Mutilazioni Genitali Femminili: 4,1 milioni bambine a rischio nel 2020

Ecco dati, analisi e testimonianze sulla situazione delle mutilazioni genitali femminili nel mondo secondo l'ultimo rapporto del Fondo Onu per la popolazione. La situazione più critica è ancora in Africa, ma migliaia di casi si segnalano anche in Europa

Rhobi Samwelly aveva 13 anni quando sua madre le disse che avrebbe dovuto sottoporsi a una mutilazione genitale femminile (Mgf) come ogni donna della comunità. Terrorizzata, dopo aver visto un’amica morire per quel motivo, aveva pregato di essere risparmiata, ottenendo solo la promessa che sarebbe stata usata «una buona lama». Non fu nemmeno così, però, perché Samwelly dopo la procedura sanguinò abbondantemente e rimase incosciente per ore.

Dal momento del risveglio divenne un’attivista impegnata nel cercare di porre fine a questa drammatica tradizione e fondò due case rifugio nei distretti di Butiama e Serengeti, nella regione di Mara, in Tanzania, per proteggere e accogliere le ragazze scappate di casa per evitare la sua stessa fine.

Le mutiliazioni genitali femminili nel rapporto Onu 2020

Quella di Samwelly è solo una delle testimonianze contenute nel rapporto 2020 del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) “Contro la mia volontà. Affrontare le pratiche dannose per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere”.

A 25 anni dalla conferenza delle donne di Pechino, l’organizzazione Onu fa il punto sul diritto alla salute sessuale e riproduttiva femminile in tutto il mondo, partendo proprio dalla piaga delle mutilazioni genitali femminili.

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Foto: © UNICEF/UNI134691/Bindra

Cosa sono le mutilazioni genitali femminili

Con mutilazioni genitali femminili si intende la rimozione parziale o totale dei genitali esterni, o la lesione di essi, senza motivazioni terapeutiche. Diverse le forme contemplate: si va dalla più invasiva, l’infibulazione, che recide o sutura parzialmente le grandi labbra, riducendo l’apertura vaginale a un piccolissimo buco, fino alle più lievi, se così si può dire, come la compressione della clitoride e delle piccole labbra, incisioni, raschiature e cauterizzazioni.

Nonostante in molte nazioni risultino ufficialmente illegali, si calcola che oggi circa 200 milioni di donne e bambine vivono con queste mutilazioni e che 4,1 milioni siano a rischio di subirne nel 2020.

Mgf: conseguenze per la salute fisica e psicologica

La procedura si svolge principalmente durante l’infanzia o la preadolescenza e rappresenta una violazione dei diritti alla salute, all’integrità fisica e alla psiche.

A volte può provocare la morte, ma anche quando non si arriva a questo estremo epilogo, i danni sono molto gravi e comprendono rapporti sessuali dolorosissimi, infezioni, cisti, infertilità, aumento del rischio di complicazioni durante il parto e mortalità neonatale. Oltre a traumi psicologici, depressione, incubi, panico e bassa autostima.

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Le cause: perché vengono praticate le mutilazioni genitali femminili

A mantenere in vita le Mgf sono l’errata convinzione che migliorino fertilità e igiene personale, ma soprattutto una cultura patriarcale ancora molto presente in diverse realtà.

Nonostante siano quasi sempre praticate dalle donne stesse, spesso madri convinte di preservare così purezza e onore delle figlie, altro non sono se non uno strumento per controllarne la sessualità, visto che sopprimono completamente il piacere.

«Esiste ancora l’idea che le donne sfregiate siano più controllabili e abbiano maggiori probabilità di rimanere con il marito e non scappare con altri uomini», spiega Samwelly, che deve fare ogni giorno i conti con questa realtà difficile da estirpare.

Dove sono diffuse: mappa delle mutilazioni genitali femminili dall’Africa all’Indonesia

Diffuse in molte parti del mondo, se pur con numeri differenti, le Mgf si concentrano in Africa. Gli ultimi dati disponibili mostrano che la percentuale di chi tra i 15 ai 49 anni le abbia subite varia da circa l’1% in Camerun (dal 2004) e Uganda (dal 2011), al 90% o più in Gibuti (dal 2006), Egitto (dal 2015), Guinea (dal 2018) e Mali (dal 2018).

Non mancano casi in Iraq, Yemen e in alcuni Paesi asiatici come l’Indonesia, dove secondo una stima del 2013 il 49% delle bambine di 11 anni o meno sono state sottoposti a tale rito.

Probabilmente a seguito del fenomeno migratorio in espansione negli ultimi dieci anni, questa pratica è arrivata anche in Australia (circa 50.000 dal 2017 ad oggi, secondo l’Australian Institute of Health e Welfare), Unione Europea, Giappone, Nuova Zelanda e Stati Uniti, dove i centri per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno stimato che 513.000 donne fossero a rischio o già raggiunte da questa sorte nel 2012, tre volte di più rispetto al 1990.

Segnalati anche casi in Colombia, Malesia, Oman, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Per quanto riguarda l’Europa, in Inghilterra e Galles a partire dal 2015 si pensa che 137.000 ragazze siano state sottoposte a mutilazioni genitali femminili, mentre uno studio del 2015 dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere ha stimato che la pratica abbia colpito fino a 1.600 donne in Irlanda, 1.300 in Portogallo e 11.000 in Svezia nel 2011. Dati successivi suggeriscono che altre migliaia abbiano subito il medesimo trattamento in Belgio, Germania, Italia e Paesi Bassi.

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Donna vittima di Mgf in Etiopia – Foto: ©UNICEF Ethiopia/2014/Tsegaye (via Flickr)

Mutilazioni genitali femminili in Italia

Un’indagine dell’università Milano Bicocca finanziata dal Dipartimento delle Pari Opportunità e presentata in concomitanza con il report Unfpa ha stabilito che in Italia le donne che hanno subito mutilazioni genitali femminili sono 85-90 mila, di cui 5-7 mila minorenni, con Nigeria ed Egitto come maggiori tributarie, e che le bambine oggi a rischio sono circa 5 mila.

L’indagine segue quelle del 2016 e del 2010, anni in cui il fenomeno aveva cifre molto più alte. Ciò significa che le premesse per un futuro migliore ci sono, dato che solo il 7,8% delle intervistate oggi farebbe alla figlia un taglio con asportazione e/o infibulazione e il 3,8% una pratica senza asportazione, contro un 76,6% che non la sottoporrebbe a nulla per nessun motivo, il 4,7% che opterebbe per un rito di passaggio alternativo e il 7,1% di indecise.

Mgf e povertà: la ricchezza conta nella diffusione delle mutilazioni

Oltre al fattore sociale e al patriarcato, anche la povertà gioca un ruolo fondamentale nel perpetuarsi del rito, generalmente più diffuso tra le famiglie povere delle aree rurali rispetto ai nuclei urbani più ricchi.

In Egitto dal 2015 oltre il 90% delle residenti di zone rurali ha subito mutilazioni genitali femminili, rispetto al 77% di quelle delle aree urbane. In Kenya chi vive lontano dalle città ha quasi il doppio delle probabilità di essere vittima di Mgf rispetto alle altre e in Mauritania oltre il 90% delle appartenenti a famiglie povere ha avuto a che fare con una qualche forma di mutilazione, rispetto al 37% delle più facoltose. Questo succede perché i genitori in difficoltà vedono nel matrimonio minorile l’unico modo per garantire la sicurezza delle figlie. Matrimonio possibile dopo averle rese “idonee”.

Fa eccezione il Burkina Faso, dove il 18% di Mgf si verifica nelle famiglie povere e il 36% nelle più abbienti.

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Foto: © UNICEF Ethiopia, 2016, Martha Tadesse (via Flickr)

Mgf: il ruolo di medici, infermieri e ostetriche

Un aspetto poco conosciuto, ma determinante, riguarda gli operatori sanitari. Secondo un report Unicef di quest’anno, a 52 milioni di ragazze sono state effettuate Mgf in ambulatori da parte di medici, infermieri o ostetriche che accettano di farlo sostenendo che l’uso di strumenti sterilizzati e la pulizia degli ambienti riducano danni e rischi di infezioni e complicanze.  https://www.unicef.it/doc/9673/mutilazioni-genitali-la-medicalizzazione-non-riduce-il-danno.htm

Questo è falso, perché a prescindere dalle condizioni queste operazioni non sono mai totalmente sicure e non esistendo alcuna giustificazione medica per praticarle restano in ogni circostanza una violazione dei diritti umani e dell’etica medica (Oms, 2016). Lo scopo di compierle in questo modo è tentare di “normalizzarle”, minando gli sforzi per eliminarle.

Buone notizie: le mutiliazioni genitali femminili calano

Fortunatamente, nonostante il numero assoluto sia in aumento a causa della crescita della popolazione globale, la percentuale di donne violate sta diminuendo progressivamente da anni.

Pur esistendone ancora molte donne convinte della validità di tale passaggio, infatti, sempre più spesso le giovani si rifiutano di sottoporsi a Mgf, aiutate anche dagli uomini che sostengono di non voler sposare una ragazza così orrendamente mutilata.

Agenda 2030: stop alle Mgf entro 10 anni

L’obiettivo dichiarato delle Nazioni Unite all’interno dell’Agenda Globale degli obiettivi di sviluppo sostenibile è quello di vedere sparire questa piaga nel giro dei prossimi 10 anni.

Per farlo le iniziative dovranno essere tante e sinergiche, a partire da quelle riguardanti l’istruzione delle nuove generazioni attraverso programmi scolastici volti a promuovere la parità di diritti tra ragazzi e ragazze.

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