Omofobia: la lotta alla discriminazione va su Instagram
La pagina "Le perle degli omofobi" aperta sul social media da Erika Mattina e Martina Tammaro denuncia ogni giorno i messaggi omofobi ricevuti. Un progetto che ha già raccolto oltre 35 mila follower, anche se i loro profili erano stati chiusi temporanemente da Instagram. Un'idea che ora si concretizza anche su TikTok
«Fate schifo». «Depravate». «Siete un abominio». Scorrendo i post della pagina Instagram “Le perle degli omofobi” queste sono solo alcune delle ingiurie che è possibile leggere indirizzate alle due ideatrici, Erika Mattina e Martina Tammaro, componenti di una coppia lesbica che a settembre 2019 hanno deciso di aprire questo spazio social per denunciare l’omofobia e gli attacchi ricevuti giornalmente.
«È nato tutto quando, dopo la pubblicazione sui nostri account personali della foto di un bacio tra di noi siamo state travolte dall’odio di tantissimi sconosciuti, tutti concordi sul fatto che facessimo orrore e che dovessimo vergognarci», spiega Erika. «A quel punto abbiamo pensato di rendere pubblici gli insulti più memorabili, le perle appunto, convinte fosse utile mostrare anche con un pizzico di ironia l’ignoranza di certa gente e come questa, purtroppo, sia ancora molto diffusa».
L’inaspettata cancellazione dei profili
Un’ignoranza che, forse, ha determinato nei giorni scorsi la temporanea chiusura da parte di Instagram di entrambi i loro account privati, attivi da ben prima rispetto a quello condiviso. Il condizionale è d’obbligo, visto che dal social network non sono mai giunte spiegazioni ufficiali sul motivo della cancellazione, ma il dubbio che sia stata la conseguenza di segnalazioni di massa da parte degli utenti è più che fondato.
«Non pubblichiamo mai nulla di eccessivo, quindi non crediamo di aver violato alcun codice etico», commentano le ragazze che, dopo infinite procedure, sono riuscite a tornare in possesso degli account, oggi di nuovo attivi.
Un inconveniente che non ha certo minato la loro voglia di portare avanti il loro progetto, che conta attualmente oltre 35 mila follower, e di farne nascere uno nuovo, una pagina TikTok omologa, ricca di video di denuncia.
«Ammettiamo che a volte abbiamo pensato di smettere perché leggere ogni giorno insulti e minacce non è semplice, ma sono molte di più le persone che ci sostengono e questo ci dà la forza di non mollare. Tanti giovani ci scrivono dicendo che grazie a noi hanno trovato il coraggio di esporsi in famiglia e davanti agli amici e questo è il regalo più grande».
Leggi anche:
• Omofobia: i diritti violati delle persone Lgbt in Italia arrivano all’Onu
• Transgender: in Italia la battaglia per i diritti delle persone trans è in salita
• Diritti umani in Italia: all’Onu piovono raccomandazioni sui diritti violati
L’omofobia in Italia non accenna a diminuire
Esattamente 30 anni fa l’Organizzazione mondiale della sanità toglieva l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. Eppure, nonostante possa sembrare paradossale, ancora oggi è necessario ribadire il concetto. Non esiste studio, infatti, che non attesti come la strada per la piena legittimazione della comunità Lgbt sia ancora lunghissima anche in Italia.
La Rainbow Map di Ilga Europe, ad esempio, lascia poco spazio a dubbi. L’iniziativa dell’ong, che ogni anno valuta i miglioramenti dei diversi Paesi in termini di affermazione dei diritti delle persone Lbgt, per il 2020 pone l’Italia al 35esimo posto su 49 (nessun Paese, a onor del vero, ha fatto passi avanti rispetto allo scorso anno).
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Il sondaggio Ue sull’omofobia
Dal report dall’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione Europea, inoltre, emerge che il 62% degli intervistati italiani evita quasi sempre di tenersi per mano con il proprio partner dello stesso sesso e il 30% non frequenta luoghi specifici per paura di aggressioni.
Timore fondato, visto che il 16% ha sporto denuncia per attacchi fisici o sessuali, il 32% afferma di essere stato molestato l’anno precedente e il 40% di essersi sentito vittima di discriminazione in almeno un settore della vita, lavoro compreso.
Lotta all’omofobia: quando il dialogo è impossibile
Invertire la rotta in poco tempo è forse impossibile, ma provarci è fondamentale. Per questo Erika e Martina a volte tentano di far ragionare l’omofobo di turno. «Rispondiamo cercando di porre a nostra volta domande per capire cosa abbia spinto una persona a scriverci determinate cose, ma è raro che si instauri un dialogo. La maggior parte ha il solo intento di provocare e litigare, non esistono quasi mai le basi per approfondire».
Gli insulti da Instagram si sono estesi anche a Facebook e compaiono sotto ogni articolo giornalistico che le riguardi. Il panorama è vario. C’è chi tira in ballo la religione affermando che un giorno Dio le punirà, chi la decenza, chi sostiene che le ragazze non siano altro che sorelle o amiche in cerca di un po’ di visibilità social e chi addirittura si spinge nel campo del negazionismo, sostenendo che sia impossibile amare una persona dello stesso sesso.
Leggi anche:
• Omofobia: in Italia mancano legge e reato per proteggere le vittime
• Diritti Lgbt in Africa: in Tanzania è caccia ai gay
Erika e Martina accusate di essere la causa del coronavirus
Ma non è tutto, le due giovani infatti recentemente sono state accusate di aver provocato il nuovo coronavirus. «In che modo lo avremmo fatto non l’ho ancora capito, ma ci è stato detto anche questo, accompagnato da auguri di morte continui», racconta Erika, evidenziando un’enorme falla nel sistema giuridico italiano, ancora troppo debole nel difendere i diritti di tutti.
«Abbiamo cercato di denunciare, ma quasi inutilmente, perché l’ingiuria è stata depenalizzata e per il penale servono minacce concrete, quindi dei mille insulti solo per uno si potrà procedere».
Leggi anche:
• Omofobia: una giornata mondiale contro la violazione dei diritti Lgbt
• Gay Pride: per i calciatori professionisti è impossibile dichiararsi omosessuali
Giugno, mese dell’orgoglio omosessuale
Nonostante la comprensibile delusione, le ragazze non si arrendono e continuano a lottare ogni giorno con il potente mezzo della parola. E ancor più in questo mese di giugno, considerato il Pride Month (il “mese dell’orgoglio”) da quando, la notte tra il 27 e il 28 giugno 1969, la comunità Lgbt si rese protagonista di diverse rivolte scoppiate a seguito di un raid della polizia newyorkese allo Stonewll, un club gay nel Greenwich Village. In quell’occasione non mancarono morti e feriti e per non dimenticarli l’anno successivo vennero organizzati i primi Gay Pride.
Nel 2020, per la prima volta, i cortei arcobaleno non invaderanno le strade delle città, ma il messaggio di uguaglianza sarà comunque propagato. «Basterebbe guardarci per capire che il nostro amore è esattamente uguale a quello di tutti gli altri», conclude Erika.