Coronavirus: l’Ungheria viola la democrazia con la scusa del Covid-19

Il coronavirus mette ko il sistema sanitario in Ungheria. Mentre il governo di Viktor Orbán azzoppa la democrazia del Paese, nonostante la condanna della comunità internazionale

I sistemi di isolamento dei paesi europei si stanno piano piano allentando, ma la pandemia di coronavirus continua a indebolire i diritti umani, specialmente dove erano già in difficoltà. L’Ungheria è uno dei casi più eclatanti in Europa, con conseguenze gravi su pazienti, donne e minoranze.

Coronavirus Ungheria: la crisi sanitaria

I dati dello European Centre for Disease Prevention and Control aggiornati all’11 maggio indicano 3.284 casi, 421 morti, 701 casi confermati negli ultimi 14 giorni. Ma il sistema sanitario era sotto pressione anche prima.

L’Organizzazione mondiale della sanità nel 2017 lo descriveva così: «Nonostante il miglioramento negli ultimi 15 anni, l’aspettativa di vita in Ungheria continua a rimanere indietro di alcuni anni rispetto alla maggior parte dei paesi dell’Ue. Esistono grandi disparità nello stato di salute tra i gruppi socioeconomici, date da una maggiore esposizione a fattori di rischio e disuguaglianze nell’accesso all’assistenza sanitaria. Il sistema sanitario ungherese è sottofinanziato, con spese pro capite pari circa alla metà della media Ue».

Eppure il governo guidato da Viktor Orbán punta il dito contro una presunta crisi in materia di migranti, dice il giornale Birn. «I critici affermano che, mentre Orbán ha perfezionato l’arte della gestione delle crisi in un momento di falsa emergenza, affronta adesso una vera calamità che metterà alla prova il suo governo».

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Viktor Orban – Foto: Európai Bizottság/ Végel Dániel (via Flickr)

Misure anti-coronavirus: malati cacciati dagli ospedali

Di fronte alla necessità di ospitare i nuovi malati infettati dal Covid-19, gli ospedali ungheresi hanno dato segni di cedimento e sono stati costretti a ricorrere a misure gravi. Human Rights Watch ha infatti recentemente denunciato che l’Ungheria avrebbe dato ordine di liberare 36.000 posti letto negli ospedali pubblici, cacciando così pazienti affetti da cancro o con amputazioni che sarebbero poi finiti in strutture di assistenza alternative o mandati a casa per essere curati dalla famiglia.

«Come altri governi, il governo ungherese ha anticipato che i pazienti di Covid-19 sarebbero rapidamente stati più numerosi dei letti disponibili e il 7 aprile ha ordinato agli ospedali di liberare il 60% dei loro letti scaricando pazienti non affetti da Covid-19, se necessario», si legge nel rapporto.

Un’assistente a domicilio di Budapest, Athina Nemeth, ha dichiarato all’ong di essersi presa cura di 10 pazienti che sono stati rimandati a casa inaspettatamente dagli ospedali, senza accordi per le cure future. Ha detto che le famiglie dei pazienti sono state informate solo il giorno prima o il giorno stesso in cui i loro cari erano stati dimessi. Uno è stato mandato a casa con una ferita a stomaco aperto, un altro con una sacca per stomia, ad altri mancavano pannoloni o ossigeno. Da allora, nove dei suoi pazienti sono morti.

Alcuni hanno accusato di eutanasia il governo Orbán, mentre la responsabile medica nazionale e membro della task force del governo Cecília Müller ha dichiarato che i direttori degli ospedali non hanno rimandato a casa così tanti pazienti come si pensa e, in seguito, ha ringraziato i cittadini ungheresi per «aiutare a prendersi cura dei propri parenti malati a casa».

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Coronavirus: la comunità rom nell’Ungheria di Orbán

Per chi non ha accesso alle cure, come le comunità rom, affrontare il virus è ancora più difficile. Lo sottolinea un recente rapporto di Open Society Foundations che analizza l’impatto della pandemia sulle comunità già vulnerabili in sei paesi europei, tra cui l’Ungheria, dove mancherebbe un sostegno adeguato.

«Le comunità rom in Europa affrontano un rischio molto più alto di morte per Covid-19, poiché la loro situazione, già segnata da razzismo e povertà estremi, è peggiorata nell’ultimo decennio».

Il rapporto spiega che, poiché i test in Ungheria sono condizionati alla copertura assicurativa sanitaria, la popolazione rom resta esclusa in larga misura. Allo stesso modo, le restrizioni al trasporto pubblico rendono complicato l’accesso alle cure mediche essenziali, in quanto molti fanno affidamento sul trasporto pubblico per recarsi alle visite a medici e in farmacia.

D’altra parte, ci sono alcuni aspetti positivi. I beneficiari di bonus sociali riceveranno anche pacchetti alimentari e gli sfratti sono stati sospesi in Ungheria, anche se resta un rimedio soltanto temporaneo anziché una vera soluzione al problema abitativo.

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Ambulanza a Budapest, Ungheria – Foto: Albert Lugosi (via Flickr)

Covid-19: la fine della democrazia in Ungheria

È infine dello scorso 30 marzo la procedura più grave. Quel giorno il parlamento ungherese ha adottato un testo che consente al governo di interrompere o discostarsi da alcune leggi esistenti e di introdurre decreti straordinari per un periodo di tempo praticamente illimitato.

Le conseguenze sono tutte negative: nuove limitazioni alla libertà di stampa, la mancata ratifica di un trattato regionale contro la violenza sulle donne il 5 maggio e una sempre più forte oppressione verso le persone transgender che sono state portate a lasciare il Paese (se non al suicidio).

Senza portare benefici in risposta al contenimento del Covid-19, si tratta dell’ultimo abuso all’interno di un lungo processo autoritario. Una tale concentrazione di potere non si era mai vista nell’Unione europea e consisterebbe in una vera e propria sospensione della democrazia, secondo il report di Freedom House.

«Il declino in Ungheria è stato il più precipitoso mai registrato», scrive il ricercatore Zselyke Csaky. «Il governo del primo ministro Viktor Orbán in Ungheria ha abbandonato ogni pretesa di rispettare le istituzioni democratiche» e «nel 2020 è diventato il primo Paese a lasciare del tutto il gruppo di democrazie».

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Foto: Jernej Furman (via Flickr)

La lettera di 80 organizzazioni, politici e giornalisti

Due settimane dopo la mossa del 30 marzo, un gruppo di 80 firmatari fra eurodeputati e rappresentanti della società civile ha scritto una lettera ai presidenti della Commissione Ue e del Consiglio europeo.

Nella lettera si legge: «La pandemia di coronavirus rappresenta una sfida globale urgente. I governi e le istituzioni dell’Ue devono agire con decisione per controllarne la diffusione, proteggere i cittadini e limitare i danni economici. Tuttavia, la crisi non deve fare da cortina di fumo per le attività antidemocratiche e il soffocamento della società civile attiva […] Momenti eccezionali, ovviamente, richiedono misure eccezionali e può essere legittimo per i governi utilizzare temporaneamente poteri straordinari per gestire la situazione. Ma, anche in caso di crisi, queste misure devono essere limitate nel tempo e proporzionate. Non possiamo permettere agli attori politici senza scrupoli di usare il clima attuale come pretesto per smantellare la democrazia e minare lo stato di diritto».

E continua: «Le recenti azioni del governo di Viktor Orbán in Ungheria sono un flagrante attacco ai cardini dello stato di diritto e ai valori dell’Unione. […] L’Unione europea non deve restare in silenzio mentre la democrazia di uno stato membro è in pericolo. […] Pertanto, chiediamo alla Commissione e al Consiglio di controllare più rigorosamente la spesa dei fondi Ue e di rafforzare le attuali misure che impediscono la creazione di un sistema illiberale all’interno della nostra Unione. […] La Commissione e il Consiglio devono inoltre intraprendere azioni rapide e decisive per affrontare tali minacce allo stato di diritto che si svolgono sotto le spoglie dei poteri di emergenza».

Il Parlamento europeo condanna Budapest

Accusato anche di recente, nel 2019 e nel 2018, la deriva non democratica era già stata ufficialmente condannata dal Parlamento europeo con le relazioni Tavares e Sargentini, rispettivamente nel 2013 e nel 2018.

Il 17 aprile il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che descrive le recenti azioni del governo ungherese (e di quello polacco) come «totalmente incompatibili con i valori europei».

La risoluzione è stata approvata con 395 a favore e 171 contro e tra le sanzioni previste dall’Articolo 7 del trattato europeo c’è anche la sospensione dei diritti di voto.

«Vogliamo uscire da questa crisi attraverso la democrazia, vogliamo avere successo continuando a vivere secondo le nostre regole e i nostri trattati», ha detto il ​​presidente del Parlamento David Sassoli. «Non dobbiamo stravolgere le leggi e i valori che regolano la nostra coesistenza».

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