Uiguri: divieto di figli e lavori forzati per la minoranza musulmana in Cina
Oltre un milione di uiguri è rinchiuso nei lager ed è vittima di persecuzione nello Xinjiang, in Cina. La minoranza musulmana è accusata, tra l'altro, di terrorismo, anche se la maggioranza di loro è pacifica. Nelle ultime settimane gli Usa hanno diffuso un monito alle società: chi sarà implicato in violazione dei diritti umani dovrà risponderne
Qualche settimana fa il presidente degli Stati Uniti Donal Trump ha approvato una legge per tutelare gli uiguri, l’etnia musulmana che vive nella regione dello Xinjiang. La Camera dei Rappresentanti americani aveva ratificato precedentemente la norma Uyghur Human Rights Act, richiedendo l’imposizione di sanzioni ai funzionari cinesi ritenuti responsabili violazioni dei diritti umani contro la minoranza.
Pochi giorni dopo, il 1° luglio, il Dipartimento di Stato, il Dipartimento del Tesoro, il Dipartimento del Commercio e il Dipartimento della sicurezza interna hanno diffuso il «Publication of Xinjiang Supply Chain Business Advisory», una consulenza congiunta che esorta le società statunitensi a monitorare le loro attività in Cina, in particolare nella regione dello Xinjiang, «dove il governo cinese reprime duramente il popolo e commette crimini». Nel documento si avverte che, qualsiasi impresa sarà coinvolta nella violazione dei diritti umani, dovrà affrontare rischi economici e legali negli Stati Uniti.
Leggi anche:
• Uiguri: storia di persecuzione e repressione nello Xinjiang cinese
• Uiguri: la repressione della Cina contro i musulmani dello Xinjiang
Uiguri: ancora nel 2020 lager e violenze nello Xinjiang
La regione autonoma nord-occidentale cinese dello Xinjiang è da tempo sotto i riflettori della comunità internazionale per le accuse di discriminazione e abusi, che comprendono indottrinamento, violenze fisiche e psicologiche e lavori forzati. Pechino si è sempre difesa, negando qualsiasi violazioni dei diritti umani nell’area e giustificando le misure messe in atto come necessarie per combattere l’estremismo e il separatismo.
Ma la narrativa cinese è difficile da conciliare con le poche informazioni che filtrano dalla provincia che, al contrario, ci parlano di continui maltrattamenti.
Leggi anche:
• Uiguri: la Cina combatte il terrorismo imprigionandone 1 milione nello Xinjiang
• Caste indiane: gli “intoccabili” paria rivendicano i propri diritti
Oltre un milione di uiguri vittime di persecuzione
Molte organizzazioni umanitarie stimano che a partire dal 2017, almeno 1,5 milioni di persone della minoranza musulmana, accusati dal governo di avere «idee politicamente scorrette» e «sentimenti religiosi forti», siano stati rinchiusi in campi di lavoro in tutta la provincia dello Xinjiang.
Solo tra giugno e dicembre 2018, secondo quanto rivelato a Radio Free Asia da un funzionario della polizia della contea di Kuchar, che ha lavorato sei mesi in uno dei campi di rieducazione che si trova nella città di Aksu, sarebbero morti oltre 150 uiguri.
Lo scorso novembre l’inchiesta Xinjiang Papers del New York Times aveva raccontato, tramite documenti governativi riservati ottenuti da un informatore del Partito comunista cinese (Pcc), di «una visione interna senza precedenti della repressione» nello regione dello Xinjiang, dove negli ultimi anni «le autorità hanno condotto nei campi di internamento e prigioni fino a un milione» di persone appartenenti alla minoranza musulmana. Materiale e report che anche le Nazioni Unite hanno definito «credibile».
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Uiguri accusati di terrorismo
Gli uiguri, dopo che nel 1931 e nel 1944 tentarono, senza riuscirci, di costituire una repubblica autonoma, si sono organizzati con diversi movimenti separatisti. Alcuni di questi sono gruppi armati radicali. Tra i più conosciuti – inseriti anche nella lista statunitense delle organizzazioni del terrorismo internazionale – c’è il “Movimento Islamico del Turkestan Orientale”. Un gruppo che ha avuto stretti rapporti con Al Qaeda e che, secondo il governo di Pechino, sarebbe addestrato in Medio Oriente.
L’organizzazione è stata accusata anche di diversi attentati terroristici contro l’etnia maggioritaria cinese degli Han. Il più violento nel 2014, quando in un mercato di Urumqi – la capitale della regione dello Xinjiang – in una esplosione sono morte una trentina di persone.
Leggi anche:
• Rohingya: perseguitati in Myanmar, malvoluti in Bangladesh e dimenticati dal mondo
• Eritrea in caduta libera sui diritti umani
Uiguri in Cina: figli vietati per minoranza di musulmani
Gran parte degli uiguri non imbraccia certo le armi. Ma, nonostante questo, sono costantemente perseguitati dalle autorità cinesi. Le ultime notizie sono inquietanti.
Un’inchiesta dell’Associated Press (AP) pubblicata il 29 giugno e basata su statistiche governative, documenti ufficiali e interviste con 30 ex detenuti, madri e padri e una ex istruttrice di un campo di rieducazione, ha rivelato che Pechino costringerebbe centinaia di migliaia di donne uiguri a test di gravidanza indesiderati, alla contraccezione forzata a base di iniezioni e inserzioni di spirali, di interventi chirurgici di sterilizzazione e persino di aborti contro la loro volontà. Non solo. Uomini e donne che hanno famiglie più numerose di quanto fissato dallo Stato comunista, sarebbero internati nei campi di lavoro.
Secondo i dati in possesso di AP, la sola contea di Karakax nello Xinjiang ospita 484 campi di detenzione, 149 dei quali sono destinati a uomini e donne che hanno avuto più figli del consentito e, per questo, vengono sottoposti a “rieducazione”. Il tasso di natalità, che è sempre stato tra i più alti del Paese, negli ultimi anni è crollato in maniera drammatica.
Tra le storie raccontate da AP, c’è quella di Abdushukur Umar, che sarebbe stato una delle prime vittime del giro di vite sulle nascite. «Commerciante di frutta e in precedenza conducente di trattori, questo padre considerava i suoi sette figli un dono di Dio», si legge nell’inchiesta.
«Le autorità hanno cominciato a perseguitarlo nel 2016. L’anno seguente è stato messo in un campo di internamento e poi condannato a sette anni di prigione. Uno per ciascuno dei suoi figli, hanno detto le autorità ai parenti».