Colombia: legami tra paramilitari e Stato sullo sfondo del processo a Uribe

I gruppi paramilitari di estrema destra che uccidono e terrorizzano i civili in Colombia appaiono nell'ombra nel processo contro Alvaro Uribe. L'ex presidente è indagato per frode e corruzione dei testimoni

Per capire la Colombia e la sua storia recente è necessario fare i conti con Alvaro Uribe, presidente dal 2002 al 2010 e tuttora tra le più rilevanti e controverse figure del panorama politico colombiano.

Per milioni di colombiani l’ex presidente ha il grande merito di aver contribuito a rendere la Colombia un luogo più sicuro, concentrando i suoi sforzi nella lotta contro le Farc. Per altri, invece, Uribe è un criminale, colpevole di gravi violazioni dei diritti umani.

Le indagini che hanno portato all’arresto di Alvaro Uribe il 4 agosto 2020 potrebbero svelare quello che tanti hanno sempre sospettato: dietro agli omicidi e alle efferatezze dei paramilitari colombiani potrebbe esserci l’ombra connivente dello Stato.

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Contadino colombiano – Foto: John Alexis Guerra Gómez (via Flickr)

Le indagini sui legami coi gruppi paramilitari, le stragi, il narcotraffico

Uribe è stato detenuto preventivamente con l’accusa di frode, corruzione e manomissione di testimoni. L’ex presidente è infatti sospettato di aver fatto pressioni, tramite il suo avvocato, sull’ex paramilitare Juan Guillermo Monsalve, con il fine di spingerlo a ritirare una dichiarazione che collegava Uribe alla formazione di alcuni gruppi paramilitari.

Le indagini della Corte Suprema che hanno portato alla detenzione domiciliare di Uribe – evento senza precedenti nella storia colombiana – non sono che la punta dell’iceberg. I reati per i quali l’ex presidente potrebbe essere ritenuto colpevole, infatti, riguardano possibili collegamenti con stragi compiute dai gruppi paramilitari e legami con il narcotraffico internazionale.

Il fratello di Alvaro Uribe, Santiago, è stato arrestato nel 2016 perché giudicato colpevole di aver contribuito alla creazione del gruppo paramilitare “I Dodici Apostoli”.

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Chi sono i paramilitari di estrema destra in Colombia

I gruppi paramilitari colombiani sono gruppi armati di estrema destra, responsabili di omicidi, rapimenti, stragi, scontri armati, reclutamento forzato, attentati, traffico di droga, esproprio di terre ed estorsione.

La loro nascita risale ad uno dei periodi più violenti della storia colombiana: i paramilitari furono infatti la risposta armata alle guerriglie marxiste che a partire dagli anni ’60 acquisirono poteri sempre maggiori sulle zone rurali del paese.

Nati anche per volere del governo statunitense, che durante la guerra fredda suggerì al governo colombiano di creare una forza armata clandestina anti-sovversiva che potesse fare da contraltare ai piani rivoluzionari delle guerriglie comuniste, i paramilitari sono ad oggi una delle maggiori organizzazioni armate del paese.

Il legame tra gli altri vertici dell’establishment politico colombiano e le organizzazioni paramilitari ha dato origine al termine parapolitica”.

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Alvaro Uribe, ex presidente della Colombia – Foto: Centro Democrático (via Flickr)

Colombia: quante sono le vittime dei paramilitari e il regime di terrore

Secondo uno studio sul conflitto armato colombiano dell’Osservatorio di Memoria e Conflitto del Centro Nazionale di Memoria Storica (Cnmh), tra il 1958 e il 2018 le vittime dei paramilitari sono state 94.754, mentre le vittime della guerriglia sono 35.683. L’antidoto alla violenza, oltre ad essersi rivelato a sua volta velenoso, ha contribuito ad innalzare considerevolmente il numero di civili assassinati a causa del conflitto armato (complessivamente 215.000).

Nonostante nel 2016 sia stato firmato lo storico accordo di pace che avrebbe dovuto mettere fine ad una delle guerre civili più longeve della storia recente, secondo uno studio dell’ong Norwegian Council for Refugees (Nrc), il 50% della popolazione rurale colombiana vive in aree in cui il conflitto armato continua a mietere morti.

È infatti nelle campagne, dove le istituzioni sono deboli, quando non corrotte, che i gruppi paramilitari esercitano un potere pressoché illimitato e violento, ai danni della popolazione civile.

In molte regioni rurali «i paramilitari controllano tutto. A partire dai problemi familiari fino ai permessi per aprire un’attività commerciale», sostiene l’attivista Andrés Chica. Oltre ad avere il monopolio della forza e delle armi, infatti, i paramilitari controllano anche il commercio, riscuotendo il pizzo dai piccoli commercianti e agricoltori, che vivono, secondo la testimonianza di Chica, come veri e propri prigionieri.

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Donna sulla tomba del figlio che si trova nelle liste dei desaparecidos – Foto: Andrés Cortés (via Flickr)

Farc, lo scandalo dei falsi positivi

Se il legame tra Alvaro Uribe e i gruppi paramilitari venisse confermato dalle indagini della Corte Suprema, non sarebbe l’unica grave macchia che ha segnato la sua presidenza. Una delle maggiori violazioni dei diritti umani riguarda infatti lo scandalo dei cosiddetti “falsi positivi”, scoppiato nel 2008.

Nel periodo in cui Uribe governò il paese dell’America Latina, il governo era solito misurare i risultati della lotta contro le Farc in base al numero delle vittime. È emerso in seguito che varie unità dell’esercito giustiziarono civili di bassa estrazione sociale per spacciarli come vittime di combattimento, aumentando così il numero di vittime (i cosiddetti “positivi”).  Queste esecuzioni clandestine ed illegali furono utili al governo Uribe per dimostrare agli elettori l’efficacia dei suoi metodi di lotta contro le guerriglie sovversive.

Nel 2009 un documento della Cia ha rivelato che esistevano legami tra l’esercito colombiano e i gruppi paramilitari e che tali legami erano noti al governo degli Stati Uniti già dal 1994. Quella dei “falsi positivi” era, secondo il documento della CIA, una pratica abituale nell’esercito.

A dicembre del 2019 le autorità colombiane hanno reso noto il ritrovamento di una fossa comune contenente i resti di 50 persone, presentate dall’esercito come vittime di combattimento, ma in seguito identificate come “falsi positivi”. Secondo la testimonianza di un ex soldato che ha contribuito all’esumazione dei cadaveri, i superiori ordinavano ai soldati di sparare alla testa in modo che le vittime non potessero essere identificate.

José Miguel Vivanco, che guida la divisione di Human Rights Watch per le Americhe, ha detto di aver sollevato la questione nel corso degli anni con Uribe, che si è mostrato tuttavia riluttante.

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