Azerbaijan: il presidente stringe sui diritti con la scusa del coronavirus

Il regime di Baku approfitta dell'emergenza Covid-19 per ingabbiare i diritti umani. Ne pagano le spese oppositori, giornalisti e attivisti. Amnesty International denuncia decine di detenuti politici. Mentre il lockdown è appena stato esteso almeno fino alla fine di giugno

Il regime in Azerbaijan sfrutta l’epidemia per arrestare oppositori politici, giornalisti e attivisti. Amnesty International denuncia decine di detenuti politici, sottolineando come il presidente Ilham Aliyev chiami gli oppositori la “quinta colonna” contro cui dichiarare guerra. E intanto l’isolamento dei cittadini azeri cominciato il 19 marzo, che sarebbe dovuto finire il 31 maggio, è già stato esteso fino a fine giugno.

La serrata era iniziata con un messaggio del presidente Ilham Aliyev in cui veniva richiesta la capacità di resistere in casa per il bene della nazione, per poter tornare a crescere una volta superata la pandemia. Una crescita economica garantita dalle buone relazioni diplomatiche e dal saper affrontare le difficoltà interne che, a detta del presidente, sono sempre state costituite da oppositori e nemici della patria.

L’attacco del presidente Aliyev: «I nemici sono tra noi»

Il presidente ha parlato di un attacco «dalla quinta colonna, dai nemici che sono tra noi, gli elementi che si definiscono opposizione, i traditori che ricevono denaro dall’estero. Il loro obiettivo principale è quello di distruggere l’Azerbaigian. Guardando i loro indirizzo sui social network, sono pieni di odio e provocazione». E a questa “provocazione” Aliyev ha risposto con una minaccia:

«Durante la fase della malattia saranno applicate le regole di relazioni completamente nuove. Bisogna saperlo. È possibile che uno stato di emergenza possa essere dichiarato ad un certo punto. In questo caso, l’isolamento dei rappresentanti della quinta colonna diventerà una necessità storica».

Una pressione che è seguita all’inasprimento della legge sull’informazione che dal 17 marzo ha ristretto l’utilizzo dei social media con la scusa di evitare la disinformazione sull’epidemia. «Una formulazione della legge vaga che offre opportunità agli organismi responsabili di abusarne, poiché già alcuni attivisti sono stati convocati alle stazioni di polizia e avvertiti e condannati per aver diffuso determinate informazioni e opinioni», commenta un referente del Centro studi sul monitoraggio sulla democrazia e accesso al voto azero (Smdt) che ha chiesto di non rivelare il suo nome.

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Baku, capitale dell’Azerbaijan

Azerbaijan tra repressione e incarcerazioni preventive

Il nuovo rapporto di Amnesty International elenca decine di persone arrestate per reati contro la persona, tutti oppositori politici iscritti a partiti invisi al regime, tra cui il leader Tofig Yagublu e il difensore dei diritti umani Elchin Mammad.

Incarcerati con l’accusa di aver violato le regole del lockdown, sono stati trattenuti in carcere per oltre 30 giorni. E molti di essi non hanno visto medici né consultato avvocati. Diverse ong nazionali hanno chiesto fin dal primo giorno scarcerazioni utili a evitare il contagio di massa negli istituti penitenziari.

Il centro studi per il monitoraggio della democrazia azero scrive nel suo ultimo rapporto che 260 detenuti sono stati messi ai domiciliari, ma ci sarebbero state oltre 252 detenzioni amministrative, tutte relative a esponenti politici, giornalisti o attivisti.

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Uno dei maggiori partiti di opposizione, il Fronte popolare dell’Azerbaijan (Ppfp), ha confermato l’arresto di 15 suoi esponenti nel solo mese di aprile, denunciando il superamento dei 30 giorni previsti dalla legge rispetto alla detenzione amministrativa.

Il caso di Niyameddin Ahmedov, arrestato il 15 aprile, dimostra la netta volontà politica della persecuzione. Superati i trenta giorni di carcerazione, le accuse di violazione delle regole del lockdown contro di lui sono state cambiate in finanziamento al terrorismo. Il politico non ha potuto vedere il suo avvocato e ora la detenzione coprirà tutti i mesi estivi fino alla prima udienza di settembre.

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Baku, capitale dell’Azerbaijan

Dirigente del Fronte popolare dell’Azerbaijan censurato

L’oppressione subita da Ali Karimli, dirigente del partito di opposizione Fronte popolare dell’Azerbaijan, è il simbolo della repressione durante la pandemia. Il 13 aprile avrebbe dovuto rispondere a un’intervista in diretta del giornalista Sevinc Osmangizi, ma poco prima del collegamento è saltata la linea telefonica e l’accesso a internet. Una sospensione che è perdurata per tutto il lockdown, senza una risposta dalla società telefonica.

Non potendo trasmettere messaggi all’esterno, ha chiesto aiuto a diversi componenti del partito che pian piano sono stati arrestati e accusati di reati comuni come la trasgressione alle regole della clausura.

Infine il 20 aprile sul suo telefono ha ricevuto un messaggio con il codice per accedere a WhatsApp e Telegram, «un metodo utilizzato dal regime per poter accedere ai portatili delle persone e poterle intercettare», spiega il referente del centro studi Smdt.

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Ali Karimli, dirigente del partito di opposizione Fronte popolare dell’Azerbaijan

A Baku niente libertà la stampa

L’Istituto per la salvaguardia e libertà della stampa azero (Irsf) a fine aprile ha pubblicato un comunicato a denuncia dell’acuirsi della repressione contro giornali e blogger azeri. Viene sottolineato come l’applicazione delle regole per il lockdown abbia incrementato l’arresto di giornalisti e freelance, imprigionati o minacciati.

Una censura della stampa meticolosa, applicata con l’assenza della rete telefonica e internet nelle case dei giornalisti e degli oppositori politici e la sorveglianza della polizia fuori dalle sedi dei giornali. Quattro freelance, Ibragim Vazirova, Mirsahib Rakhiloglu, Natig Isbatov and Ismail Nadirli, sono stati arrestati a fine aprile per essere stati trovati in giro per strada, disobbedendo al regime della chiusura. Un’accusa infondata vista l’autorizzazione per i media di uscire e compiere il lavoro di cronaca.

L’Irsf accusa inoltre il presidente Aliyev di aver accentuato la persecuzione dei cittadini esiliati all’estero. Alcuni giornalisti hanno segnalato di violenze verbali e pressioni dopo aver criticato il regime in alcuni video su Youtube o su altri social media. Il rischio maggiore viene segnalato per quegli espatriati in Turchia, Russia, Ucraina e Georgia, notoriamente paesi amici del regime di Aliyev.

Si torna in piazza, ma in Azerbaijan è ancora lockdown

Il lockdown non è terminato il 31 maggio come previsto, ma è stato prorogato per tutti il mese di giugno a giorni alterni. La popolazione resta chiusa in casa per tre giorni a settimana, dal venerdì al lunedì mattina, per evitare assembramenti. Ma la fascia lavoratrice irregolare, spesso attiva nei finesettimana, viene così ulteriormente punita.

Dal 1° giugno sono state arrestate decine di persone accusate di essere uscite. Malgrado il clima di terrore le manifestazioni di piazza sono ricominciate, come quella del 1° giugno da parte degli universitari.

La cartina: mappa dell’Azerbaijan (capitale Baku)

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