Armi italiane: calano (di poco) gli affari dell’export, proseguono le violazioni

Nel 2019 rallentano le autorizzazioni rilasciate per l’esportazione di sistemi militari italiani, ma non diminuiscono le forniture di armi italiane a regimi autoritari e nelle aree dilaniate da conflitti: ecco a chi vende materiali d'armamento il nostro Paese

Egitto, Turkmenistan e poi Algeria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Marocco, Israele, Qatar. Sono i paesi dell’area mediorientale e dell’Africa settentrionale i maggiori acquirenti di armi italiane. Anche nel 2019, nonostante il perdurare dei conflitti e delle tensioni, è in questa regione che è stata destinata la quota principale delle esportazioni di sistemi militari italiani: ammontano a 1,334 miliardi di euro, pari al 32,6% di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’Autorità nazionale Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) incardinata presso il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (Maeci).

Una quota in calo rispetto all’anno precedente (leggi l’articolo Export armi: l’Italia ne vende la metà in Africa e Medio Oriente) – nel 2018 era stata di 2.306 milioni, pari al 48,3% – ma che dovrebbe suscitare più di qualche interrogativo in merito al rispetto della normativa vigente, la legge n. 185 del 1990, che prescrive che le esportazioni di armamenti vengano regolamentate dallo Stato «secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

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L’esportazione di armi italiane nel mondo nel 2019 (fonte: Relazione Maeci)

Armi italiane nel mondo: 6 su 10 a Paesi non alleati

Non è l’unico interrogativo che sorge analizzando i dati riportati nella “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” riferita all’anno 2019 che è stata consegnata alle Camere lo scorso 12 maggio, ma è stata pubblicata solo il 19 maggio.

Degli oltre 4.085 milioni di euro di operazioni all’esportazione  autorizzate, solo 1.525 milioni, pari al 37,3%, riguardano infatti i Paesi alleati della Nato e i partner dell’Unione europea: la gran parte, cioè 2.560 milioni, pari al 62,7%, è destinata a governi che non appartengono alla Nato e all’Ue.

Anche a questo riguardo sorge la domanda sull’osservanza della legge che prescrive, fin dal primo articolo, che l’esportazione e il trasferimento di armamenti, nonché la cessione della relative licenze di produzione, «devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» (art.1, c.1). Una domanda sempre più ineludibile, considerato che nell’ultimo quadriennio la maggior parte delle autorizzazioni all’esportazione è stata destinata a Paesi al di fuori delle principali alleanze economiche, politiche e militari dell’Italia.

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Il trend delle autorizzazioni all’export di armi italiane dal 2012 al 2019 (fonte: Relazione Maeci)

Dall’Italia armi all’Egitto di Al Sisi

Gli interrogativi sul rispetto della legge si fanno ancora più pressanti passando in rassegna l’elenco dei Paesi destinatari delle armi. Il maggior acquirente è l’Egitto presieduto dal generale Abdel Fatah Al Sisi, salito al potere nel luglio 2013 quando, con un colpo di Stato, ha rovesciato il presidente democraticamente eletto Mohamed Morsi.

Alle forze armate dell’Egitto sono state infatti rilasciate nel 2019 autorizzazioni per forniture di sistemi militari per oltre 871 milioni di euro: la gran parte riguarda 32 elicotteri della Agusta Westland del gruppo a controllo statale Leonardo (24 elicotteri AW149 più otto AW189, tutti predisposti di mitragliatrici).

Ma tra le autorizzazioni figurano anche «armi automatiche», «bombe, siluri, razzi e missili», «apparecchiature per la direzione del tiro», «apparecchiature per l’addestramento militare», eccetera: insomma, tutto l’arsenale necessario per la repressione interna e per la guerra.

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Paesi destinatari delle autorizzazioni all’esportazione di materiali d’armamento italiani nel 2019 (2014-2019) (fonte: Relazione Maeci)

 

«Riteniamo gravissimo e offensivo – hanno commentato con un comunicato congiunto Rete italiana per il disarmo e Rete della pace – che sia stata autorizzata la vendita di un così ampio arsenale di sistemi militari all’Egitto sia a fronte delle pesanti violazioni dei diritti umani da parte del governo di Al Sisi, sia per la sua riluttanza a fare chiarezza sulla terribile uccisione di Giulio Regeni».

Le due reti, che raggruppano più di cinquanta di associazioni italiane, hanno chiesto al Governo di «sospendere ogni trattativa di forniture militari in corso finché non sia stata fatta piena luce dalle autorità egiziane sulla morte di Regeni».

Il riferimento è al recente annuncio di trattative – confermate dal direttore di Uama, Alberto Cutillo – per la fornitura alla Marina Militare egiziana di due fregate Fremm (le fregate multiruolo Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi) del valore di 1,2 miliardi di euro. Nelle scorse settimane, inoltre, è stato reso noto che il Cairo sarebbe interessato ad acquistare dall’Italia anche altre quattro fregate, una ventina di pattugliatori, caccia Eurofighter Typhoon e aerei addestratori M-346 per un valore complessivo di oltre 9 miliardi di euro.

Nel frattempo Patrick Zaky, lo studente egiziano dell’Università di Bologna, continua a rimanere in carcere al Cairo e continuano gli arresti arbitrari e la repressione nei confronti di dissidenti politici e giornalisti.

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Armi italiane al regime del Turkmenistan

Il secondo Paese, per volume d’affari, destinatario dei sistemi militari italiani è la “repubblica presidenziale” (di fatto la dittatura totalitaria monopartitica) del Turkmenistan, presieduta dal 2007 da  Gurbanguly Berdimuhamedow che ne è capo di Stato e di governo.

Si tratta di autorizzazioni per forniture belliche per oltre 446 milioni di euro, tra cui figurano, anche in questo caso, «armi automatiche», «bombe, siluri, razzi e missili», «apparecchiature per la direzione del tiro», «navi da guerra», «aeromobili» e le immancabili «apparecchiature per l’addestramento militare».

Non è la prima volta che l’Italia vende armamenti alle forze armate del dittatore turkmeno: negli anni scorsi le ha rifornite di un ampio arsenale bellico, tra cui spiccano elicotteri AgustaWestland, fucili d’assalto e pistole semiautomatiche Beretta, mitragliatrici della Rheinmetall Italia, cannoni binati navali della Oto Melara e munizioni pesanti della MES. E, sempre negli anni scorsi, ci sono state anche altre forniture militari sulle quali andrebbe fatta piena chiarezza.

Armi italiane in Yemen: affari con Arabia Saudita ed Emirati

Nonostante da luglio 2019 una mozione approvata dal Parlamento abbia richiesto la sospensione delle vendite di bombe d’aereo e missili all’Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per il coinvolgimento nel conflitto in Yemen (leggi Bombe italiane in Yemen: pronti a interrompere forniture all’Arabia Saudita), lo scorso anno sono state rilasciate alle due monarchie assolute nuove autorizzazioni per quasi 200 milioni di euro e sono stati consegnati armamenti per 190 milioni di euro ed altri 95 milioni di euro di sistemi militari sono stati consegnati agli altri membri della coalizione a guida saudita attiva nel conflitto in Yemen. E – presumibilmente prima della sospensione – circa mille bombe, del valore di quasi 25 milioni di euro, sono state sicuramente esportate dalla RWM Italia all’Arabia Saudita.

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Flash mob a Montecitorio contro le bombe italiane in Yemen – Foto tratta da un video diffuso da Rete Disarmo

Armi italiane vendute alla Turchia

Anche riguardo alla Turchia, nonostante gli annunci dello scorso ottobre da parte del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, di bloccare le «vendite future di armi» e di «avviare un’istruttoria sui contratti in essere» (leggi Armi alla Turchia: l’Italia continua a fare affari con la vendita di armamenti), si riscontrano nuove autorizzazioni per oltre 63 milioni di euro e soprattutto consegne effettuate per oltre 338 milioni che fanno del Paese che persiste nelle violazioni dei diritti fondamentali del popolo curdo (leggi Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria) il primo destinatario delle forniture di armamenti registrate lo scorso anno dall’Agenzia della Dogane. Le 59 nuove autorizzazioni rilasciate nel 2019 – e mai ufficialmente sospese – riguardano «armi automatiche», «munizioni»,  «bombe, siluri, razzi e missili», «apparecchiature per la direzione del tiro» e «aeromobili».

A quando l’esame in Parlamento?

Si tratta solo di alcuni esempi di una lunga lista di Paesi, ripetutamente segnalati dalle principali organizzazioni internazionali per le gravi violazioni del diritto umanitario e dei diritti umani fondamentali. La legge 185 prescrive il divieto di esportare armamenti «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa»: in molti casi – come l’Egitto verso il quale il Parlamento europeo ha ripetutamente votato specifiche risoluzioni – le violazioni sono accertate.

Se Uama e i vari governi possono non tenerne conto è perchè, come noto, non sono previste sanzioni internazionali per la violazione di queste norme. A trent’anni dall’entrata in vigore della legge n. 185 che nel 1990 che ha introdotto, dopo gli scandali degli anni Ottanta (leggi In origine era il “piazzista d’armi”), «nuove norme per il controllo dell’esportazione di armamenti», è quindi ormai improrogabile un attento esame sulla sua effettiva applicazione: spetta innanzitutto al Parlamento che negli anni scorsi è brillato per il pochissimo tempo che ha dedicato a questa materia. C’è da augurarsi che, passata l’emergenza per l’epidemia da coronavirus, voglia esaminare con attenzione la questione. Riguarda la nostra politica estera e di difesa. E la nostra comune sicurezza.

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