Rohingya: un dramma infinito tra violenze, coronavirus e ciclone Amphan
I rifugiati Rohingya, fuggiti dal Myanmar in Bangladesh per evitare il genocidio, non conoscono pace. E dopo un devastante ciclone, arrivano ora anche i primi casi confermati di Covid-19 nell'enorme campo profughi nell'area di Cox's Bazar
Prima le violenze da parte del Tatmadaw, l’esercito del Myanmar. Poi la fuga in Bangladesh nell’agosto del 2017. E ancora, le condizioni precarie nei sovraffollati campi profughi del governo di Dacca. Ora l’incubo del coronavirus, del ciclone Amphan e il trasferimento forzato a Bhasan Char, una remota isola nel Golfo del Bengala. La tragica storia dei Rohingya, considerata dalle Nazioni Unite l’etnia più perseguitata del mondo, non sembra avere fine.
Nei giorni scorsi il ciclone Amphan, definito dal servizio meteorologico nazionale del Bangladesh «la tempesta più forte del ventunesimo secolo che si è abbattuta sul Golfo del Bengala», ha raso al suolo decine di migliaia di abitazioni, distrutto strade e centrali elettriche e ucciso un centinaio di persone.
«Non ho mai visto una devastazione simile», ha dichiarato Mamata Banerjee, primo ministro del Bengala Occidentale.
Rifugiati Rohingya in Bangladesh: il ciclone a Cox’s Bazar
Amphan ha colpito anche la zona di Cox’s Bazar, la città di confine tra Bangladesh e Myanmar che ora ospita oltre 700 mila sfollati Rohingya. «Il ciclone ha danneggiato più di cento case nei campi di Ukhia, facendo rimanere senza un riparo circa 400 rifugiati», ha spiegato Mohammed Sajjad Hossain, portavoce dell’area per l’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. «Altre centinaia di case sono state danneggiate in altre zone».
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Myanmar, Bangladesh e l’isola sperduta: la crisi dei Rohingya continua
Oggi, nonostante l’incubo del ciclone sia passato, l’allarme per i 300 Rohingya che sono stati salvati in mare e sistemati a Bhasan Char ad inizio di maggio, rimane. L’isola, che si trova in una delle aree più povere e periferiche del Paese, è instabile ed è in una delle aree del pianeta più colpite dai cicloni.
Secondo un progetto sviluppato dalla Marina del Bangladesh, l’isola di Bashan Char dovrebbe diventare un’area pronta ad ospitare 100.000 rifugiati Rohingya provenienti dai salvataggi in mare e dai campi di Cox’s Bazar. Di fatto, però, come denunciano numerose organizzazioni umanitarie, si tratterebbe di una forma di isolamento forzato sul territorio.
Yanghee Lee, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, che ha visitato l’isola nel gennaio 2019, ha espresso seri dubbi e preoccupazioni sul fatto che «l’isola sia davvero abitabile». Bhasan Char, infatti, è soggetta frequentemente a inondazioni e cicloni. Lee ha anche avvertito che «un trasferimento mal pianificato e senza il consenso degli stessi rifugiati, creerebbe una nuova crisi per i Rohingya».
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Human Rights Watch chiede di trasferirli sulla terra ferma
Human Rights Watch (Hrw), in una recente dichiarazione, ha invitato Dacca a trasferire i Rohingya presenti Bhasan Char ai campi di Cox’s Bazar. «Tenere i rifugiati Rohingya su una piccola isola durante un ciclone è pericoloso e disumano», ha dichiarato Brad Adams, direttore asiatico della ong. «La nostra paura che Bhashan Char diventasse un “centro di detenzione galleggiante” è diventata concreta», ha aggiunto.
L’organizzazione, che ha intervistato venticinque Rohingya, compresi alcuni che si trovano a Bhasan Char, scrive che le persone presenti sull’isola hanno testimoniato di essere stati confinati in condizioni simili a una prigione senza libertà di movimento o accesso adeguato a cibo, acqua o cure mediche.
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Sul documento di Hrw si legge anche di violenze. «I rifugiati sull’isola hanno affermato che i soldati hanno minacciato e picchiato i rifugiati maschi, compresi i bambini, mentre li interrogavano sui trafficanti che li trasportavano. Le donne hanno descritto le urla dalla stanza degli interrogatori».
«Il ciclone segna l’inizio della stagione dei monsoni, aggiungendo ulteriori pericoli per i rifugiati che hanno trascorso mesi su una barca affollata, affamati in mare, e ora sono stati arrestati e picchiati e portati a Bhashan Char», ha aggiunto Brad Adams.
Mentre Enamur Rahman, ministro delle catastrofi del Bangladesh, ha descritto Bhasan Char come una «super città» con strutture per cibo, acqua, cure mediche ed elettricità, Hrw scrive che i rifugiati hanno anche «riferito di carenze di acqua potabile e cure mediche». E che «i bambini non hanno accesso a libri o istruzione».
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Coronavirus tra la popolazione Rohingya
Dopo che è stata accertata la positività al Covid-19 ad alcuni Rohingya nel campo di Katupalong, nell’area di Cox’s Bazar, la settimana scorsa, si diffonde la paura per il coronavirus. In tutto, i casi registrati fino ad ora sono 21, ma i numeri potrebbero essere molto più alti e crescere velocemente. Anche a causa della densità della maggioranza dei 34 campi, che arriva anche a 40 mila persone per chilometro quadrato. E, in una situazione così precaria, ogni emergenza diventa più pericolosa.