Kashmir-India: un anno senza autonomia, cancellati i diritti umani
Repressione del dissenso, internet bloccato, effetti a cascata su diritti civili, sociali ed economici. Arresti arbitrari e una situazione peggiorata ancora di più con il lockdown legato all'emergenzia sanitaria. Ecco cosa è successo ai diritti umani nel Kashmir indiano dopo la revoca dell'autonomia di un anno fa
Nell’ultimi 12 mesi le restrizioni e i blocchi imposti nel Kashmir Indiano si sono tradotti in gravi e generalizzate violazioni dei diritti umani. È quanto emerge dal rapporto stilato a fine luglio dal Forum for Human Rights in Jammu & Kashmir, un gruppo composto da membri della società civile, ex giudici, accademici ed ex funzionari pubblici.
Il report, intitolato “Jammu e Kashmir: l’impatto dei lockdown sui diritti umani“, analizza la condizione in Kashmir dopo la revoca dello status speciale il 5 agosto 2019. Tra i membri del Forum, l’ex giudice della Corte suprema iIndiana Madan B. Lokur, copresidente insieme a Radha Kumar, accademica ed ex membro del gruppo di interlocutori per il Kashmir, lo storico Ramachandra Guha e Gopal Pillai, ex segretario dell’Interno, tra gli altri.
Kashmir, uno Stato senza autonomia: storia degli ultimi 12 mesi
Il 5 agosto del 2019, in una mossa senza precedenti nella storia del Kashmir indiano, un territorio già marchiato da 30 anni di militanza separatista e una brutale repressione militare, il governo nazionalista capeggiato da Narendra Modi, ha revocato gli articoli della costituzione che garantivano una relativa autonomia al Kashmir conteso tra India e Pakistan (leggi Kashmir sotto assedio: l’India manda all’aria l’autonomia e reprime il dissenso).
All’indomani della revoca dell’autonomia nell’ex Stato, ridotto a un’entità territoriale amministrata dal governo federale, è stato imposto un pesante coprifuoco militare, insieme al blocco totale delle comunicazioni (internet, le linee fisse e mobili) per evitare sommosse e proteste contro la revoca. Il Kashmir è stato così ridotto al silenzio.
Il rapporto del Forum, stilato sulla base di un questionario, fonti governative, rapporti di ong e articoli di testate indiane indipendenti che hanno coperto la situazione in Kashmir post-revoca dell’autonomia, analizza gli effetti della decisione di New Delhi sulla popolazione e sull’economia della Valle, mettendo in evidenza le sistematiche violazioni dei diritti umani (tra i quali i diritti civili e politici) perpetrate ai danni della popolazione, in particolare sulla sicurezza dei civili, sulla salute, sui minori, sull’ industria e sui media.
«Con nostro grande dispiacere, le dozzine di petizioni presentate contro queste violazioni non hanno ricevuto l’attenzione che meritavano», scrivono gli autori del report.
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Arresti e operazioni anti-militanza nel Kashmir indiano
«Il periodo che va da agosto 2019 a luglio 2020 è stato segnato da arresti di massa di politici, attivisti e anche minori, dall’imposizione della sezione 144 del codice penale (che vieta raduni e manifestazioni), dalla distruzione di scuole e abitazioni nelle operazioni delle forze di sicurezza contro militanti e terroristi e dall’uso di leggi draconiane per silenziare media indipendenti e/o attivisti», si legge nel rapporto.
Sono 6.605 le persone arrestate da agosto dello scorso anno secondo i dati del ministero degli Interni, ai sensi della legge sulla sicurezza pubblica, che permette l’arresto preventivo fino a due anni. Tra questi, anche tre leader politici di spicco – Farooq Abdullah, Omar Abdullah e Mehbooba Mufti – e almeno 144 minori, di cui il più piccolo aveva 9 anni. Ad oggi, 400 persone risultano ancora in custodia preventiva.
Il rapporto denuncia la priorità data alle operazioni contro i militanti – intensificatesi nell’ultimo anno, anche durante la pandemia – rispetto alla sicurezza pubblica, civile e umana che ha portato a una generalizzata violazione dei diritti umani, inclusa la violazione delle protezioni legali (come il diritto alla scarcerazione su cauzione e ad un processo equo e rapido).
Il rapporto critica anche l’uso improprio di leggi “draconiane”, come quella sulla sicurezza pubblica e quella per la prevenzione delle attività illecite, entrambe usate per reprimere il dissenso.
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Kashmir-India: blocco di internet e arresti nella guerra al dissenso
Il coprifuoco, unito alla sospensione delle comunicazioni (incluso il blocco di internet, il più lungo mai registrato in una democrazia) e all’assedio militare della Valle, ha esacerbato la condizione dei civili, che già prima di agosto 2019 percepivano la presenza militare indiana come un’occupazione.
Nell’ultimo anno sono stati frequenti gli arresti arbitrati di civili e attivisti, come gli abusi ai molti posti di blocco che punteggiano le strade, e le ingiustificate restrizioni alle comunicazioni. Il Forum cita vari casi in cui le restrizioni hanno «avuto un impatto sulla salute pubblica e causato traumi e stress alla popolazione, violando il diritto alla salute e alle cure mediche garantito dalla costituzione».
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Didattica a distanza e connessione 2G nella regione
Le restrizioni – sia al libero movimento sia alle comunicazioni e alla connessione internet – hanno avuto un pesante impatto anche sull’istruzionedei giovani kashmiri. Le scuole sono state aperte per appena 100 giorni tra il 2019 e il 2020 (la maggior parte dei quali prima di agosto 2019).
Internet è stato parzialmente riattivato a marzo 2020 (solo alcuni siti e solo 2G), ma ha continuato a essere interrotto a macchia di leopardo nelle zone interessate da scontri a fuoco e azioni contro i militanti.
Inoltre, durante il lockdown per la pandemia, la limitazione della rete al 2G ha reso impossibile per molti ragazzi prendere parte alle lezioni online. La chiusura di scuole, istituti e università ha gravemente compromesso l’istruzione, a tutti i livelli.
Kashmir-India: economia in picchiata senza autonomia
L’impatto economico, sociale e politico delle restrizioni e la loro durata – anche se i dati ufficiali sui giorni effettivi di coprifuoco non sono ancora disponibili – sono stati “disastrosi”. L’economia dell’ex Stato ha subito un durissimo colpo, spingendo la maggior parte delle imprese a non poter ripagare i prestiti o addirittura alla chiusura; quasi mezzo milione di persone ha perso il lavoro o ha subito tagli allo stipendio.
Le limitazioni hanno fortemente compromesso il diritto al lavoro. I settori più colpiti sono stati agricoltura, edilizia, artigianato, oltre ai trasporti, al turismo, all’informatica e alle piccole imprese, che hanno registrato un calo del 50% degli utili.
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I media locali messi a tacere in Kashmir
Un altro aspetto su cui insiste il rapporto è quello dei media locali e regionali, che «hanno perso quel barlume di indipendenza che avevano». La revisione delle leggi che governano la stampa ha introdotto un nuovo livello di censura, mentre l’intimidazione ai reporter è stata ripetutamente usata per silenziare le poche voci indipendenti della Valle.
Nei primi due mesi successivi alla revoca dell’autonomia, i giornali locali non sono andati né in stampa né online; molti giornalisti non sono stati in grado di viaggiare e documentare la situazione sul campo; ogni critica alle azioni del governo può di fatto risultare nella sospensione delle inserzioni pubblicitarie e persino nell’arresto, motivo per cui «l’informazione è diventata anodina», secondo il report.
Kashmir-Cina-Pakistan: si parla solo di “trilateralizzazione”
«Non c’è democrazia in Kashmir, ad oggi, non ci sono rappresentanti del popolo democraticamente eletti. I pilastri fondamentali e gli elementi essenziali della democrazia sono stati infranti. Le voci libere sono state messe a tacere e non sono ammesse nemmeno lievi critiche. Normalmente un rapporto come il nostro sarebbe stato pubblicato da tutti i media del Kashmir, ma non lo è stato. Solo un giornale locale lo ha ripreso, mentre un altro ha scritto solo due brevi paragrafi sulla “trilateralizzazione” della questione Kashmir (con Cina e Pakistan, che occupano le altre due porzioni di territorio) e sulla dimensione esterna del conflitto. Ma non ha citato un singolo commento sui diritti umani, in un rapporto sui diritti umani, è assurdo», spiega a Osservatorio Diritti Radha Kumar, co-presidente del Forum.
A inizio luglio è anche arrivata la terza comunicazione dei relatori speciali dell’Onu inoltrata al governo indiano, rimasta ancora una volta lettera morta, in cui si dichiarano gravemente preoccupati per «il continuo deterioramento dei diritti umani in J&K a seguito delle severe restrizioni imposte dopo il 5 agosto 2019: detenzioni arbitrarie, violazioni del divieto di tortura e maltrattamenti e abuso della forza».