Ungheria: Orban pronto a violare i diritti dei transgender con nuova legge

In Ungheria è a rischio il diritto di cambiare legalmente nome e genere. Lo prevede una proposta di legge che avrebbe conseguenze drammatiche nella vita di tutti i giorni per le persone transgender. Tanto che le associazioni si sono già rivolte a Corte dei diritti dell'uomo, Ue e Onu

Il 31 marzo, in piena emergenza sanitaria da coronavirus e appena due settimane dopo l’assunzione di pieni poteri da parte del primo ministro Viktor Orbán, il governo dell’Ungheria ha presentato una proposta di legge che mette a rischio il diritto delle persone trans di cambiare legalmente nome e genere.

La proposta, prevista all’articolo 33 di un decreto “omnibus” che mira a emendare diverse norme, prevede di sostituire il termine “sesso” sulle carte di identità con la dicitura “sesso alla nascita”, stabilendo che questo non possa essere modificato.

Già al centro di un dibattito generale in parlamento, la proposta è stata discussa dal Comitato parlamentare sulla giustizia e il voto finale è atteso tra il 18 e il 21 maggio. «Se la proposta diventerà legge, lo Stato ungherese riconoscerà solo il sesso biologico registrato all’anagrafe e non fornirà alle persone trans alcun documento che ne rifletta l’identità di genere», afferma Barnabás Hidasi, presidente dell’associazione ungherese Transvanilla che dal 2011 si occupa di consulenza, assistenza e sostegno alla comunità trans nel Paese.

Attualmente l’Ungheria non ha una legislazione in merito, ma a partire dal 2004 è stata adottata una procedura amministrativa che, dopo una diagnosi di salute mentale e il parere di ginecologo o urologo, consentiva di cambiare legalmente nome e genere, anche senza interventi chirurgici.

«Questa procedura ha funzionato molto bene nel passato ma dal 2018 è stata bloccata proprio per la mancanza di una legislazione in materia», spiega Hidasi. Con la conseguenza che molte persone trans non sono più riuscite a modificare il proprio nome e genere: nell’aprile 2019 Transvanilla ha portato i casi di 23 persone in questa situazione davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

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Il parlamento di Budapest – Foto: Elekes Andor (via Wikipedia)

Ungheria e coronavirus: transgender a rischio

Al 14 maggio, i casi di Covid-19 nel mondo sono oltre 4,25 milioni con più di 292 mila morti. In Ungheria sono stati registrati 3.800 casi e sono morte 436 persone (fonte Organizzazione mondiale della sanità).

L’emergenza sanitaria e le conseguenti restrizioni influiscono sulla vita di tutti, ma per chi appartiene a minoranze la situazione può essere ancora più difficile. «Per le persone trans può tradursi in interventi posticipati, difficoltà di reperire ormoni e farmaci o di farsi fare una prescrizione, ma anche essere costrette a stare a casa in contesti familiari che non ne rispettano l’identità di genere e quindi a rischio di violenza domestica. A questo si aggiungono le discriminazioni nell’accesso alle cure sanitarie che l’emergenza acuisce: molte persone evitano di chiedere assistenza per paura della transfobia», spiega Hidasi.

Questa nuova proposta di legge potrebbe peggiorare la situazione. «Non è da escludere un aumento di crimini d’odio e di discriminazioni. Le persone trans la cui identità non è riconosciuta subiscono violazioni del diritto alla salute, discriminazioni, esclusione e bullismo in contesti educativi, lavorativi, abitativi e di accesso alla sicurezza sociale», aggiunge il presidente dell’associazione Transvanilla.

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Budapest Pride 2015 – Foto: Justin van Dyke (via Flickr)

La petizione contro l’iniziativa del presidente Orban

Transvanilla ha immediatamente condannato la proposta del governo ungherese, chiedendo che venisse rigettata. «Il riconoscimento legale del genere è un diritto fondamentale e deve essere garantito per tutelare le persone trans da discriminazione e violenza. Senza poter modificare legalmente il proprio nome e genere, cose ordinarie come aprire un conto corrente, emettere una fattura o mostrare la propria carta di identità per qualsiasi motivo può diventare fonte quotidiana di difficoltà. Chiediamo di cancellare l’articolo 33 dal decreto omnibus e assicurare che le procedure legali per il riconoscimento del genere siano reali, veloci, trasparenti e accessibili in Ungheria», ha scritto l’associazione al governo ungherese.

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Transvanilla ha segnalato inoltre la proposta di legge a Unione europea, Consiglio d’Europa e Nazioni Unite, e ha lanciato una petizione in tre lingue che ha già superato le 29 mila firme. «L’associazione fornisce aiuto psicologico in emergenza a chi ne ha bisogno e continua a lavorare perché la proposta non sia votata dal parlamento. I casi portati di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo saranno portati avanti e se questa proposta dovesse diventare legge continueremo a informare le istituzioni internazionali e a rivolgerci alla Corte costituzionale ungherese», conclude Hidasi.

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Budapest Pride 2017 – Foto: Christo (via Wikimedia Commons)

Ungheria: le reazioni alla mossa di Budapest

Sul caso dell’Ungheria sono intervenute Ilga Europe e Tgeu, le reti che riuniscono le principali associazioni Lgbt e Trans in Europa e Asia centrale per chiedere al parlamento ungherese di rigettare l’articolo 33 della proposta. Ilga ha anche lanciato la campagna #Drop33 su Twitter: per partecipare si può mandare un video in cui ci si filma mentre si strappa una pagina con il no alla proposta 33.

Il 15 aprile ben 63 parlamentari europei hanno sottoscritto una lettera indirizzata al primo ministro e al ministro della Giustizia ungheresi per chiedere la revoca dell’articolo 33: nella lettera si richiamano gli standard dei diritti umani del Consiglio d’Europa e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul riconoscimento del genere.

Transvanilla si è anche rivolta alle Nazioni Unite: cinque esperti indipendenti dell’Onu sulla protezione contro la violenza e la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere hanno scritto una lettera al governo ungherese per sottolineare la propria preoccupazione rispetto alla proposta di legge, chiedendone la revoca immediata perché non conforme alle leggi internazionali sui diritti civili.

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