Minerali insanguinati: sospetti sull’oro svizzero comprato negli Emirati Arabi*

Un nuovo report di Global Witness avanza pesanti sospetti sulla svizzera Valcambi: l'oro comprato dalla Kaloti, azienda degli Emirati Arabi Uniti, potrebbe avere a che fare con il conflitto in Darfur, Sudan. Mentre un altro studio, stavolta firmato da SwissAid, fa entrare in campo anche la Repubblica Democratica del Congo

La più grande società di raffinazione di oro al mondo, la svizzera Valcambi, potrebbe aver acquistato nel 2018 e 2019 oltre 20 tonnellate di oro dalla Kaloti, azienda con sede negli Emirati Arabi Uniti specializzata nella raffinazione e nella commercializzazione di oro a livello internazionale e che, soprattutto, sarebbe collegata indirettamente con la guerra in Sudan. Lo rivela l’ultimo report della ong Global Witness.

Il documento dice anche che nel solo 2012 la Kaloti si è procurata oltre 57 tonnellate di oro sudanese. L’Onu stima che almeno 30 tonnellate delle 65 tonnellate d’oro che il Sudan ha esportato negli Emirati Arabi Uniti quell’anno erano collegate alle milizie in Darfur.

Minerali insanguinati: il ruolo della Banca centrale del Sudan

Tra il 2013 e il 2019 la Kaloti si sarebbe «probabilmente» rifornita d’oro dalla Banca centrale del Sudan, ente accusato di aver acquistato a propria volta l’oro dalle miniere di Jebel Amer, nella provincia del Darfur, nella parte occidentale del Sudan.

Queste miniere sono sotto il controllo di milizie armate considerate responsabili di gravi violazioni dei diritti umani nei confronti di civili e lavoratori. Secondo un rapporto pubblicato dall’agenzia Reuters nel 2013, la lotta contro le miniere d’oro di Jebel Amer avrebbe causato la morte di oltre 800 persone e lo sfollamento di altre 150 mila in un solo anno.

«Le nostre scoperte, sull’enorme portata globale dell’oro di Kaloti e le relazioni dell’azienda con Valcambi, illustrano in modo netto le debolezze sistemiche del commercio dell’oro che consentono all’oro estratto dai fornitori con pratiche discutibili di entrare in catene internazionali di approvvigionamento presumibilmente affidabili», dice Seema Joshi, direttore delle campagne di Global Witness.

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Ginevra, Svizzera

Minerali insanguinati: i conflitti dell’oro

L’indagine di Global Witness, dal titolo Beneath the Shine: A Tale of Two Gold Refiners (Sotto lo splendore: Il racconto di due raffinatori d’oro), si basa su ricerche sul campo e analisi condotte a Dubai, in Sudan e in Svizzera.

Sono stati esaminati i documenti di 270 società che hanno riferito alla Securities and Exchange Commission, ente federale degli Usa che si occupa di vigilare la borsa valori, di aver acquistato prodotti contenenti oro della Kaloti nel 2018. Tra queste, si legge ancora nel report, ci sono «probabilmente» i nomi di alcuni tra i principali marchi globali come Amazon, Starbucks, Sony, Disney e Hp.

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Oltre alle 20 tonnellate di oro acquistate tra il 2018 e il 2019 dalla Kaloti (un fornitore «ad alto rischio collegato al conflitto»), secondo fonti consultate da Global Witness la Valcambi avrebbe comprato nello stesso periodo anche oltre 60 tonnellate di oro dalla Trust One Financial Services Ltd., società britannica che vede tra i suoi direttori il figlio del fondatore della Kaloti.

La Banca Centrale del Sudan è accusata anche di aver comprato oro proveniente anche dalle miniere occupate dall’Esercito di liberazione del Sudan, altro gruppo armato che esercita il controllo violento sulle risorse della zona.

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Darfur, Sudan – Foto: RNW.org (via Flickr)

Oro tra Svizzera, Eau, Congo orientale e Sudan

Global Witness non è l’unica ong che si è occupata del tema. Lo ha fatto anche l’organizzazione umanitaria SwissAid, con sede in Svizzera, che ha avviato un’indagine sulle procedure di controllo della Valcambi.

Secondo il recente report Golden Detour (Deviazione d’oro), la Svizzera avrebbe importato nel 2019 circa 149 tonnellate d’oro, le cui forniture più importanti arrivavano dagli Emirati Arabi Uniti. Nel 2018 più della metà dell’oro in transito a Dubai proveniva dall’Africa, in particolare dal Sudan e dalla Repubblica Democratica del Congo.

Negli Eau, sostiene la ricerca, questo traffico è reso possibile dal fatto che i controlli delle autorità doganali sono blandi e il suk di Dubai, il mercato della città, è ancora uno dei principali punti di accesso dell’oro illegale nella regione.

Secondo un’altra indagine pubblicata dal team investigativo statunitense The Sentry, la rete aziendale del magnate belga Alain Goetz farebbe confluire l’oro del Congo orientale in una raffineria in Uganda, l’Agr, per poi trasferirlo negli Stati Uniti o nell’Unione europea grazie ad una catena di società. Secondo le Nazioni Unite, il traffico di oro costituisce il più grande ingresso economico per gli attori armati in conflitto nel Congo orientale.

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Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo – Foto: MONUSCO/Abel Kavanagh (via Flickr)

Minerali insanguinati: l’accusa e la risposta delle aziende

«Il nostro rapporto mostra come le pratiche di approvvigionamento di Valcambi e di Kaloti siano state abilitate o ignorate dagli organismi dell’industria dell’oro, da alcune delle più grandi società di contabilità del mondo e dalle autorità svizzere e di Dubai», ha sottolineato Seema Joshi.

I report puntano i riflettori anche sull’operato della London Bullion Market Association (Lbma), principale ente di accreditamento nel settore orafo che avrebbe inserito la Valcambi nella sua Good Delivery List, lista di aziende dalle migliori pratiche nel settore. I criteri di valutazione si basano sulle Linee guida dell’Ocse che stabiliscono standard riconosciuti a livello internazionale per un approvvigionamento responsabile di minerali provenienti dalle zone di conflitto. Questi criteri escludono categoricamente qualsiasi relazione con chi sia in contatto diretto o indiretto con gruppi armati o non statali che commettano violazioni dei diritti umani.

La Kaloti ha risposto a Global Witness di non aver mai comprato oro dal Darfur o da altre zone di conflitto e che rispetta gli standard previsti dalle Linee guida Ocse.

Anche la Valcambi, che si presenta come pioniera di un approvvigionamento responsabile, ha dichiarato di andare oltre gli standard internazionali di controllo e che introdurrà un nuovo sistema di verifica e tracciamento dell’oro, il Secured Data Storage (Sds). L’azienda ha dichiarato in un comunicato stampa che questo sistema consentirà di registrare i dati dei partner commerciali e l’origine dei minerali, e di rafforzare i processi di tracciabilità e provenienza dei prodotti. In risposta a SwissAid, infine, ha fatto sapere che pubblicherà sul proprio sito i criteri di selezione e la lista dei Paesi dai quali ha deciso di non importare o di aumentare le verifiche.

* Dopo la pubblicazione di questo articolo, abbiamo ricevuto una mail da parte della società Valcambi in cui l’azienda tiene a precisare due cose:
-“I materiali provenienti da tutti i Paesi in lista sanzionatoria, come il Sudan, e da altre origini da cui non abbiamo la capacità di gestire completamente i rischi non possono entrare nella catena del valore di Valcambi. Questa è sempre stata la politica di approvvigionamento di Valcambi”;
– “Valcambi non accetta oro dall’Africa tramite intermediari. L’oro proveniente dai paesi africani è accettato solo attraverso un rapporto diretto tra la controparte africana e Valcambi”.
Cliccando qui è possibile leggere il comunicato completo della società.

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