L’Onu condanna l’India: chi contesta la legge anti-musulmani va liberato

Un gruppo di esperti in diritti umani dell'Onu condanna l’India per arresti arbitrari e motivati politicamente di attivisti e studenti. In un momento in cui l’epidemia investe ancora duramente il subcontinente (il Paese è da ieri il terzo Stato al mondo più colpito dal nuovo coronavirus), il governo di Narendra Modi reprime le proteste contro la legge sulla cittadinanza anti-musulmani

A fine giugno, un gruppo di esperti in diritti umani delle Nazioni Unite ha condannato l’India chiedendo che venissero «immediatamente» liberati gli attivisti arrestati in relazione alle proteste deflagrate a dicembre contro l’emendamento alla legge sulla Cittadinanza (Citizenship Amendment Act, in inglese, il cui acronimo è Caa).

«Sembra che gli attivisti, molti dei quali studenti, siano stati arrestati semplicemente perché esercitavano il loro diritto di denunciare e protestare», si legge nella dichiarazione dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (Ohchr).

«Il loro arresto sembra chiaramente studiato per lanciare un agghiacciante messaggio alla vivace società civile indiana che le critiche al governo non saranno tollerate».

India: proteste contro l’emendamento alla legge sulla cittadinanza

Lo scorso dicembre, il governo etno-nazionalista capeggiato da Narendra Modi, ha passato un controverso emendamento alla legge sulla cittadinanza che trattava con discriminazione nei confronti della minoranza musulmana.

La legge – sostenuta dalla destra hinduista – ha creato una sorta di corsia preferenziale per la naturalizzazione di rifugiati e «immigrati irregolari» appartenenti a sei minoranze religiose e provenienti da Bangladesh, Afghanistan e Pakistan e arrivati in India prima del 2015, escludendo apertamente quella musulmana.

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Il primo ministro dell’India, Narendra Modi (in centro) – Foto: Press Information Bureau, Government of India (via Wikimedia Commons)

Legge anti-musulmani: norma contro la Costituzione

L’emendamento ha scatenato un’ondata di proteste che, partite dalle università, si sono via via allargate a tutto il Paese. Rendere l’appartenenza religiosa un prerequisito per la cittadinanza si scontra con i principi secolari sanciti nella Costituzione Indiana, era il grido che echeggiava da nord a sud del subcontinente.

Le proteste hanno avuto una portata senza precedenti nella storia indiana recente, contraddistinte in larga parte per il loro carattere pacifico e inclusivo. Ma si sono scontrate con il braccio armato della repressione governativa. Gli esperti si sono detti preoccupati che la risposta delle autorità alle proteste sia stata «discriminatoria».

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Proteste contro la legge anti-musulmani in India – Foto: Muzammil (via Wikimedia Commons)

Proteste in India: attivisti e studenti arrestati

Numerosi attivisti anti-Caa sono stati arrestati in relazione alle violenze esplosa a febbraio scorso di Nuova Delhi e successivamente accusati ai sensi della legge contro le «attività illegali» (Uapa), una legge anti-terrorismo spesso usata per reprimere le voci di dissenso, e quella sulla sicurezza nazionale (Nsa), che prevende l’arresto preventivo sulla base di un semplice sospetto.

Nella loro dichiarazione, gli esperti delle Nazioni Unite hanno fatto i nomi di undici arrestati, affermando che i loro casi includevano «gravi accuse di violazioni dei diritti umani, tortura e maltrattamenti in custodia».

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L’attivista scarcerata e i nomi di chi è ancora detenuto in India

Il gruppo di esperti Onu ha detto che il caso più preoccupante riguardava quello di Safoora Zargar, 27 anni, studentessa della Jamia Millia Islamia University e attivista, arrestata in relazione alle proteste di Delhi nonostante fosse in avanzato stato di gravidanza e tenuta in isolamento mentre imperversa la pandemia (che in India non ha ancora raggiunto il picco, secondo gli esperti).

A Zargar, recentemente scarcerata su cauzione per motivi umanitari, era stato negato qualsiasi contatto con la famiglia, cure mediche e una dieta adeguata a una donna incinta.

Gli altri attivisti anti-Caa – Meeran Haider, Gulfisha Fatima, Asif Iqbal Tanha, Devangana Kalita, Natasha Narwal, Khalid Saifi, Shifa Ur Rehman, Kafeel Khan, Sharjeel Imam e Akhil Gogoi – sono tutt’ora in detenzione.

«Le autorità dovrebbero rilasciare immediatamente tutti i difensori dei diritti umani che sono attualmente in detenzione preventiva senza prove sufficienti, spesso solo sulla base di discorsi che criticavano la natura discriminatoria del Caa», hanno detto gli esperti Onu, sottolineando come le autorità non abbiano invece mosso un dito contro i leader del partito al governo e i suoi sostenitori accusati di «incitare odio e violenza».

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Proteste al Jamia Millia Islamia, India, dicembre 2019 – Foto: DiplomatTesterMan (via Wikimedia Commons)

Delhi: le proteste di febbraio, gli estremisti hindu e le violenze contro i musulmani

Nell’ambito delle proteste contro la legge sulla cittadinanza, lo scorso febbraio, alcuni quartieri di New Delhi, diventata il centro delle proteste su scala nazionale, sono stati travolti da un’ondata di violenza come non si vedeva nella capitale dalla metà degli anni ‘80.

Interi quartieri a maggioranza musulmana sono stati messi distrutti da bande armate di estremisti hindu che hanno terrorizzato i residenti e causato la morte di almeno 53 persone, in larga parte musulmane.

Violenza mirata e il partito del premier Modi

La violenza settaria nella capitale era scoppiata dopo un discorso di un membro locale del partito al governo, il Bharatyia Janata Party del premier Modi, che aveva invitato i suoi sostenitori a «impartire una lezione» agli attivisti anti-Caa.

Anche il ministro dell’Interno e braccio destro di Modi aveva incitato a «sparare ai traditori». Un’indagine della polizia ha di recente rivelato che gli attacchi sono stati frutto di un’azione premeditata e orchestrata.

«Oggi, mentre la pandemia di Covid-19 infuria in tutta l’India e nelle sue prigioni, il governo indiano, distolto dalla sua responsabilità di proteggere tutti i cittadini, continua ad arrestare leader studenteschi, difensori dei diritti umani e giornalisti sulla base di leggi repressive», ha detto Amnesty International India, lanciando la campagna Ungag dissent. La diffusione del virus nelle carceri indiane rende ancora più urgente il loro rilascio immediato, secondo gli esperti Onu.

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