Centri di detenzione in Libia: ong sotto accusa per collaborazione sui migranti

Hanno vinto bandi per 6 miliioni di euro per interventi nei centri di detenzione per migranti in Libia. Ma non si sa con precisione come siano stati spesi questi soldi pubblici. E c'è il sospetto che questa attività legittimi e sostenga le violazioni dei diritti umani. Lo scrive l'Associazione studi giuridici sull'immigrazione in un nuovo report

Tre diversi bandi, con cinque ong capofila, per un ammontare complessivo – dal 2017 a oggi – di 6 milioni di euro. Sono i fondi stanziati dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (Aics) per interventi da parte di organizzazioni non governative italiane all’interno dei centri di detenzione in Libia.

Bandi che l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha passato al setaccio. Nel suo rapporto “Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S.”, infatti, l’associazione ha messo in evidenza la «drammaticità delle condizioni di vita nei centri di detenzione».

Ma il documento, soprattutto, mette in discussione il ruolo delle ong che hanno accettato di lavorare in queste condizioni. Secondo l’Asgi, infatti, bisogna «interrogarsi sulla legittimità degli interventi attuati da alcune ong italiane all’interno dei centri di detenzione libici con i denari pubblici stanziati dal Maeci (ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, ndr) e gestiti dall’Aics. Occorre in particolare chiedersi se gli interventi in questione non rischino di conferire, oltre che una forte legittimazione esterna alla stessa esistenza dei centri e alle note dinamiche di abuso e sfruttamento perpetrate al loro interno, un contributo materiale all’esistenza di tale sistema o finanche agli abusi commessi nei centri».

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Foto: IOM TRIPOLI

Il memorandum Italia-Libia e il Fondo Africa

La disamina dell’Asgi parte dall’analisi del memorandum Italia-Libia del febbraio 2017, con il quale il governo italiano ha assunto impegni nei confronti del governo di Tripoli in relazione alla gestione dei flussi migratori: i centri di accoglienza per “migranti illegali” sono oggetto di precise disposizioni, attraverso le quali l’Italia si impegna espressamente ad adeguare e finanziare tali centri, nonché a formare il personale libico che vi opera.

Settimane prima della firma del memorandum, i fondi erano stati stanziati con la legge di bilancio 2016, con la quale il Parlamento italiano istituiva per la prima volta, a valere per l’anno 2017, un fondo pari a 200 milioni di euro (il cosiddetto Fondo Africa) per interventi a favore dei paesi maggiormente interessati dal fenomeno migratorio con lo scopo dichiarato di assicurare la piena cooperazione con i Paesi di origine e di transito.

Il rapporto Asgi si concentra sugli interventi del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale destinati alle comunità libiche locali e ai centri di detenzione per migranti e rifugiati, finanziati attraverso l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo.

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Centri di detenzione in Libia: dieci ong per nove progetti

I fondi stanziati dall’Aics nel 2017 per interventi da parte di ong italiane all’interno di centri di detenzione in Libia ammontano complessivamente a 6 milioni di euro, somma appaltata attraverso tre diversi bandi.

La cifra è stata ripartita tra nove progetti con cinque ong capofila: Emergenza Sorrisi, Helpcode, Cefa, Cesvi, Terre des Hommes Italia (le altre ong coinvolte nell’attuazione dei progetti come partner sono: Fondation Suisse de Deminage, GVC (già We World), Istituto di Cooperazione Universitaria, Consorzio Italiano Rifugiati (CIR), Fondazione Albero della Vita). I bandi sono dedicati a specifici centri di detenzione nelle vicinanze di Tripoli: Tarek Al Sikka, Tarek Al Matar, Tajoura, Sabratha e Zuwara.

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Dove sono i centri di detenzione in Libia in cui operano le ong

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I centri di detenzione per migranti interessati da interventi di ong italiane con fondi Aics (dal rapporto dell’Asgi)

Nei centri di detenzione migranti vittime di torture e condizioni di vita drammatiche

Secondo quanto riportato dal rapporto dell’Asgi, i tre bandi riconoscono la drammaticità delle condizioni di vita nei centri considerati.

«Le drammatiche situazioni dei centri sono determinate, secondo quanto espressamente riportato da ciascun bando, da criticità ricorrenti, tra cui il sovraffollamento; la scarsità di cibo e acqua potabile; l’accesso limitato o inesistente ai servizi sanitari; la completa assenza di qualsiasi servizio di assistenza psicosociale; le condizioni igieniche assolutamente insufficienti a garantire condizioni di vita dignitose».

Entrando nel dettaglio, si osserva come esistano alcune criticità comuni a tutti i centri. A partire dal capitolo strutture abitative e spazi comuni: «Molti centri sono pericolosamente sovraffollati, con scarsa luce naturale e ventilazione. Sono strutture inadatte ad accogliere persone, essendo spesso ex fabbriche o magazzini, ex carceri o caserme completamente privi di spazi privati e inadeguati a ospitare un numero elevato di persone per periodi di medio-lunga durata».

La condivisione forzata in spazi limitati, inoltre, determina gravi problematiche psicologiche che si sommano a quelle causate dal lungo e tormentato viaggio precedente l’arrivo in Libia: molte persone mostrano chiari sintomi di disturbo post-traumatico e soffrono di attacchi di panico, depressione e ansia. Ma non esiste alcun servizio di sostegno psicologico.

Servizi sanitari, cibo e servizi igienici: cosa sono i centri di detenzione in Libia

Ai migranti e rifugiati trattenuti nei centri non è garantito, inoltre, l’accesso sicuro ai servizi sanitari: le cure mediche sono erogate dalle poche organizzazioni umanitarie presenti, con prestazioni di servizi limitate e non costanti.

Secondo quanto affermato dal dipartimento per il Contrasto all’immigrazione clandestina del ministero dell’Interno libico, poi, i centri dovrebbero fornire, attraverso aziende esterne, tre pasti al giorno. Nei fatti, invece, la dieta è composta di norma da: pane, un po’ di burro, tonno, riso e pasta per pranzo e cena, ma in quantità decisamente insufficienti.

E non è tutto: a causa di mancati o ritardati pagamenti, tale servizio, già di per sé insufficiente, viene spesso interrotto ed i rifugiati e migranti rimangono per giorni senza mangiare.

E da ultimo la scarsità nell’accesso ai servizi igienici, che provoca elevati tassi di malattie infettive, specie quelle legate a infezioni cutanee, infestazioni di pidocchi, scabbia e pulci.

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Foto tratta dalla pagina Facebook della Libyan Coast Guard

Il ruolo delle ong nei centri di detenzione libici

Se di abusi e condizioni degradanti nei centro libici si è già scritto molto, è meno nota l’attività condotta dalle organizzazioni non governative che si sono aggiudicate questi bandi. Su questo aspetto, il report scrive: «Nei tre centri nei pressi di Tripoli le ong svolgono un’attività strutturale, che si sostituisce in parte alle responsabilità di gestione quotidiana dei centri che spetterebbe al governo libico. Alcuni interventi, inoltre, sono a beneficio non già dei detenuti ma della struttura detentiva, preservandone la solidità strutturale e la sua capacità di ospitare, anche in futuro, nuovi detenuti».

Accuse pesanti. Che, peraltro, non si fermano qui. L’associazione di giuristi, infatti, analizza anche gli interventi realizzati all’interno dei centri di Al-Khoms/Souq al Khamis e di Al-Judeia/Sabaa, dove si riferisce che sono state realizzate attività di ripristino e messa in sicurezza di cancelli, coperture e recinzioni.

«Tali interventi, volti a mantenere in efficienza manufatti di natura contenitiva, sono quantomeno ambigui da un punto di vista giuridico, in quanto possono aver contribuito al mantenimento di detenuti nella disponibilità di soggetti notoriamente coinvolti, anche specificatamente in quei due centri, in gravi violazioni di diritti fondamentali».

Una situazione tanto delicata da far arrivare l’Asgi a queste conclusioni:

«Le condotte del personale delle ong coinvolte potrebbero avere apportato un contributo causalmente rilevante alla detenzione delle persone al loro interno, nella consapevolezza che ciò avrebbe potuto portare alla commissione di gravi reati nei loro confronti».

Spese poco trasparenti e ruolo delle milizie

Il contesto generale in cui avvengono le attività delle ong coinvolte e l’assenza di personale italiano sul posto non favoriscono trasparenza e sicurezza.

«Come riconosce la stessa Aics, il governo libico esercita un controllo diretto solo su pochi centri interessati dagli interventi italiani: molti altri invece sono, di fatto, gestiti da milizie armate. Ciò, unito alla situazione di grave instabilità e violenza che caratterizza il contesto libico, diminuisce la capacità di monitoraggio dell’effettiva attuazione dei progetti, accrescendo il rischio che gli interventi vengano attuati in modo solo parziale e che i beni non raggiungano i veri beneficiari. I rendiconti contabili a dir poco approssimativi di alcune ong all’Aics sulle spese sostenute avvalorano l’ipotesi che le stesse ong non siano in grado di verificare come i fondi dei progetti siano stati spesi dai loro implementing partner sul campo, e non consentono di escludere che di almeno parte dei fondi abbiano beneficiato i gestori dei centri, ossia quelle milizie che sono talora anche attori del conflitto armato sul territorio libico nonché autori delle già ricordate sevizie ai danni dei detenuti».

Le politiche per i migranti del governo libico

Il rapporto cerca anche di individuare la catena di responsabilità. «La grande maggioranza delle criticità individuate all’interno dei centri di detenzione paiono riconducibili non già a una situazione di crisi transitoria, da una situazione di indigenza del paese o comunque da fattori indipendenti dalla volontà del governo libico, bensì da precise decisioni politiche del governo libico stesso», si legge nel report.

Per cominciare, secondo i bandi la spesa pubblica pro-capite del governo libico per le razioni alimentari va dai 5 ai 10 Lyd al giorno (pari a 0,5-1 euro). Ed è il governo libico a decidere di mettere i detenuti in centri che i bandi descrivono come «pericolosamente sovraffollati, con scarsa luce naturale e ventilazione, inadatti ad accogliere persone».

È una decisione del governo libico – mette in evidenza il rapporto – quella del numero di stranieri da collocare nei centri di detenzione. L’ingresso irregolare in Libia costituisce un reato punito con la reclusione: a fronte della presenza documentata di 679 mila migranti entrati in Libia (le stime non ufficiali arrivano fino a un milione), i centri di detenzione “ufficiali” ospitavano a settembre 2018 circa 8 mila persone, ossia poco più dell’1% del totale dei migranti passibili di sanzioni detentive.

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