Grecia-Turchia: tensioni al confine mettono a rischio i diritti dei migranti
Migranti, richiedenti asilo e profughi fanno le spese dello scontro politico tra Grecia e Turchia in materia di gestione dei flussi migrantori. E della posizione dell'Unione europea, che continua a spingere verso un'esternalizzazione delle frontiere anche davanti a gravi violazioni dei diritti umani
di Federica Giannuzzi, Silvia Liberi, Sara Quartararo, Serena Zanirato, Elisabetta Zanoni
L’esternalizzazione delle frontiere dell’Unione europea ha causato nelle ultime settimane ripetute violazioni del diritto internazionale nella gestione dei flussi migratori. Ciononostante, la risposta delle istituzioni europee alla sospensione della procedura d’asilo in Grecia ha privilegiato la difesa dei confini a discapito della tutela dei diritti umani.
L’accordo tra Turchia e Unione europea sui migranti siriani
La tensione tra Turchia ed Unione europea (Ue) sulla questione migratoria è tornata a manifestarsi con forza la notte tra il 27 e il 28 febbraio, con l’annuncio di Recep Tayyip Erdoğan dell’apertura dei confini turchi. Il presidente ha fatto leva sul ritardato, e talora mancato, rispetto delle clausole contenute nell’ Accordo concluso a marzo 2016.
L’accordo prevedeva che tutti i migranti irregolari giunti da quel momento sulle coste greche, che non avessero chiesto protezione internazionale o la cui domanda fosse stata ritenuta infondata o inammissibile, sarebbero stati rimpatriati verso la Turchia. Inoltre, per ogni siriano rimpatriato in Turchia, un altro siriano sarebbe stato re-insediato sul territorio dell’Ue, il c.d. “sistema 1:1”.
L’implementazione di questa parte di accordo è stata parziale. I numeri dei rimpatri sono stati minimi e l’elevato numero di richieste d’asilo presentate in Grecia ha determinato l’abbassamento degli standard qualitativi necessari alla valutazione delle domande e l’allungamento dei tempi d’attesa. Il “sistema 1:1”, che ha creato discriminazione tra “categorie” di migranti sulla base della provenienza, non è stato quantitativamente rispettato dall’Ue.
Tuttavia, il rimando del presidente turco si riferisce in particolar modo alla clausola sull’accelerazione della liberalizzazione dei visti e sull’adesione della Turchia all’Ue, entrambe arenatesi a causa delle richieste avanzate da Bruxelles di una riforma della giustizia, una nuova legislazione per la prevenzione della corruzione e un maggior rispetto dei diritti umani.
La Turchia lamenta, inoltre, l’ammontare degli aiuti economici garantiti dall’Ue e le modalità di distribuzione degli stessi, stanziati a favore di ong e gruppi della società civile, che non hanno permesso una gestione diretta dei fondi da parte del governo.
Con questa intesa l’Ue ha concesso di fatto una potente “arma di pressione” alla Turchia, creando un sistema incentrato sulla difesa dei confini europei a discapito della tutela dei diritti umani fondamentali.
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Grecia-Turchia: cosa succede a migranti e profughi
A seguito dell’apertura dei confini turchi, con decreto adottato il 2 marzo, la Grecia aveva sospeso per un mese la possibilità di presentare domanda di protezione internazionale e di respingere vero il paese di origine o di partenza (Turchia) coloro che entrano illegalmente nel territorio greco. Dalla lettura dell’atto normativo la scelta si sarebbe basata sull’incapacità della penisola di esaminare le domande di protezione internazionale in un periodo di tempo ragionevole e dall’asimmetrica minaccia alla propria sicurezza nazionale.
La Grecia ha tentato di richiamare l’articolo 78.3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea per legittimare un atto di per sé contrario alle norme di diritto internazionale e di diritto dell’Ue in materia di asilo. L’art. 78, in un contesto di solidarietà tra i Paesi membri e alla presenza di situazioni di emergenza caratterizzate dall’improvvisa affluenza di cittadini di Paesi terzi, prevede la possibilità del Consiglio, su proposta della Commissione europea (Ce) e previa consultazione del parlamento, di adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro e/o di altri Stati membri interessati.
La sospensione, frutto di una decisione unilaterale della Repubblica ellenica, risulta sicuramente illegittima non solo da un punto di vista procedurale, ma anche di contenuto, non sussistendo alcuna base legale per motivare la sospensione della procedura di un diritto fondamentale internazionalmente garantito, così come sottolineato dall’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite e dalla commissaria Ue agli Affari interni, Ylva Johansson.
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L’Unione europea appoggia la violazione dei diritti
Tuttavia, la risposta delle istituzioni europee è stata di pieno supporto alla Grecia e ha incluso il dispiegamento di una missione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex).
Sorgono dubbi sulla legittimità delle stesse operazioni di Frontex in rispetto non solo al diritto internazionale, ma anche con riferimento al suo regolamento interno. L’art. 80 prevede, infatti, che essa operi nel rispetto del diritto europeo e delle norme vigenti in materia di diritti umani, garantendo l’accesso al procedimento di richiesta d’asilo a coloro che necessitano di protezione internazionale, con particolare attenzione al principio di non-refoulement. Lo stesso impedisce ad uno Stato di rimpatriare rifugiati e richiedenti asilo in Paesi in cui sarebbero a rischio di persecuzioni.
Inoltre, il respingimento alla frontiera in assenza di identificazione e verifica dello status giuridico del migrante in transito, previsto dal decreto greco, viola il divieto di respingimenti collettivi e il menzionato principio di non-refoulement. Può, dunque, la Turchia essere considerata un Paese sicuro?
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Turchia al confine tra democrazia e autoritarismo
Nel 2004 la Ce ha dato parere favorevole all’apertura dei negoziati con la Turchia per la sua ammissione all’Ue, considerato soddisfatto il primo dei criteri di Copenaghen: «La presenza di istituzioni stabili che garantiscono la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e loro tutela». Tuttavia, ad oggi, le difficoltà che sta riscontrando Ankara riguardano proprio le sue performance in tema di democrazia.
La riforma costituzionale del 2017, infatti, ha dato luogo ad una forma di governo presidenziale dimentica del fondamentale sistema di pesi e contrappesi istituzionali-democratici in grado di arginare involuzioni autoritarie. Si tratta del principio di separazione dei poteri e delle garanzie dei diritti fondamentali, elementi essenziali dello Stato di diritto.
Il prodotto è stato una compressione dell’autonomia del potere legislativo, esecutivo e giudiziario a fronte di una espansione dei poteri del capo di Stato.
Circa il rispetto dei diritti umani, il presidente ha potere di invocare lo stato di emergenza senza previa consultazione del parlamento o dell’esecutivo, senza limiti di tempo. In questa prospettiva, le derivanti deroghe a tutti i diritti e libertà fondamentali della persona, nella loro dimensione individuale e collettiva, sarebbe pressoché illimitata.
In particolare, risultano compresse: la libertà di espressione, il diritto di critica e il dissenso, in generale. Altissimi i rischi di accusa di propaganda al terrorismo e di reato di “vilipendio dell’identità nazionale” per giornalisti, scrittori e difensori dei diritti umani la cui tutela cautelare in carcere nelle more di giudizio spesso si prolunga ad un livello tale da costituire detenzione arbitraria.
Non in linea con il rispetto delle minoranze di matrice europea è, invece, la storica posizione negazionista nei confronti del genocidio armeno e l’atteggiamento di rifiuto del popolo curdo, rappresentante il 25% della popolazione totale (leggi Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria).
Non solo non è mai stato inserito tra le minoranze riconosciute ma, nel tempo, sono state adottate riforme che mirano a comprimerne e annullarne l’identità. Tra queste l’interdizione della lingua curda e di tutte le espressioni culturali nel 1924, fino ad arrivare alla “Legge sullo Stato di Emergenza” del 1990 che portò allo smantellamento di 4.000 villaggi curdi e ad un esodo interno di circa 4 milioni di persone.
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L’orientamento assunto nel nuovo millennio non sembra discostarsi molto dal precedente. Seppur la Turchia abbia approvato la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, la tortura per gli oppositori politici o gli esponenti della comunità curda è ancora in auge (Amnesty International – Report Turchia 2017-18).
La domanda che sorge è dunque questa: se la Repubblica Turca non è in grado di assicurare le garanzie connesse al principio di democrazia ed allo stato di diritto ai suoi cittadini, potrà assicurarle ai migranti che versano in una situazione deteriore per circostanze di diritto e di fatto?
Grecia, Turchia e Ue alzano muri e barriere
In merito alle relazioni tra Ue e Turchia, non avendo l’Accordo una scadenza prestabilita, si presume che le parti vogliano continuare ad implementarlo. È quanto sembra emergere a seguito dell’incontro avvenuto a Bruxelles lo scorso 9 marzo tra i tre presidenti delle istituzioni europee ed il presidente turco, volto a garantire l’interpretazione univoca dell’Accordo ed a contribuire a mantenere un dialogo proficuo con la Turchia.
Il 3 marzo 2020 la presidente della Ce Ursula Von Der Leyen , dopo essersi recata al confine greco/turco, ha espresso il totale sostegno nei confronti della Grecia dichiarando prioritario il mantenimento dell’ordine sul confine e definendo il Paese «scudo d’Europa».
Tale supporto si evince sia dallo stanziamento di innumerevoli aiuti a favore del Paese per fronteggiare l’emergenza, sia dal silenzio delle istituzioni europee in merito alle azioni che le autorità greche stanno compiendo nei confronti dei migranti. La Grecia si rende, così, responsabile di molteplici violazioni del diritto internazionale e del diritto dell’Ue con il supporto tacito della stessa Unione.
La linea mantenuta dall’Ue, dunque, sembra essere quella ormai attuata nell’ultima decade: la politica della esternalizzazione delle frontiere. La scelta dell’Ue è stata, in sostanza, quella di affidare la responsabilità del controllo del flusso migratorio a Stati terzi in cambio di supporto finanziario ed economico. Tale orientamento sembrerebbe rafforzato dalla bozza del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo redatta dalla Ce.
Come confermato dalla sentenza della Corte duropea dei diritti dell’uomo, N.D. e N.T c. Spagna (feb. 2020), risulta sempre più chiara la tendenza dell’Europa ad alzare muri e barriere in nome della sicurezza, piuttosto che accogliere il diverso in nome della solidarietà.