Rom vittime di pregiudizi e violenze della polizia durante il lockdown
In Bulgaria e Slovacchia i rom hanno subito gravi discriminazioni e violenze da parte di polizia e militari. Fino ad arrivare a un caso di ragazzini picchiati da un agente. Lo denuncia il nuovo report di Amnesty International
La libertà non è mai la stessa per tutti, men che meno la reclusione. E quella imposta per il nuovo coronavirus non fa eccezione. Come conferma il nuovo rapporto di Amnesty International “Sorvegliare la pandemia“, infatti, ad avere la peggio sono stati gli ultimi.
In particolare, il documento testimonia come i corpi di polizia impegnati nei controlli sui lockdown in Europa abbiano preso di mira in maniera eccessiva le minoranze etniche e i gruppi marginalizzati, con violenze, controlli d’identità discriminatori, quarantene forzate e sanzioni.
Razzismo e violenza circolano tra le forze dell’ordine
La morte di George Floyd il 25 maggio 2020 ha messo in evidenza la pervasività dei controlli discriminatori e la loro impunità negli Usa (leggi Razzismo Usa: l’omicidio di George Floyd travolge gli Stati Uniti). Ma il problema, a quanto pare, coinvolge anche l’Europa.
«La violenza della polizia e le preoccupazioni sul razzismo istituzionalizzato non sono nuove, ma la pandemia da Covid-19 e l’applicazione coercitiva delle misure di lockdown a essa associate ne hanno semplicemente fatto emergere la diffusione», sottolinea Marco Perolini, ricercatore sull’Europa occidentale di Amnesty.
Nel report sono dodici i Paesi presi in esame, dove spesso le autorità hanno tentato di giustificare le azioni compiute sostenendo che le persone non stessero rispettando le misure di quarantena. Dimenticando, tuttavia, come in molti casi sia difficile, se non impossibile, per chi vive in condizioni di povertà, rispettare l’isolamento in assenza del materiale necessario e di altro sostegno.
Tra le minoranze più colpite da questa dura repressione ci sono i rom, soprattutto in Bulgaria e Slovacchia, dove tra marzo e maggio 2020 Amnesty International ha documentato casi di quarantene militarizzate in dieci insediamenti.
Leggi anche:
• Coronavirus: l’Ungheria viola la democrazia con la scusa del Covid-19
• Rom: in Italia è emergenza abitativa per 26 mila persone
• Forze dell’ordine: Italia fanalino di coda in Europa sui codici identificativi
Rom discriminati in Bulgaria
Il 13 marzo 2020 l’Assemblea nazionale della Bulgaria ha dichiarato lo stato di emergenza, dando vita a un lockdown che vietava i viaggi interurbani e poneva ampie restrizioni alla libertà di circolazione.
Nonostante la misura già stringente estesa a tutto il Paese, le autorità di diversi Comuni, assecondando la Procura del distretto di Sofia – secondo la quale i residenti di diverse etnie stavano deliberatamente violando il distanziamento sociale – hanno imposto quarantene obbligatorie alle comunità rom con ulteriori ordinanze. I villaggi e gli insediamenti informali sono stati quindi isolati con blocchi stradali e sorvegliati dal pattugliamento della polizia armata.
Queste misure sono state inizialmente applicate alle aree delle città di Nova Zagora, Kazanlak e Sliven, che ospitano circa 50.000 rom. Ma presto si sono estese ai grandi quartieri a prevalenza rom di Fakulteta e Filipovci, nella periferia di Sofia.
Impedire alle persone di lasciare gli insediamenti ha significato in molti casi un accesso insufficiente e insicuro all’acqua, ai servizi sanitari, alle forniture mediche e al cibo. Inoltre, molti residenti si sono trovati fuori dal lavoro informale da cui dipendono fortemente, tanto che un’indagine ha mostrato come il reddito medio nelle aree rom sia diminuito del 61% tra marzo e maggio 2020.
Diritti umani a rischio: rom tra droni e disinfestazioni
A minare ulteriormente i diritti umani ci hanno pensato alcuni comuni, tra i quali Burgas, dove le autorità si sono servite di droni con sensori termici per misurare da remoto la temperatura dei residenti negli insediamenti rom, monitorandone anche i movimenti.
Nella città di Jambol, infine, sono stati utilizzati aerei per disinfettare il quartiere rom popolato da 10.000 persone che, a causa di un focolaio di infezione, è stato tenuto in quarantena stretta anche dopo la conclusione dello stato di emergenza del 13 maggio.
Un atteggiamento giustificato dalle autorità dalla presunta mancanza di disciplina tra i residenti e dalla presenza di un elevato numero di persone di ritorno da Paesi europei gravemente colpiti, come Spagna e Italia. Una tesi, quest’ultima, più che mai traballante, visto che non risulta che i non rom tornati in Bulgaria dall’estero siano stati sottoposti alle stesse restrizioni.
Leggi anche:
• Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria
• Romania, dove l’economia cresce tra baracche e bambini di strada
Slovacchia: rom controllati da polizia e militari
Nel Paese cinque insediamenti rom sono stati posti sotto quarantena obbligatoria con controllo da parte della polizia e dei militari, al fine dichiarato di impedire la diffusione del coronavirus. Una misura estrema, che – sottolinea Amnesty – avvalora ancora di più le accuse di uso discriminatorio della forza da parte della polizia contro questa minoranza, visto che da diversi anni gli insediamenti sono teatro di episodi controversi ma mai indagati a fondo.
Il 3 aprile 2020 autorità ed esercito hanno iniziato a sottoporre ai test per il Covid-19 i residenti di alcuni villaggi, partendo da quelli dove molti di loro erano tornati dall’estero, in particolare dalla Repubblica Ceca e dal Regno Unito.
Senza fornire mezzi necessari per proteggersi e non garantendo l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, l’unico risultato è stato tuttavia quello della stigmatizzazione e del pregiudizio verso la comunità, non il contenimento della pandemia.
Leggi anche:
• Albini africani, in Malawi uccisi e usati nella stregoneria
• Coronavirus Thailandia: stato di emergenza e solidarietà
Cinque insidiamenti rom in quarantena
Gli eventi più significativi si sono verificati il 9 aprile, il giorno dopo la Giornata internazionale dei rom, quando il governo ha messo in quarantena cinque interi insediamenti nella Slovacchia orientale: tre nel villaggio di Krompachy e uno in ciascuno dei villaggi di Bystrany e Žehra.
A dettare la misura sarebbe stata la necessità di proteggere la salute pubblica, in quanto vi erano 31 casi positivi in quei cinque insediamenti popolati da oltre 6.800 residenti. Ma il dubbio è che si sia trattato di una detenzione arbitraria, che secondo il diritto internazionale dei diritti umani non può mai essere giustificata, neppure in tempi di emergenza pubblica.
La quarantena imposta a Bystrany è stata revocata il 25 aprile, a Krompachy il 1° maggio e a Žehra il 15 maggio. Tuttavia, anche dopo questa data, coloro che sono risultati positivi e i loro parenti, circa 100 persone, hanno continuato l’isolamento in abitazioni-container poste lungo il perimetro dell’insediamento e delle quali non si è a conoscenza se fossero o meno in linea con i requisiti sanitari dettati dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Abuso di potere sui minori rom
Non sono mancati gli episodi di violenza vera e propria. I residenti di Žehra, infatti, hanno riferito ad Amnesty International che un agente di polizia avrebbe aggredito verbalmente e minacciato fisicamente un rom, mentre nell’insediamento Stará Maša, nel villaggio di Krompachy, si sarebbe verificato un abuso verso cinque bambini.
La madre di tre di loro ha raccontato che i figli stavano raccogliendo legna e giocando vicino a un ruscello, in un luogo in cui i soldati avevano precedentemente permesso loro di andare, quando un agente di polizia li avrebbe seguiti. Dopo aver detto che se si fossero presentati di nuovo nell’area gli avrebbe sparato, li avrebbe portati in un tunnel e picchiati.
Il 6 maggio l’ispettore del ministero degli Interni ha avviato un’indagine sul presunto abuso di potere da parte dell’agente di polizia e al momento, a metà giugno, l’inchiesta è ancora in corso.
Infine, oltre alle accuse di uso illegale della forza, Amnesty International ha documentato che durante i primi giorni della quarantena obbligatoria nei cinque insediamenti rom, ai residenti non erano state fornite informazioni sulla durata e le condizioni della quarantena stessa e le autorità non avevano separato i positivi al Covid-19 dal resto della comunità.