Marocco: caccia al gay sulle app di incontri per soli uomini
Su invito di un influencer marocchino che vive in Turchia, decine di donne hanno pubblicato sui social media nomi, foto e indirizzi di uomini gay che vivono in Marocco. Nel Paese l'omosessualità è punita con il carcere. Gravi le conseguenze per le vittime: persone cacciate di casa o scappate in piena quarantena
In Marocco decine di uomini gay sono state vittima di una campagna di outing di massa attraverso i social. Le associazioni Lgbt riportano notizie di ragazzi e uomini cacciati dalle famiglie, scappati di casa nella notte per rifugiarsi da amici, che hanno perso il lavoro, che sono stati minacciati e ricattati in seguito a quanto accaduto. Un giornalista franco-marocchino ha segnalato il caso di un ragazzo che si è suicidato. Nel Paese i rapporti tra persone dello stesso sesso sono considerati un reato e puniti con il carcere.
La situazione è stata resa ancora più difficile dalla quarantena causata dall’emergenza coronavirus in corso: molti di questi uomini si trovano bloccati in casa con famiglie che non conoscono il loro orientamento sessuale e potrebbero non accettarlo se dovessero scoprirlo.
Leggi anche:
• Transgender: in Italia la battaglia per i diritti delle persone trans è in salita
• Gay Pride: per i calciatori professionisti è impossibile dichiararsi omosessuali

Intimidazione contro i gay in Marocco: cosa è accaduto
Lo scorso 16 aprile in una diretta Instagram seguita da circa 100 mila persone, Naoufal Moussa, conosciuto come Sofia Talouni, influencer di origini marocchine che vive in Turchia, ha invitato le sue follower a utilizzare le app di incontri per soli uomini per individuare quelli che cercano rapporti omosessuali. L’obiettivo, secondo quanto dichiarato da Talouni in un secondo video, era smascherare l’ipocrisia degli uomini marocchini e far capire ai cittadini del Marocco che le persone gay e bisessuali esistono nel Paese.
Sono state moltissime le donne che hanno aperto account fasulli su PlanetRomeo, Grindr e Hornet e seguendo le istruzioni di Talouni sono entrate in contatto con uomini gay, si sono fatte mandare foto, anche di nudo, e poi le hanno diffuse tramite i social, in particolare nei gruppi femminili su Facebook, rivelando dati sensibili come nomi, foto e indirizzi.
«Ciò che è accaduto è una campagna di intimidazione senza precedenti che ha colpito tantissime persone. In Marocco la comunità Lgbt esiste, ma non avendo luoghi fisici per incontrarsi lo fa online, sui social. Tanto più in questo periodo di quarantena con il Paese quasi militarizzato», dice Anas Chariai, uno degli attivisti dell’associazione Il Grande Colibrì, i primi a riportare la notizia in Italia.
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti

In Marocco non si parla di gay
L’associazione e, in particolare, gli attivisti del gruppo Lgbt, hanno fatto un grande lavoro di ricerca e traduzione su questa vicenda, di raccolta di informazioni e testimonianze. «Non è stato semplice star dietro alle notizie. A parte alcuni siti in lingua francese, la stampa in Marocco non se n’è occupata perché la sessualità rimane un tabù e anche se tutti sanno, non se ne parla», aggiunge Chariai.
Tra le testimonianze c’è quella di un ragazzo italo-marocchino che, a causa dell’emergenza sanitaria, è rimasto bloccato in Marocco: la sua famiglia sa del suo orientamento sessuale e lo sostiene ma, secondo quanto riportato sul sito dell’associazione, il ragazzo ha ricevuto minacce da altri parenti.
Le notizie su quanto sta accadendo arrivano in Italia attraverso i social, tramite gli account di amici e di associazioni e gruppi che tutelano i diritti umani in Marocco. «Alcuni ragazzi ci hanno raccontato di amici che sono stati picchiati, di altri che sono fuggiti da casa, di alcuni che con mille difficoltà sono riusciti ad affittare un appartamento e che adesso si sentono abbandonati da tutti. Uno ci ha riportato la notizia di un suicidio. Certo è che tutti sono in allarme: in Marocco la repressione è forte e il clima è omofobo. Le persone vivono una situazione di angoscia, aggravata dall’isolamento», racconta Diego Puccio, responsabile del progetto Immigrazioni e omosessualità per il Centro d’iniziativa gay di Milano.
Attivo dal 2009, il progetto sostiene le persone Lgbt che fuggono dai loro Paesi di origine perché perseguitate e chiedono asilo in Italia, fornendo loro servizi di orientamento e supporto sociale, ma anche attività culturali: nel 2019 sono state 109 le persone che si sono rivolte allo sportello.
Leggi anche:
• Tunisia, discriminazione di Stato contro le persone omosessuali
• Omofobia: i diritti violati delle persone Lgbt in Italia arrivano all’Onu

Gay in Marocco: la legge e la reazione delle associazioni
Una ventina di associazioni in Marocco hanno condannato l’attacco e la violazione della privacy di molte persone i cui dati sensibili sono stati pubblicati online e hanno espresso solidarietà alle vittime. Ma dato che il Marocco punisce con pene da sei mesi a tre anni di carcere e con multe tra 120 e mille dirham (da 10 a 100 euro circa) le relazioni tra persone dello stesso sesso, non saranno molti gli uomini che denunceranno di essere stati vittime di questa campagna di odio. «Rischiano molto perché la polizia può essere molto aggressiva, in particolare nelle aree non urbane», dice Chariai.
Anche i siti di incontri coinvolti hanno reagito, inserendo messaggi di allerta in arabo e francese e bloccando tutti gli account creati dopo la metà di aprile.
Marocco, una campagna contro la discriminazione dei gay
È stata anche lanciata una campagna di raccolta firme per chiedere l’abrogazione dell’articolo 489 del codice penale che punisce le relazioni tra lo stesso sesso, ma anche di altre leggi che criminalizzano persone gay, lesbiche, trans e sex worker nel Paese.
Inoltre, con la petizione si chiedono misure efficaci contro violenza, molestie e minacce basate sull’orientamento sessuale, l’identità e l’espressione di genere e un migliore accesso alle cure mediche. Il Grande Colibrì ha condiviso la campagna, traducendo la petizione in italiano.
«Sofia Talouni ha dato il via a una vera campagna di diffamazione che ha avuto anche diversi endorsement nel mondo dello spettacolo marocchino. Dopo il primo video, ne ha diffuso un altro in cui diceva “voi gay che vivete in Marocco non vorrete mica chiedere l’abrogazione dell’articolo 489? Il Marocco è musulmano e rimarrà sempre tale, bisogna rispettare le tradizioni”. In pratica, ha detto loro di non osare chiedere diritti. Assurdo che faccia queste affermazioni, ben sapendo qual è la situazione del Paese, dal quale se n’è andato», conclude Chariai.