rappresentare una soluzione per molti che non dispongono di casa. Con lo smantellamento definitivo della tendopoli che ospitava dai 400 ai 1.000 braccianti, molti giovani da San Ferdinando andranno a riversarsi nella vicina Rosarno distante non più di 5 chilometri. Si tratta di palazzine ultimate, mancano solo gli allacci. Eppure, dall’erba incolta che ricopre i viali, pare proprio che da tempo nessuno ci metta piede.

Una boccata d’ossigeno potrebbe arrivare dal progetto Su.Pr.Eme Italia finanziato dalla regione Calabria che vede proprio Rosarno comune capofila e che prevede 2,5 milioni di euro per la Piana di Gioia Tauro «per migliorare e rafforzare i servizi di accoglienza in quelle aree in cui si manifestano fenomeni di grave sfruttamento lavorativo in agricoltura». I tempi sono ristretti e gli interventi vanno realizzati entro il mese di aprile del prossimo anno.

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Gli alloggi nuovi non ancora assegnati in contrada Serricella, Rosarno – Foto: © Graziano Masperi

Rosarno, i difficili rapporti tra migranti e cittadini italiani

I rapporti con la popolazione permangono difficoltosi. Nella piazza centrale di Rosarno alcuni uomini dicono: «Noi da una parte e loro dall’altra». Un altro ci suggerisce di non intervistarli: «Bisogna fare attenzione a parlare con loro perché sono aggressivi».

Nella contrada Serricella, a 200 metri dalle palazzine nuove e non ancora assegnate, alcuni residenti commentano: «Le case ci sono, ma vogliamo che vengano assegnate anche agli italiani».

Non saranno opinioni generalizzate. Ma il sentore è che, a distanza di tanti anni dalla rivolta del 2010 e dai fatti di sangue successivi, c’è ancora molto da fare per avvicinare culture differenti.

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