Immigrazione Australia: violati i diritti umani dei migranti del Pacifico

In 19 anni la politica migratoria dell'Australia si è chiusa sempre di più, arrivando a rinchiudere richiedenti asilo e ad attuare respingimenti in mare verso isole remote. Ecco come si è arrivati a questo punto e qual è la situazione oggi

di Margherita Forni

Il “modello australiano”, inaugurato nel 2001 dall’allora primo ministro di centro-destra John Howard con la cosiddetta “Soluzione Pacifica”, ha prodotto un sistema di respingimento in mare e detenzione dei profughi su isole remote del Pacifico e in paesi terzi pagati dal governo. Da allora migliaia di richiedenti asilo, provenienti soprattutto dall’Asia, sono stati rinchiusi a tempo indeterminato, senza distinzione tra adulti e bambini, in centri lontani dalla terraferma in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato.

Nonostante che l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e Amnesty International abbiano più volte denunciato le politiche australiane e le condizioni precarie in cui versano i migranti nei centri di detenzione, nel susseguirsi dei governi liberali e laburisti il modello è stato non solo mantenuto, ma anche inasprito.

Nel dicembre 2014 gran parte dei riferimenti alla Convenzione di Ginevra del 1951, relativa allo status dei rifugiati, sono stati cancellati dalla legge sull’immigrazione australiana. La norma, rivista e corretta, afferma che per l’Australia l’obbligo internazionale di non respingimento è “irrilevante” rispetto a un “non-cittadino illegittimo”.

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Foto: John Englart (via Flickr)

Immigrazione in Australia: la “Soluzione Pacifica”

Il 26 Agosto 2001 una nave norvegese, il Tampa, aveva soccorso 438 persone da un’imbarcazione che stava affondando e aveva gettato l’ancora nei pressi dell’australiana isola di Natale. Dopo il rifiuto del governo australiano di entrare in acque territoriali, la situazione precipitò con l’attacco alle Torri gemelle, avvenuto poche settimane dopo. Improvvisamente i profughi del Tampa, per la maggioranza azari musulmani provenienti dall’Afghanistan, divennero sospettati di terrorismo.

Il 27 settembre dello stesso anno, il primo ministro australiano firmava la “Soluzione Pacifica” con il governo della vicina Papua Nuova Guinea e l’isola di Nauru, uno dei più piccoli stati del mondo.

Da quel momento il governo australiano si arrogava il diritto di tenere in stato di fermo gli immigrati irregolari e di trasferirli in strutture remote predisposte dal governo in paesi terzi, come il centro di detenzione dell’isola papuana di Manus e quello di Nauru.

I profughi sarebbero stati trattenuti a tempo indeterminato nei centri, senza la possibilità di ricorrere al giudizio di una corte, in attesa che le loro richieste di asilo venissero esaminate attraverso un “processo a distanza”.

A tal fine, il parlamento australiano ha legiferato nello stesso anno che l’isola di Natale, dove si dirige la maggior parte dei barconi diretti in Australia, non può essere considerato territorio australiano ai fini della Convenzione sui rifugiati.

Questo significa che i migranti che si trovano nelle acque territoriali dell’isola sono illegalmente in Australia e allo stesso tempo non ufficialmente in Australia. Perciò, chiunque giunga sull’isola senza i documenti richiesti si trova in Australia irregolarmente anche se è arrivato per chiedere asilo.

I campi, finanziati ed organizzati dal governo australiano tramite appalti privati, si sono dimostrati un affare redditizio per queste piccole isole che, per ogni detenuto ospitato per conto dell’Australia, guadagnano circa 1.400 dollari.

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Foto: Takver (via Flickr)

Politica migratoria Australia: gli accordi con Papua Nuova Guinea e Cambogia

Dopo una breve sospensione della Soluzione Pacifica, le politiche australiane sull’immigrazione sono state implementate ed inasprite, a causa del grande flusso migratorio registrato tra il 2009 e il 2012. I nuovi accordi con la Papua Nuova Guinea e la Cambogia, stipulati rispettivamente nel 2013 e nel 2014, prevedevano il rinsediamento permanente nei due stati per coloro a cui era stato riconosciuto lo status di rifugiato.

Pertanto, i migranti irregolari detenuti a Manus e Nauru non sarebbero stati reinsediati in Australia in alcun caso, neanche se il loro status di rifugiato fosse stato riconosciuto.

Tuttavia l’Unhcr ha espresso preoccupazione riguardo al reinsediamento permanente dei rifugiati in questi due paesi. La domanda è se questa soluzione possa davvero costituire un’alternativa genuina e duratura.

E’ improbabile infatti che la Cambogia, uno dei paesi più poveri al mondo, possegga le capacità necessarie per provvedere a un’adeguata protezione dei rifugiati.

Mentre la criminalizzazione di attività sessuali tra persone dello stesso sesso in Papua Nuova Guinea potrebbe esporre i rifugiati Lbgt al rischio di nuove persecuzioni.

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“Confini Sovrani” e “No Way”: diritti dei migranti in pericolo

In aggiunta, nel dicembre 2013 entrava in vigore l’operazione militare “Confini Sovrani”, progettata al fine di impedire l’ingresso in Australia dei migranti irregolari e che introduceva un nuovo processo di valutazione delle richieste di asilo via mare, attraverso un’intervista telefonica.

L’operazione è stata oggetto di una campagna mediatica denominata “Assolutamente no” (No Way), con protagonista il generale Agnus Campbell intento a spiegare gli effetti del provvedimento:

«Se viaggi in barca senza visto l’Australia non diverrà la tua casa. Le regole si applicano a tutti, famiglie, bambini, minori non accompagnati, persone istruite e qualificate […]. Il messaggio è semplice: se vieni in Australia illegalmente in barca, non diventerai mai un cittadino australiano».

Dall’inizio delle operazioni le navi sono state intercettate e riaccompagnate al punto di partenza, o abbandonate alla deriva in acque indonesiane. Dal momento che le misure preventive della marina australiana per bloccare i profughi sono riservate, non si conosce il numero esatto di barche respinte, né si sa se le operazioni siano state condotte in accordo con gli obblighi internazionali dell’Australia.

Leggi sull’immigrazione in Australia: modifiche allo status di rifugiato

Nel dicembre 2014 l’Australia ha rimosso gran parte dei riferimenti alla Convenzione sui rifugiati dalla propria legge sull’immigrazione, sostituendoli con interpretazioni del governo australiano riguardo i suoi obblighi in materia di protezione.

Nell’articolo 1 della Convenzione si legge che il rifugiato è colui che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese».

Come risultato di questi cambiamenti, una persona richiedente asilo in Australia non sarà considerata più idonea ad ottenere lo status di rifugiato se: la paura di essere perseguitata non si estenda a tutte le aree del paese di origine; se effettive misure di protezione sono disponibili nel paese di origine e messe a disposizione dal paese stesso, o da organizzazioni internazionali, o non governative (ong); e se la persona in questione potrebbe adottare misure ragionevoli per modificare il proprio comportamento in modo da evitare la persecuzione.

I nuovi criteri, così rivisitati, restringono notevolmente il numero di persone eleggibili per lo status di rifugiato.

Gli obblighi internazionali dell’Australia e il principio di non respingimento

Per il diritto internazionale un richiedente asilo ha il diritto di soggiornare regolarmente nel paese di arrivo, anche se vi è giunto senza documenti d’identità o in maniera irregolare, fino a quando non viene presa una decisione definitiva dalle autorità competenti.

Lo status di rifugiato è definito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazione Unite ratificato da 145 paesi, tra cui l’Australia. La Convenzione, come prescritto dall’articolo 33, impone agli stati aderenti di non rimpatriare i richiedenti asilo nei paesi da cui sono fuggiti.

Il principio di non respingimento, o non-refoulement, impone all’Australia di fornire alle persone in cerca di asilo un accesso a procedure efficienti ed imparziali per il riconoscimento dello status. Tuttavia, le modifiche politiche e legislative introdotte dal 2013 hanno ristretto notevolmente l’accesso alle procedure di asilo da parte dei migranti in arrivo dal mare, minandone inoltre la rigorosità.

Sebbene la legge internazionale non proibisca l’elaborazione delle domande di asilo da parte di paesi terzi, il trasferimento di persone in cerca di asilo nelle isole del Pacifico non esonera l’Australia dai suoi obblighi ai sensi della legge internazionale sui diritti umani. L’Unhcr afferma che, quando i richiedenti asilo sono trasferiti altrove per l’elaborazione delle loro richieste, «la responsabilità primaria di fornire protezione spetta allo stato in cui è richiesto l’asilo», ovvero l’Australia.

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Manifestazione a Melbourne, Australia (luglio 2013) – Foto: Takver (via Wikimedia Commons)

La sentenza della Corte Suprema della Papua Nuova Guinea

Il 26 aprile 2016, la Corte Suprema della Papua Nuova Guinea ha stabilito che la detenzione dei rifugiati e persone in cerca di asilo sull’isola di Manus violava il loro diritto alla libertà, come garantito dalla Costituzione dello Stato. La Corte ha pertanto ordinato ad entrambi i governi, australiano e papuano, di prendere tutte le misure necessarie per porre fine alla detenzione dei migranti sull’isola di Manus.

Lo stesso anno l’Unhcr ha concluso che la Papua Nuova Guinea e Nauru non erano un’opzione praticabile per i rifugiati, nemmeno su base temporanea. Da allora i richiedenti asilo sono stati trasferiti in “centri aperti”, privi di recinzioni, ma pur sempre sotto sorveglianza e impossibilitati a lasciare le isole del Pacifico a causa della mancanza dei permessi. Come riportato da Amnesty International, i nuovi centri rimangono chiusi dalle 5 del mattino fino alle 6 del pomeriggio, confinando le persone nei centri per 13 ore al giorno.

Migranti in Australia tra rimpatri volontari ed esplusioni

Ad oggi il governo della Papua Nuova Guinea ha trasferito almeno 21 persone nella capitale, Port Moresby, nel novembre 2018.

Nell’aprile del 2019, più di 500 rifugiati sono stati reinsediati negli Stati Uniti, rispettando l’accordo del governo Obama, stipulato il 13 novembre 2016, che prevedeva il trasferimento in America di 1.250 rifugiati provenienti da Manus e Nauru, con un’espressa preferenza per donne, bambini e famiglie.

Tuttavia, 265 richieste di reinsediamento sono state rifiutate dal governo americano ed il futuro di queste persone è incerto. Il governo australiano non le può rimandare nel loro paese d’origine senza violare l’obbligo di non respingimento ma, se nessun’altro paese le accoglierà, saranno detenute a tempo indeterminato, in violazione delle leggi internazionali sui diritti umani.

Il destino di coloro a cui è stato negato lo status di rifugiato è ancora più incerto, dal momento che non sono previsti accordi di reinsediamento per questi ultimi. I dati di Amnesty International riportano che 99 persone sono state rimpatriate “volontariamente” tra aprile 2017 e maggio 2018, ed altre 20 deportate forzatamente.

In conclusione, le opzioni per coloro a cui non viene riconosciuto lo status di rifugiato sembrano solo due e drammaticamente simili: il rimpatrio volontario o la deportazione forzata.

Immigrazione Australia: non solo numeri

In questi anni l’Unhcr e Amnesty International hanno più volte denunciato le condizione disumane in cui versano i migranti, bambini ed adulti, nei centri di detenzione. In entrambe le isole, Manus e Nauru, sono state registrate crisi di salute mentale fra gli individui che si trovano in un centro di detenzione da diversi anni, episodi di autolesionismo, depressione, sindrome da rassegnazione e suicidi.

In aggiunta, un rifugiato di 24 anni, Reza Barati, è stato ucciso da alcuni locali che avevano fatto irruzione nel centro di detenzione di Manus nel febbraio 2014.

Vengono di seguito riportati i nomi di coloro che hanno perso la vita mentre erano detenuti sulle isole di Manus e Nauru:
Sayed Mirwais Rohani (Manus, 2019);
Fariborz Karami (Nauru, 2018);
Salim Kyawning (Manus, 2018);
Mohammad Jahangir (Nauru, 2017);
Rajeev Rajendran (Manus, 2017);
Hamed Shamshiripour (Manus, 2017);
Faysal Ishak Ahmed (Manus, 2016);
Kamil Hussain (Manus, 2016);
Rakib Khan (Nauru, 2016);
Omid Masoumali (Nauru, 2016);
Hamid Khazaei (Manus, 2014);
Sayed Ibrahim Hussein (Nauru, 2014);
Reza Barati (Manus, 2014);
Mohammed Sarwar (Nauru, 2002).

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