Estrattivismo e coronavirus: in Colombia il carbone vale più della vita
Il Cerrejon, una delle miniere di carbone a cielo aperto più grandi al mondo, è accusato di togliere l'acqua e portare inquinamento agli indigeni Wayuu. Un gruppo di avvocati chiede che le attività siano sospese durante l'emergenza sanitaria in corso
Da Bogotà, Colombia
Il Cerrejon, una delle miniere di carbone a cielo aperto più grandi al mondo, in Colombia, non ferma le sue attività estrattive durante il lockdown per il Covid-19. L’uso delle risorse idriche della regione colombiana della Guajira pregiudica le condizioni di salute del popolo indigeno dei Wayuu, in un’area del paese già colpita da una forte aridità e con strutture sanitarie insufficienti. Con le sue attività di estrattivismo, l’impresa è accusata dalla comunità indigena autoctona di aver distrutto l’ambiente e di lasciare la popolazione senza accesso all’acqua durante l’epidemia.
Il collettivo di avvocati José Alvear Restrepo Cajar ha raccolto le proteste del popolo Wayuu e presentato una richiesta al relatore speciale delle Nazioni Unite per l’ambiente e i diritti umani perché le attività estrattive vengano temporaneamente sospese.
Secondo l’accusa, la miniera avrebbe ridotto le proprie attività estrattive a inizio pandemia, per poi ritornare lentamente ai normali ritmi produttivi, che presuppongono l’uso di milioni di litri d’acqua al giorno. Tutto questo in un contesto come quello della pandemia da coronavirus ancora in corso, in cui gli indigeni Wayuu non hanno adeguato accesso alle risorse idriche per poter tutelare la propria salute.
«In sostanza, le comunità stanno cercando di far sospendere le attività estrattive nel contesto attuale», dice Monica Feria-Tinta, avvocato del Cajar.
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Estrattivismo: il significato di decenni d’attività per persone e ambiente
Il Cerrejon è una delle miniere di carbone a cielo aperto più grandi al mondo, gestita dalle multinazionali Glencore, Angloamerican e BHP Billinton. L’estrazione di carbone nella regione della Guajira è cominciata nel 1984 e da allora non si è mai fermata. Nel 2019 il Cerrejon ha esportato 26,3 milioni di tonnellate di carbone, destinato principalmente al Nord America, all’Europa e ad altri paesi del Mediterraneo.
Il libro d’inchiesta Barbaros Hoscos, finanziato dal Centro de Investigación y Educación Popular (Cinep), il Centro per l’investigazione e l’Educazione Popolare, una fondazione indipendente che lavora per la costruzione della pace in Colombia, ricostruisce così il percorso della miniera. Nei primi anni di attività lo Stato colombiano possedeva il 50% delle azioni della società e questa partecipazione fu fondamentale per la compravendita dei terreni dagli indigeni Wayuu e da popolazioni afrodiscendenti per la miniera, che in cambio dell’estrazione si impegnava a portare nella regione infrastrutture sanitarie, strade e scuole. Nel 2000 lo Stato colombiano, unico garante di questo accordo, vendette le proprie azioni lasciando l’impresa in mani private.
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Estrattivismo e povertà: la situazione in Guajira
La Guajira oggi è la seconda regione più povera della Colombia e vive da decenni una crisi umanitaria e ambientale molto grave. Secondo le associazioni che si battono contro la miniera a cielo aperto, per il suo fabbisogno idrico il Cerrejon consuma circa 17 milioni di litri d’acqua al giorno.
Il libro Barbaros Hoscos ricostruisce anche i cambiamenti del territorio e delle risorse idriche della regione, che hanno portato ad abitudini di vita del popolo indigeno dei Wayuu radicalmente diverse.
Privati dell’acqua, i Wayuu hanno dovuto abbandonare l’agricoltura e l’allevamento, loro principali fonti di sussistenza. E negli anni la miniera è riuscita ad appropriarsi del fiume Rancheria, l’unico presente nella regione, e ha convogliato con dighe e barriere per i propri bisogni i nove affluenti che lo alimentano, fino a prosciugarli uno dopo l’altro.
Le borse dello scandolo: popolo indigeno Wayuu costretto ad abbandonare l’agricoltura
«Con la perdita delle loro attività tradizionali, i Wayuu si sono ritrovati a essere sempre più obbligati a sopravvivere attraverso le vendite delle loro attività artigianali», spiega a Osservatorio Diritti Ruth Chaparro, direttrice della Fondazione Fucai che da anni lavora in progetti di sviluppo con le comunità Wayuu.
«Le loro vendite dipendono da un consumatore arrogante, che pretende una produzione sempre più grande e a prezzi sempre più bassi. In molti casi le donne Wayuu sono obbligate a cucire anche di notte, in case dove manca l’energia elettrica. Il prezzo finale di vendita a volte non basta neanche per ripagare le materie prime».
Le borse Wayuu oggi sono vendute in tutto il mondo, ma la loro produzione è sinonimo di mancanza di alternative. «Più hanno fame, più le donne Wayuu sono obbligate a cucire borse», dice ancora Ruth Chaparro, Fondazione FUCAI
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Coronavirus: l’emergenza sanitaria in Colombia
Nell’attuale contesto di pandemia, la Colombia si è mossa rapidamente e da metà marzo ha applicato misure simili a quelle dei paesi europei più colpiti dal nuovo coronavirus.
Nonostante gli sforzi, però, i contagi e i morti continuano ad aumentare, mentre le terapie intensive disponibili e gli ospedali stanno collassando. La situazione è preoccupante nella Guajira e nelle altre regioni periferiche del paese, dove non sono presenti né strutture ospedaliere adeguate, né il personale medico specializzato, né tamponi o respiratori.
Estrattivismo: la versione della società e quella delle madri Wayuu
L’azienda Il Cerrejon Coal (joint venture tra le tre multinazionali), che si presenta come un’impresa di estrazione mineraria ecosostenibile, comunica attraverso le sue reti sociali di rispettare tutte le misure di sicurezza previste dal ministero della Salute colombiano e di aver regalato a tre ospedali della regione altrettanti respiratori.
Sempre secondo quanto si legge nel sito web della compagnia, l’impresa avrebbe distribuito più di 50.000 aiuti alimentari, dato gratuitamente mascherine e gel antibatterico e messo a disposizione della popolazione 15 milioni di litri d’acqua per affrontare l’emergenza sanitaria.
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Le dichiarazioni dell’impresa, però, contrastano con le quelle che le madri Wayuu hanno fatto al relatore delle Nazioni Unite. La comunità Wayuu, attraverso i suoi portavoce, trova inaccettabile vivere ai piedi di una delle più grandi aziende del mondo e non aver un accesso dignitoso all’acqua potabile e a strutture mediche di base, ancor più nel corso di una pandemia.
Le comunità Wayuu, inoltre, si lamentano da anni per l’aumento delle malattie respiratorie, specialmente infantili, causate dalle micropolveri che si sollevano nell’atmosfera con le esplosioni fatte dalla miniera. La contestazione, inoltre, coinvolge anche lo Stato colombiano, che fino ad oggi non ha effettuato alcuna seria ricerca che documenti il reale consumo dell’acqua da parte dell miniera e le sue responsbilità sull’inquinamento del territorio.