Eni Nigeria: gli uomini del governo dietro le presunte tangenti per Opl 245
Al processo di Milano i magistrati delineano perché, secondo loro, fu corruzione internazionale. Partendo dai pubblici ufficiali coinvolti in Nigeria: ecco chi sono quelli che avrebbero guadagnato con la licenza Opl 245. Per l'accusa, Eni e Shell sapevano che l'accordo si sarebbe chiuso solo con delle tangenti
Il 2 luglio è iniziata a Milano la due giorni di requisitoria del processo Opl 245 sul caso di presunta corruzione in Nigeria che vede imputate Eni e Shell.
Secondo la procura di Milano, l’assegnazione del blocco petrolifero, il cui valore potenziale è stimato in 9 miliardi di barili di greggio, sarebbe avvenuta a seguito del pagamento di una tangente da 1,1 miliardi di dollari, versata su un deposito a garanzia della banca JP Morgan a Londra intestato al governo nigeriano nel maggio 2011.
Alla prossima udienza, il 21 luglio, è attesa la requisitoria di Fabio De Pasquale, con la formulazione delle richieste di pena fatta dai pm.
Il processo: l’accusa di corruzione internazionale aggravata a Eni e Shell
Le 7 ore di requisitoria di Sergio Spadaro, il pm che insieme al collega Fabio De Pasquale ha seguito il caso, hanno analizzato il ruolo dei pubblici ufficiali nigeriani nella vicenda, approfondendo le loro relazioni con i vertici delle due compagnie petrolifere.
I protagonisti sono accusati di corruzione internazionale aggravata, con Eni e Shell coimputati in base alla legge 231 del 2001, che prevede la responsabilità penale per le imprese in caso di reati che le avvantaggino.
«Erano tangenti. E loro lo sapevano». «Loro» sono Eni e Shell. Le tangenti sono gli 1,1 miliardi di dollari versati sul conto di garanzia londinese. La frase pronunciata da Sergio Spadaro nell’ambito della sua requisitoria è la sintesi della posizione dell’accusa in merito alla vicenda Opl 245.
Spadaro cita anche una comunicazione di Malcom Brinded, Ceo di Shell: l’accordo per il governo della Nigeria «è una perdita da 800 milioni di dollari». Quella è la cifra destinata a compensare Dan Etete, ex ministro del Petrolio ritenuto dall’accusa il collettore delle tangenti per tutti gli uomini politici nigeriani.
Il giorno prima dell’inizio della requisitoria, Eni ha pubblicato online una “pagina di fact-checking” per smontare quelle che ritiene siano le falsità diffuse nell’ambito del dibattimento. E sottolinea, in un comunicato stampa, che l’azienda ha pagato un prezzo di mercato all’esecutivo nigeriano, «in modo chiaro e trasparente».
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Opl 245: i protagonisti nigeriani del processo Eni Nigeria nella requisitoria di Spadaro
Durante la sua requisitoria, il pm Sergio Spadaro ha ricostruito il contesto politico della Nigeria e il modo in cui dentro questo inamovibile cartello di potenti, con una storia di affari sporchi già alle spalle, si siano inseriti i numerosi intermediari di Eni e Shell.
Affinché si configuri il reato di corruzione internazionale è necessario che ci siano delle figure pubbliche di cui il corruttore “compra” il favore con denaro o altri beni.
Così Spadaro li ha elencati: Goodluck Jonathan, Alison Diezani-Madueke, Mohammed Adoke Bello e Aliyu Mohamed Gusau. Il minimo comune denominatore: a modo loro, sono tutti legati all’ex ministro del Petrolio Dan Etete, il proprietario ombra di Malabu Oil&Gas, la società che vende la licenza ai colossi petroliferi.
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Eni Nigeria: chi è Goodluck Jonathan
«Fortunato, non solo di nome». Il pm Sergio Spadaro commenta così la carriera politica di Goodluck Jonathan, l’uomo che ha guidato la Nigeria dal 2010 al 2015. Ogni volta che è stato nominato vice, chi stava sopra di lui per qualche motivo ha dovuto cedere il passo.
La prima volta è accaduto nel 2005, nello Stato di Bayelsa, regione ricca di petrolio da cui provengono due dei quattro pubblici ufficiali coinvolti nella tangente.
Diepreye Alamieyeseigha, che lo aveva scelto come secondo nel 1999, fu coinvolto in uno scandalo di corruzione. Poi, nel febbraio 2010, divenne presidente di fatto della Nigeria, per poi essere riletto nel 2011: il suo predecessore, Umaru Yar’adua, si era ammalato gravemente e gli aveva dovuto cedere il posto.
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Jonathan, l’ex ministro del Petrolio e la licenza Opl 245
Eppure, Jonathan nella vicenda Opl 245 appare rispondere a ordini di qualcun altro. Infatti l’ex presidente appare, spiega il pm Spadaro, in piena soggezione di Dan Etete. Jonathan ha lavorato come maestro privato per i figli dell’ex ministro del Petrolio. Nei suoi confronti ha una reverenza dovuta sia alla differenza di età, sia al ruolo che Etete ricopre nella comunità tribale.
Nel 2010 Jonathan dimostrò questa gratitudine riassegnando la licenza Opl 245 a Malabu, dopo che il predecessore di Yar’adua, Olesegun Obasanjo, gliela aveva tolta in quanto rappresentate del suo principale avversario politico, l’ex dittatore Sani Abacha.
Le tensioni politiche che hanno dilaniato la Nigeria a partire dagli anni Ottanta si condensano tutte nell’attribuzione di una singola licenza, percepita, evidentemente, come un bancomat attraverso il quale arricchirsi in prima persona.
Eni Nigeria: il rapporto tra Claudio Descalzi e Jonathan
Dalla ricostruzione dell’accusa, emerge che i politici coinvolti nella presunta maxi-tangente hanno ciascuno una compagnia petrolifera di riferimento. È chiaro che la maggiore confidenza di Jonathan è con Eni, anzi, con l’attuale amministratore delegato Claudio Descalzi, al quale è legato da una profonda amicizia.
Ne parlano anche i dirigenti di Shell, inquadrando il rapporto come un vantaggio concorrenziale di Eni. Ma, in fondo, Jonathan risponde sempre a Etete, il vero deus ex machina dell’intera trattativa.
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Alison Diezani-Madueke, la “vorace” ex manager Shell
La descrizione della ministra del Petrolio di Goodluck Jonathan più concisa la offrono Vincenzo Armanna – imputato e accusatore, ex manager di Eni in Nigeria – e Claudio Descalzi, l’amministratore delegato indagato, nel confronto a cui li ha sottoposti la procura nel luglio 2016.
«In quattro anni – ricorda Descalzi – l’ho vista solo una volta. Meglio starle lontani…». «Era un po’ vorace», chiosa Armanna. Un altro imputato, l’ex diplomatico russo Ednan Agaev, ritenuto uno dei negoziatori di Shell, la definisce in un interrogatorio «estremamente avida».
Nel giro di un anno, Alison Diezani-Madueke si ritrova dall’essere la prima presidentessa donna dell’Opec, la Lega dei Paesi produttori di petrolio (fine 2014), a finire in arresto in Gran Bretagna, dove viveva, con l’accusa di corruzione e distorsione di denaro pubblico.
L’inchiesta era partita dalle denunce dell’allora governatore della banca centrale nigeriana e sono state formalizzate, in Nigeria e non in Gran Bretagna, dopo quasi due anni. Diezani è stata rilasciata dopo qualche giorno, ma resta il fatto che oggi sia stata costretta ad acquistare la cittadinanza dominicana, in fuga dalla Nigeria, con beni di proprietà già sotto sequestro in Gran Bretagna e in Nigeria.
Talmente vicina a Jonathan dall’essere ritenuta la sua amante segreta (lei ha sempre negato), Diezani, secondo l’accusa, sarebbe stata il centro di una macchina corruttiva che ha raccolto denaro – anche con Opl 245 – per proteggere la elite politica intorno a Jonathan e comprarsi i risultati delle elezioni successive (perse, per altro).
In più, è lontana parente anche di Dan Etete.
Prima di rivestire il ruolo di ministro del Petrolio, Diezani, nata nello Stato di Rivers ma sempre attiva in quello di Bayelsa, è stata direttrice di Shell in Nigeria. È lei a firmare, insieme al ministro della Giustizia Adoke Bello, la riassegnazione di Opl 245 a Malabu, a patto che l’azienda paghi 210 milioni.
Malabu non aveva personale e non aveva introiti. E qui si sarebbe costruito lo schema per inserire la tangente. Sotto Obasanjo, come detto, Opl 245 era stata riassegnata. Se l’era aggiudicata in concessione Shell, che in quegli anni aveva già cominciato a investire. Così si è mantenuta la posizione di vantaggio anche con la nuova assegnazione a Malabu.
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Eni Nigeria: Adoke Bello e le presunte tangenti
Adoke Bello, ministro della giustizia di Goodluck Jonathan, è stato prima arrestato a Dubai dall’Interpol, per pochi giorni, a novembre 2019, per poi essere fermato nuovamente dalle autorità nigeriane non appena rientrato nel suo Paese d’origine.
L’accusa mossa dall’Economic financial crime commission (Efcc) è di aver incassato un paio di milioni di dollari della maxitangente, soldi arrivati su un conto aperto nel febbraio 2012 presso la banca Unity.
Adoke Returns to Nigeria to Face Corruption Charges
Former Attorney General of the federation and Minister of Justice, Mohammed Adoke, has arrived Nigeria from Dubai.
The ex-AGF left Dubai following pressure from EFCC.#SayNoToCorruption #UnitedAgainstCorruption pic.twitter.com/FiSps0SuDF— EFCC Nigeria (@officialEFCC) December 19, 2019
Il pm Sergio Spadaro ricorda che Adoke Bello, a inizio carriera, aveva lavorato come avvocato di Etete. Il quale, a quanto sembra, non gli ha mai pagato la parcella. Per questo motivo Adoke vede in Opl 245 una possibilità di guadagno personale.
Il suo intervento è decisivo a cavallo tra il 2010 e il 2011, prima approvando la riassegnazione della licenza a Malabu Oil & Gas, poi facendo sedere di nuovo a un tavolo venditore (Etete), acquirenti (Eni e Shell) e il principale intermediario (Emeka Obi) e, infine, firmando il resolution agreement, l’accordo finale che permette di sbloccare il pagamento di Opl 245.
Era vicino alle posizioni di Obi, per il quale era riuscito a trovare un accordo in merito al compenso (55 milioni di dollari), minacciando di restituire la licenza allo Stato se non si fosse proceduti in modo spedito. La minaccia restò lontanissima dal potersi concretizzare: Adoke per di più implorò Etete di scendere a patti e di riconoscere il ruolo di Obi.
Nigeria, Mr. Corruzione e il ministro della Giustizia
L’intervento di Adoke, ricostruisce sempre la pubblica accusa, è coordinato con quello di Aliyu Abubakar, il petroliere soprannominato Mr. Corruption, che nella presunta maxitangente ha il compito di rendere disponibili in contanti 500 milioni ricevuti da Dan Etete.
Aliyu, inoltre, cede a Adoke Bello una villa nel centro di Abuja a 300 milioni di naira, circa 730 mila dollari. Il prezzo è meno della metà degli 1,9 milioni di dollari che Aliyu ha sborsato per il suo acquisto, a ottobre 2011, pochi mesi prima.
Quando nel 2015 s’insedia in Nigeria, il nuovo governo di Muhammadu Buhari, tutt’oggi al potere, Adoke Bello va in Olanda, dove si trasferisce – sostiene – per seguire un nuovo corso di laurea. La sua abitazione, per la quale pagava un affitto di 8.995 euro al mese, è stata perquisita a marzo 2016, insieme al quartier generale di Shell.
Aliyu Gusau, l’uomo che doveva appoggiare Shell
«I presidenti cambiano, Gusau no», ricorda il pm Spadaro. L’ultimo dei pubblici ufficiali nigeriani coinvolto nella presunta maxitangente per il blocco petrolifero Opl 245 dagli anni Ottanta, Aliyu Mohamed Gusau, è il principale punto di riferimento dei servizi di intelligence nigeriani, spesso con il ruolo di National Security Advisor, il più stretto consigliere del presidente in materia di sicurezza.
Gusau, secondo l’accusa, entra nelle trattative per favorire Shell. Da riscontri documentali, il pm Spadaro dimostra come riconoscesse a Etete il ruolo di collettore della tangente, a conferma di quanto tutti fossero consapevoli che la partita prevedesse delle mazzette.
Gusau, nei mesi dei negoziati, incontra sia Obi, sia Etete. È contattato da Ednan Agaev, ex diplomatico russo, per sentire anche le sue conoscenze apicali in Eni.
Che Gusau abbia fatto cassa con Opl 245 lo dimostrerebbero gli interrogatori di un avvocato, Jeffrey Tesler, e un politico nigeriano, Umar Bature. Il primo, ricostruisce sempre Spadaro, è stato condannato per corruzione per aver partecipato a un altro affare sporco in Nigeria, un gasdotto a Bonny Island; il secondo è uno dei tanti politici a cui Etete aveva promesso una parte, arrestato poi a Londra con una valigetta di denaro sporco, nel 2014.
Tesler ai magistrati dice di attendersi 2 milioni dall’affare, nulla a confronto di quanto spetta a Gusau. L’intervento di quest’ultimo, del resto, era fondamentale anche per il contesto politico di quel momento, con una area meridionale del Paese attraversata da milizie armate e un processo di pacificazione da cominciare.