Tratta delle donne: quella drammatica linea rossa che unisce Kenya e Nepal
Da Nepal, India e Pakistan verso i nightclub del Kenya: è questa la rotta sempre più battuta dalla tratta delle donne. E nella fascia d'età tra i 13 e i 19 anni si trova oltre un milione di vittime della tratta di esseri umani
Tratta di esseri umani, prostituzione e coronavirus: sono queste tre piaghe contemporanee che, concatenate, stanno dando origine a una serie di tragedie che legano in maniera drammatica Nepal e Kenya. Come riportato a inizio 2020 dal report del National Human Rights Commission (Nhrc) del Nepal, nel Paese himalayano 1,5 milioni di persone, circa il 5,35% dei suoi 28 milioni di abitanti, sono vittime di tratta di esseri umani. Un dato inquietante, soprattutto se si considera che la stragrande maggioranza è adolescente e molti finiscono nelle maglie della prostituzione e del mondo dell’intrattenimento per adulti.
«Nella tratta sono coinvolti 1,2 milioni di adolescenti originari delle aree rurali del Paese, e di età compresa tra 13 e 19 anni, su un totale di un 1,5 milioni di persone vittime del traffico di esseri umani. Inoltre, 200.000 persone considerate vulnerabili sono impiegate in lavori ambigui, mentre 100.000 sono i bambini vittime dello sfruttamento minorile».
A dare questi dati è Mohna Ansari del Nhrc. E a dare maggiori dettagli su quanto stia avvenendo è Nawaraj Dhakal, ex assistente ispettore generale (Igp) della polizia del Nepal: «Le ragazze nepalesi vengono trafficate in Kenya e in Tanzania, in vari paesi del Golfo, in Malesia, alle Maldive e nello Sri Lanka, per lavorare sostanzialmente nel settore dell’intrattenimento».
Secondo la polizia dello stato asiatico, inoltre, negli ultimi 4 anni si sono registrati 1.005 casi accertati finiti a processo di donne vittime di tratta.
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Tratta delle donne: storia di Sheela, dall’Himalaya a Mombasa
Sheela, una giovane nepalese di 23 anni, è stata contattata dal titolare di un disco-club kenyano che le ha offerto uno stipendio sette volte superiore a quello che guadagnava facendo l’estetista per andare a ballare in una discoteca in Kenya. Ha accettato, lasciato il lavoro nel salone di bellezza ed è partita per il Paese africano.
Nessun contratto, nessuna esperienza pregressa come danzatrice, nessuna conoscenza del luogo in cui sarebbe andata a vivere. Solo il desiderio di abbandonare la miseria in cui viveva nel villaggio ai piedi dell’Himalaya. Con i genitori anziani di cui occuparsi e le spese mediche da liquidare dopo che suo fratello aveva subito un incidente in moto, l’offerta di uno stipendio mensile di 600 dollari al mese, con spese di vitto, alloggio e trasporto coperte, era una proposta che non poteva rifiutare.
Una volta arrivata sulle spiagge di Mombasa, però, la realtà con cui ha dovuto fare i conti era molto diversa da come le era stata prospettata. La ragazza nepalese e altre giovani donne provenienti dal sud-est asiatico, una volta arrivate in Kenya e private del passaporto, trascorrevano la loro vita in una casa-prigione da cui non potevano uscire e la sera venivano portate in un nightclub in stile Bollywood, dove dovevano ballare dalle 21 alle 4 per una clientela di uomini provenienti dal sud-est asiatico tra molestie, prevaricazioni e violenze.
Una storia, quella di Sheela, raccolta dall’emittente Al Jazeera, che ha permesso di far luce sul traffico di esseri umani che vede sempre più donne abbandonare il Nepal, l’India e il Pakistan per andare a lavorare in discoteche in Kenya. Dove, oltre a ballare per un pubblico maschile in cerca di libidine, sono spesso costrette a prostituirsi.
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Tratta delle donne indiane: la nuova piaga del Kenya
Secondo attivisti anti-tratta e polizia locale, molti di questi bar nati in Kenya sono in continuo aumento a causa di un numero crescente di lavoratori originari dell’India e di Paesi limitrofi in Kenya. Dietro la parvenza di bar dove delle danzatrici si muovono rievocando le danze delle mujra indiane, in questi locali, in realtà, le ragazze sono spesso costrette anche a prostituirsi e a terminare la notte a letto con gli avventori.
Alle giovani donne resta un percentuale esigua dei guadagni perché devono versare una grossa fetta dei ricavi ai gestori dei locali che, oltre a svolgere il ruolo di impresari, vanno alla ricerca di donne e clienti.
Non ci sono dati aggiornati sul numero delle donne coinvolte, ma i risultati dei raid della polizia, combinati con i dati sul rimpatrio delle donne salvate, suggeriscono che svariate decine di ragazze, anche minorenni, sono vittime del traffico di esseri umani organizzato dall’Asia meridionale al Kenya.
Negli ultimi anni il fenomeno è in costante aumento, come testimonia il report del governo degli Stati Uniti nel suo annuale dossier sul traffico di persone (qui è possibile scaricare il Pdf). «I raid ci hanno aiutato a capire il modus operandi dei trafficanti in Kenya: hanno agenti all’estero che cercano e reclutano donne per loro», ha detto un funzionario della direzione delle indagini criminali (Dci) del Kenya ai microfoni dell’emittente qatariota. Che ha aggiunto:
«Vengono offerti posti di lavoro come ballerine nel settore culturale e le ragazze ricevono un mese di stipendio in anticipo. Ma quando arrivano i loro movimenti sono limitati, devono fare danze erotiche e sessualmente esplicite e spesso devono fare sesso con i clienti».
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Traffico di esseri umani: qual è il significato in Kenya
In Kenya, secondo il Global Slavery Index della Walk Free Foundation, ci sono oltre 328.000 schiavi moderni. Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani è un’enorme piaga per il Paese africano e a rendere ancora più drammatico il fenomeno è il fatto che, vittime della tratta e dello sfruttamento, sono soprattutto i bambini.
I minori, in Kenya, finiscono nella rete delle organizzazioni criminali che li costringono, perlopiù nelle località turistiche balneari, a prostituirsi, mendicare e lavorare come servitù sottopagata nelle case dei ricchi possidenti locali, dove spesso subiscono maltrattamenti e abusi.
Stando a quanto riportato dall’ong Stopethetraffik, inoltre, il fenomeno negli anni ha visto solo degli impercettibili miglioramenti. Mancano risultati significativi nel combattere il problema e oggi, a causa del coronavirus, la situazione su diritti e sicurezza delle lavoratrici del sesso in Kenya è peggiorata radicalmente.
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Prostituzione e coronavirus in Africa
Nel Paese africano le prostitute sono state estremamente colpite dal lockdown imposto dal governo kenyano, cessato il 6 luglio, e la conseguente chiusura delle case di piacere. Inoltre, sebbene fosse proibito esercitare, alcune di loro hanno lavorato andando dai loro clienti, esponendosi cisì ad aggressioni e omicidi.
La Kenya Sex Workers Alliance, un’organizzazione che lavora per garantire diritti e dare supporto medico alle prostitute, ha denunciato ben 80 aggressioni dall’inizio dell’epidemia e 6 omicidi di ragazze.
L’aumento delle violenze contro le ragazze africane è legato anche al fatto che parte della società ha stigmatizzato queste lavoratrici, accusandole di essere la causa della diffusione del contagio. Inoltre, vista la crisi economica e quella di reperire farmaci antiretrovirali, c’è stata anche un’enorme esposizione all’infezione del virus Hiv da parte di queste donne.