Armi all’Egitto: Italia punta a commessa del secolo, ma gli attivisti non ci stanno

Un affare militare da 9 miliardi di euro tra Roma e il Cairo. Soldi con cui il presidente al Sisi intende mettere a tacere le proteste per la mancata collaborazione sulle indagini per l'uccisione di Giulio Regeni. Le associazioni pacifiste e per i diritti umani invitano a mobilitarsi: bloccare l'affare è ancora possibile

La chiamano già la «commessa del secolo». Un affare da 9 miliardi di euro per rifornire gli autocrati golpisti del Cairo dei più moderni sistemi militari italiani. Compresi quelli «non cedibili all’estero, pena la diffusione sostanziale di segreti e tecnologie militari nazionali», spiegano fonti ben informate.

C’è dentro tutto l’arsenale bellico del tanto declamato Made in Italy: due fregate multiruolo Fremm destinate alla Marina miliare italiana (la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi), ma anche altre quattro navi e 20 pattugliatori (che potrebbero essere costruiti nei cantieri egiziani), 24 caccia multiruolo Eurofighter e altrettanti aerei addestratori M346. Un contratto, il maggiore mai rilasciato dall’Italia dal dopoguerra, che farebbe dell’Egitto il principale acquirente di sistemi militari italiani.

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È l’astuta “mossa del cavallo” del faraone del Cairo. Quella che, con uno spostamento a elle sulla scacchiera, gli permette di liberarsi di un impiccio e di uscire da una situazione critica. L’impiccio per il Cairo è – come noto – l’inchiesta dei magistrati italiani sull’omicidio di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano sequestrato, torturato e ucciso in Egitto e sulla cui morte le autorità egiziane non hanno mai contribuito a fare chiarezza.

La situazione critica è quella del riverbero internazionale delle terribili condizioni, dal carcere alle torture, in cui riversano in Egitto gli oppositori politici, giornalisti, sindacalisti, universitari, difensori dei diritti umani: non ultimo Patrick Zaky.

Con una sola mossa (l’acquisto di sistemi militari italiani), il presidente al Sisi mira non solo a fare tabula rasa delle rimostranze per la gestione del caso Regeni, ma soprattutto intende accreditarsi agli occhi dell’Italia come un partner affidabile e rispettoso dei diritti umani: quale Paese venderebbe mai un intero arsenale militare ad un autocrate che permette l’assassinio di un suo cittadino? Tanto più quanto questo Paese ha tra le sue leggi quella che vieta espressamente di esportare armi a nazioni «i cui governi sono responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani»?

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Disegno di Gianluca Costantini

Pochi politici italiani contro vendita armi all’Egitto

Sono state poche e flebili le voci del mondo politico nei confronti dell’affare militare tra Roma e il Cairo. Lo scorso febbraio, la capogruppo Pd in commissione Esteri alla Camera, Lia Quartapelle, ha evidenziato con un ampio post sulla sua pagina Facebook che «‪le considerazioni politiche da tenere in conto sono due. Abbiamo forti divergenze strategiche con l’Egitto rispetto alla Libia. (…) Vendere assetti di guerra a un paese che non condivide, ma anzi avversa la nostra visione strategica sul Mediterraneo non ha senso dal punto di vista della politica estera».

Ed ha aggiunto: «Finché le autorità egiziane non collaboreranno per arrivare a un accertamento processuale regolare su chi ha rapito, torturato e ucciso Giulio e sui mandanti, non si può considerare l’Egitto come un paese con cui intrattenere normali relazioni tra alleati. (…) Non c’è politica commerciale senza politica di sicurezza», ha concluso Quartapelle.

Più esplicito Erasmo Palazzotto (Leu), presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni: «Garantire l’approvvigionamento di armi a un paese come l’Egitto ci fa perdere credibilità, oltre a essere in aperto contrasto con gli impegni assunti da governo e parlamento sulla ricerca della verità», ha detto Palazzotto in un post riportato sulla pagina Facebook di Sinistra Italiana.

Qualche giorno prima, Nicola Fratoianni (Leu), commentando l’arresto al Cairo del giovane egiziano studente all’università di Bologna, Patrick Zaky, aveva affermato: «Se pensiamo poi che c’è qualcuno in qualche ufficio del governo del nostro Paese che addirittura vorrebbe vendere delle navi militari a questi signori, di fronte a questi fatti è ancora più forte la voglia di chiederne l’allontanamento».

Forse me li sono persi, ma non ho trovato altri pronunciamenti da parte di esponenti del mondo politico. Spicca soprattutto il silenzio dei portavoce del Movimento Cinque Stelle: non vogliono mettere in imbarazzo il ministro degli Esteri?

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Lia Quartapelle – Foto: Hennemuth / MSC (via Wikimedia)

La denuncia delle associazioni pacifiste

Forte e chiara si è alzata, invece, la voce delle associazioni della società civile. In un comunicato congiunto, Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace hanno definito «inaccettabile, oltraggiosa e in aperto contrasto con le norme sancite dalla legge vigente» la possibile imminente autorizzazione da parte del Governo italiano di ingenti forniture militari alle forze armate dell’Egitto.

«La legge n. 185 del 1990 – riporta la nota – non solo vieta esplicitamente le esportazioni di armamenti verso i Paesi i cui  governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, ma prescrive che l’esportazione di materiale di armamento e la cessione della relative licenze di produzione “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”». Per questo le due Reti hanno chiesto «al ministro degli Esteri di riferire in Parlamento» e a tutte le forze politiche di «manifestare la propria contrarietà alle nuove forniture militari all’Egitto».

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Nuove pressioni dalla campagna “banche armate”

Rilanciando l’appello delle Reti pacifiste, le tre riviste promotrici della Campagna di pressione alle “banche armate” (Missione Oggi dei missionari Saveriani, Nigrizia dei missionari Comboniani e Mosaico di Pace del movimento Pax ChristI), hanno posto l’attenzione su un aspetto cruciale: il finanziamento per la produzione e la vendita dei sistemi militari.

«Come per i contratti per sistemi militari già effettuati nel 2019, in questi casi si rendono necessari prestiti, anticipi e garanzie finanziare da parte degli Istituti di credito» (leggi Armi italiane: calano (di poco) gli affari dell’export, proseguono le violazioni. Le tre riviste chiedono perciò «a tutti gli Istituti di credito di manifestare pubblicamente il proprio diniego a concedere prestiti e servizi finanziari per la vendita da parte dell’Italia di sistemi militari all’Egitto».

Di più. Le tre riviste pacifiste invitano le comunità religiose ed ecclesiali, le associazioni e i gruppi territoriali a contattare i propri Istituti di credito per chiedere di non finanziare la produzione e l’esportazione dei sistemi militari destinati all’Egitto. «In caso di mancata risposta o di una risposta negativa  – riporta l’appello – invitiamo a valutare la possibilità di trasferire il proprio conto corrente presso Istituti di credito che hanno assunto una posizione chiara in questa materia e direttive rigorose e trasparenti per quanto concerne il finanziamento e il sostegno alle aziende militari e al commercio delle armi».

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Nave Bergamini – Foto: Fabius1975 (via Wikimedia)

Armi all’Egitto: fermare l’affare è ancora possibile

La fornitura all’Egitto delle due fregate della Marina Militare pare sia in dirittura d’arrivo. Ma il consistente affare militare per le altre fregate, i pattugliatori, i caccia e gli aerei addestratori non è concluso. Nonostante siano state autorizzate le trattative tra Roma ed il Cairo, il ministero degli Esteri ed il governo possono tuttora non concedere l’autorizzazione all’esportazione di sistemi militari all’Egitto.

Proprio per queste le reti della società civile stanno per lanciare un’ampia mobilitazione attraverso i social media. È fondamentale che tutti coloro a cui stanno davvero a cuore verità e giustizia per Giulio Regeni, la scarcerazione di Patrick Zaky e di tanti attivisti dei diritti umani facciano sentire la propria voce al governo italiano e a tutte le forze politiche. Possiamo ancora fermare il colossale e vergognoso affare militare. Dobbiamo farlo. Spetta a noi.

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