Migranti venezuelani bloccati in Colombia in condizioni drammatiche
Centinaia di migranti venezuelani sono bloccate al nord di Bogotà in situazioni igienico-sanitarie terribili, accampati in tende di fortuna. Tra loro ci sono minori, anziani e donne incinte. Sono costretti a tornarsene al proprio paese. Ma anche durante questa pandemia fanno le spese dello scontro tra Colombia e Venezuela
da Bogotà, Colombia
Sono almeno 500 i migranti venezuelani bloccati da quasi due settimane in un accampamento improvvisato nel nord di Bogotà, Colombia. Famiglie, bambini e anche alcune donne incinte sfrattati nel corso dei mesi di lockdown, a cui non resta altra alternativa che riprendere la strada del ritorno verso il Venezuela.
I migranti di Bogotà vivono in condizioni igieniche e sanitarie terribili: senza acqua potabile, dormono a bordo strada in piccole tende di fortuna create con rami secchi e sacchi dell’immondizia, sopravvivono grazie alle donazioni di privati cittadini, fondazioni religiose e ong. Aspettano che i governi di Colombia e Venezuela trovino una soluzione comune alla loro situazione. Mentre vedono i loro diritti civili violati.
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Migranti venezuelani in Colombia: con il lockdown più sfratti e miseria
I migranti venezuelani in Colombia sono stati fra i più colpiti durante il lockdown per il Covid-19, che nel paese dura da oltre due mesi. All’inizio della crisi sanitaria, con la chiusura delle attività economiche, infatti, molti lavoratori informali e venditori ambulanti del paese si sono ritrovati nell’impossibilità di pagare il loro alloggio precario nei cosidetti Paga diarios (leggi Colombia e coronavirus: l’emergenza sanitaria ingrossa le fila dei senzatetto).
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Ai primi sfratti avvenuti in marzo e alle manifestazioni di protesta ha fatto seguito il decreto antisfratto del governo colombiano di Ivan Duque. Il provvedimento, che in teoria vieta qualsiasi tipo di sfratto fino alla fine dell’emergenza sanitaria, è difficile da mettere in pratica. L’informalità della società colombiana, la corruzione e l’effettiva difficoltà di arrivare sul posto in tempo hanno fatto sì che i più vulnerabili continuassero a ritrovarsi per strada.
«Io sono qui con mia moglie da più di 15 giorni», testimonia Pelemaco Rivera, 46 anni, migrante venezuelano. «Prima che arrivasse l’emergenza sanitaria lavoravo in un autolavaggio ma da oltre due mesi non so come pagare l’affitto. Circa un mese fa ci siamo ritrovati a vivere per strada, sopravviviamo grazie alle donazioni e al cibo che ci regalano. Non ci resta altra possibilità che ritornare in Venezuela».
«Il vero responsabile della nostra situazione è Maduro, è lui quello che sta violando i nostri diritti umani», Pelemaco Rivera, migrante venezuelano.
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Venezuela-Colombia: la situazione alla frontiera
Il vero tappo è la frontiera. A causa dell’emergenza sanitaria i ponti internazionali che collegano la Colombia al Venezuela sono sotto stretto controllo da parte delle entità sanitarie e frontaliere. Migración Colombia, l’agenzia responsabile dei flussi migratori, permette il passaggio di un massimo di 300 persone al giorno e la frontiera non è aperta tutti i giorni.
Secondo Migración Colombia oltre 135.000 migranti venezuelani sono ritornati in patria dopo l’inizio dell’emergenza sanitaria. Nel paese si calcola siano presenti 1,8 milioni di venezuelani. A questa cifra mancano però tutti coloro che hanno deciso di passare la frontiera attraverso i passaggi illegali, le famose trochas.
Nell’ambito della crisi sanitaria, le autorità migratorie colombiane hanno l’ordine di consegnare i migranti direttamente alle rispettive autorità venezuelane, un’azione che si complica notevolmente vista la crisi politica tra i due governi.
Le autorità colombiane impediscono ai migranti venezuelani di partire con autobus o altri mezzi di trasporto collettivo, per evitare assembramenti nei pressi della frontiera. Dall’altra parte, Nicholas Maduro accusa il governo colombiano di far volontariamente passare persone risultate positive al Covid-19.
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Immigrati venezuelani in Colombia allo stremo
Il Consejo Noruego para Refugiados (Consiglio norvegese per i rifugiati) ha potuto avvicinarsi all’accampamento dei migranti e offrire una prima assistenza umanitaria. Tra le 484 persone assistite c’erano 125 bambini e bambine, 16 persone anziane e 6 donne incinte, di cui una alla penultima settimana di gravidanza.
«La situazione è difficile e peggiora di giorno in giorno», dice Andrés Sanaoria, volontario e portavoce della Fundación 3DC, che da due settimane sta portando quotidianamente alimenti all’accampamento dei migranti. «Mancano gli assorbenti e i prodotti igienici basici per le donne. Non ci sono bagni né docce. Questa situazione, oltre a togliere la dignità alle persone, sta creando varie infezioni urinarie, che andrebbero curate al più presto. Alcuni hanno problemi ai denti o virus intestinali. Siamo in piena emergenza Covid-19 e queste persone non hanno abbastanza mascherine, né gel antibatterico. Le loro condizioni di vita rendono totalmente impossibile la prevenzione dei contagi». «Non c’é alcun bagno e l’unica fonte d’acqua è un canale che raccoglie le acque piovane», racconta Andrés Sanaoria della Fundación 3DC.
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Secondo il ministero della Salute colombiano nel paese ci sono circa 40 mila contagi da coronavirus e 1.308 morti. Il paese dovrebbe raggiungere verso fine luglio il famoso picco della curva di contagi. A Bogotà inoltre sta iniziando la stagione umida, caratterizzata da frequenti piogge.
Nell’accampamento di fortuna che si è creato all’uscita nord di Bogotà, le piccole tende dove dormono i venezuelani rimangono spesso umide ed è impossibile rispettare le regole igieniche imposte dall’Organizzazione mondiale della Sanità per prevenire la pandemia. Oltre ad aver perso il lavoro, ad esser stati vittime di emarginazione, espulsi dalle loro case e a essersi visti obbligati a riprendere la strada verso un paese in grave crisi economica da anni, i migranti venezuelani corrono anche il rischio di una pesante contaminazione dal nuovo coronavirus.