Rider alle prese con diritti violati e mancanza di sicurezza sul lavoro

Durante l’emergenza coronavirus i rider stanno fornendo un importante servizio pubblico, ma troppo spesso non lavorano in sicurezza. Chiedono più mascherine, ma anche più tutele, come previsto dalla legge Rider del 2019 e dalla Cassazione

Dall’inizio dell’emergenza coronavirus i riders stanno consegnando a domicilio medicine, sushi, spesa, pizze. Mentre gran parte dei cittadini è chiuso in casa, con la raccomandazione di uscire il meno possibile, i ciclofattorini svolgono un servizio di pubblica utilità.

Non sempre però lavorano in condizioni di sicurezza. In diversi casi è successo che dovessero ritirare i pasti, pedalare e svolgere consegne senza guanti, mascherina, gel igienizzante per le mani e prodotti disinfettanti per lo zaino. O che dovessero aspettare il loro turno davanti ai locali senza poter rispettare le distanze di sicurezza dai colleghi e, a volte, incappando persino in multe ingiuste e aggressioni. Assodelivery, l’associazione di categoria che raccoglie le principali piattaforme per la consegna a domicilio, non ha risposto alle nostre domande, inviate lo scorso 22 aprile. Per Silvia Simoncini, segretaria nazionale Nidil Cgil,

«i rider sono tra i lavoratori precari più esposti al rischio di contagio. La loro è stata definita un’attività essenziale, ma il sistema non ha prestato un’attenzione proporzionata alla loro salute e sicurezza».

Rider chiedono dispositivi per sicurezza sul lavoro

Pochi giorni dopo le misure restrittive nazionali dell’8 marzo, i sindacati autonomi Deliverance Milano e Rider Union Roma hanno denunciato su Facebook: «Pur essendo tra le categorie più esposte al #contagio, occupandoci di consegne a domicilio, le aziende non ci forniscono ad oggi, come la Legge Rider invece prevede i #DPI (Dispositivi di Protezione Individuale). In questo caso, oltre alla giacca catarifrangente ed impermeabile, le luci, le gomitiere, le ginocchiere e il casco, le imprese dovrebbero fornirci, per tutelarci dal pericolo di contrarre il Covid-19, la mascherina certificata, i guanti usa e getta e il gel disinfettante».

Il post fa riferimento alla legge 128 del 2019, che prevede che la piattaforma di consegna di cibo sia tenuta nei confronti dei fattorini «a propria cura e spese, al rispetto del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81». Quello cioè sulla salute e sicurezza sul lavoro.

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Tribunali Roma, Firenze, Bologna: «Dpi ai rider»

È appellandosi a questa legge che alcuni lavoratori hanno chiesto ai tribunali di Firenze, Roma e Bologna di essere dotati di tutti i dispositivi da parte delle piattaforme. E in tutti e tre i casi i tribunali gli hanno dato ragione. «Provvedimenti quasi scontati, i giudici non potevano negare il diritto ai Dpi. È importante però ricordare che le ordinanze valgono solo per i singoli lavoratori che hanno fatto ricorso», sottolinea l’avvocato Alberto Piccinini, che ha seguito il ricorso nel capoluogo emiliano.

Al momento, spiega Angelo Avelli di Deliverance Milano, la situazione non è omogenea: «Dopo le prime due settimane di emergenza, c’è chi tra le aziende ha introdotto la consegna senza contatto, pur mantenendo la possibilità di pagare in contanti. Chi ha previsto un’assicurazione sanitaria. Chi ha deciso un rimborso una tantum per l’acquisto di guanti, gel e mascherine, chi li ha distribuiti in alcuni ristoranti senza informare i rider, chi li ha inviati a casa dei lavoratori, ma in certi casi solo su richiesta. La distribuzione di questi dispositivi è tuttavia ancora parziale». Altre mascherine sono state distribuite ai rider da enti pubblici come il Comune di Milano o la Regione Toscana, o sindacati come la Cgil.

Le piattaforme hanno lamentato la difficoltà di reperire le mascherine e i tempi lunghi di approvvigionamento. Abbiamo chiesto ad Assodelivery  se i dispositivi sono stati consegnati e se le aziende hanno fatto o faranno ricorso contro le decisioni dei tribunali, ma l’associazione non ha risposto alle nostre domande.

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rider lavoro subordinato
Rider in attesa davanti a un ristorante milanese il giorno di Pasqua – Foto: Deliverance Milano (via Facebook)

Rider tra lavoro subordinato e autonomo: cosa dice il diritto del lavoro

Oggi molti rider sono lavoratori autonomi con partita Iva. «Spesso viene applicato il contratto di collaborazione occasionale, ma al raggiungimento della soglia massima di 5 mila euro di compenso ai lavoratori viene chiesto di aprire la partita Iva per continuare a lavorare», spiega l’avvocato Giulia Druetta.

È lei ad aver seguito il processo di Torino finito a gennaio 2020 con una importante sentenza della Cassazione a favore dei rider. Per Druetta «queste forme di lavoro spesso applicate dalle piattaforme sono schermi contrattuali, in base ai quali le aziende non devono i Dpi ai lavoratori. Bisogna anche ricordare che non basta che i datori di lavoro consegnino solo gel, guanti e mascherine per assolvere ai propri obblighi. Sicurezza significa anche formazione dei lavoratori e vigilanza sul rispetto delle misure adottate».

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Rider e bonus 600 euro

L’altra faccia della sicurezza chiesta dai rider riguarda gli ammortizzatori sociali attivabili dal governo. Le risposte arrivate dalle istituzioni non sono state soddisfacenti per i ciclofattorini. «Il bonus da 600 euro introdotto dal governo è solo per le partite Iva, che sono sì la maggioranza dei rider, ma spesso non hanno presentato domanda. Molti ciclofattorini sono migranti, spesso non parlano bene italiano: hanno richiesto il bonus quelli che lo hanno saputo, che avevano qualcuno che li ha aiutati, che sapevano come fare a richiederlo», spiega Avelli.

Rider e lavoro subordinato

A fine 2019 la legge 128 ha introdotto alcune tutele in più per i rider, delineando un sistema a doppio binario. Per tutti si prevede che i criteri per determinare il compenso debbano essere concordati da aziende e rappresentanze dei lavoratori, con indennità integrative per lavoro di notte, durante le festività o in situazioni di maltempo. Si prevede anche la copertura assicurativa obbligatoria Inail, contratti di lavoro individuali per iscritto e la messa al riparo dalla discriminazione, come l’esclusione dalla piattaforma o la riduzione delle occasioni di lavoro.

Inoltre, per i rider che lavorano con «prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente» si applicano le tutele del rapporto di lavoro subordinato.

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rider lavoro autonomo
Una protesta dei rider a Bologna – Foto: Riders Union Bologna (via Facebook)

Rider: legge e Cassazione dispongono maggiori tutele

«La maggior parte dei rider indubbiamente svolge la sua attività con modalità che possiamo definire sicuramente etero organizzate dal committente, se non proprio tipiche del lavoro subordinato. Hanno quindi diritto, come previsto dal decreto legislativo 81/15 (Jobs Act, ndr) così come modificato dalla legge 128/19, a tutte le tutele del lavoro subordinato, come malattia,  congedo di maternità e paternità, ferie pagate», spiega Silvia Simoncini di Nidil Cgil.

«Lo stesso principio viene sancito anche dalla sentenza della Cassazione di gennaio 2020. La legge non può stabilire che un determinato lavoro è di per sé subordinato; è infatti la modalità con cui il lavoro viene svolto che ne determina la qualificazione, ma un lavoratore può indubbiamente chiedere a un giudice che queste tutele gli siano riconosciute», prosegue Simoncini.

I rider chiedono un contratto collettivo di lavoro

Questi provvedimenti fanno intravedere all’orizzonte possibili miglioramenti, ma non escludono la possibilità che tutto rimanga com’è. In particolare, «se sull’Inail e sui contratti individuali per iscritto le piattaforme si sono adeguate, sulla determinazione del compenso si dovrebbe trovare un accordo tra sindacati e aziende entro il 3 novembre 2020. In mancanza di un accordo, si dovranno prendere come riferimento i contratti di settori affini, con due punti fermi: il diritto a un compenso minimo orario e l’abolizione del pagamento a cottimo», spiega Avelli.

I lavoratori auspicano un accordo anche sulle tutele previste dal lavoro subordinato. «Secondo noi c’è un abuso a monte: alla grande maggioranza dei rider dovrebbero essere riconosciute le stesse tutele dei lavoratori subordinati. Al momento non c’è un confronto in corso con le società: le nostre richieste di incontri sono spesso rimaste senza risposta», aggiunge Simoncini. I lavoratori di Deliverance Milano chiedono «l’applicazione di un contratto collettivo nazionale o un contratto integrativo a quello nazionale della Logistica con tutte le tutele garantite ai subordinati», dice Avelli.

Abbiamo chiesto ad Assodelivery quale sia la posizione delle piattaforme su lavoro subordinato e sui criteri di determinazione del compenso e se sia in corso un confronto con le organizzazioni sindacali. Non abbiamo ricevuto risposte.

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Foto: Deliverance Milano (via Facebook)

Lavorare come corriere in bici: tutto passa da un’app

Molti temono accordi al ribasso, in un settore dove molti lavoratori non sono sindacalizzati. A complicare il confronto è la smaterializzazione dei rapporti con i datori di lavoro. «Le comunicazioni delle piattaforme arrivano sullo smartphone dei lavoratori, non c’è una sede fisica di lavoro, una storicizzazione dei rapporti, un luogo di confronto tra le parti», spiega Danilo Morini, del dipartimento nazionale Trasporto Merci e Logistica di Filt Cgil.

Rider: cercansi alternative al capitalismo di piattaforma

Per il sociologo Antonio Casilli, docente del Politecnico di Parigi, con l’emergenza si è preso coscienza che le catene logistiche in cui sono inseriti i rider sono delle vere e proprie infrastrutture di utilità pubblica: «C’è da sperare che il prossimo passo da parte degli stati europei e degli altri Paesi sia rendersi conto che devono assicurare una regolazione più stringente di queste stesse piattaforme».

Nel frattempo, qualcosa si sta muovendo a Bologna, dove il 31 maggio 2018 è stata firmata una Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano, in anticipo sulla legge del 2019. Nella città emiliana si sta avviando un percorso per mettere in campo soluzioni etiche per la consegna a domicilio, in alternativa al «capitalismo di piattaforma». L’obiettivo dell’iniziativa è «prototipare nuovi dispositivi collettivi e solidali in risposta ai nuovi bisogni di tutele e di servizi».

Festa dei lavoratori: il 1° maggio 2020 nasce “Diritti per i rider”

I diretti interessati, inoltre, continuano a lanciare iniziative per unirsi e dare così più forza alle proprie rivendicazioni. Come annunciato su diverse pagine Facebook di rider, tra le quali anche quella di Riders Union Bologna, infatti, «in occasione del Primo maggio, giornata internazionale di rivendicazione dei diritti dei lavoratori, i rider di diverse città italiane lanciano la piattaforma comune “Diritti per i rider“. Da Milano a Bologna, passando per Firenze, Roma, Napoli e Palermo, i rider si coalizzano per dare vita all’unione delle esperienze sindacali attive su tutti i territori della penisola come “Rider x i diritti”».

La rivendicazione è chiara: «È tempo che i vari Glovo, Deliveroo, JustEat e UberEats si attrezzino per garantire reddito e sicurezza sul lavoro, non soltanto per noi riders ma anche nell’interesse della tenuta del sistema sanitario nazionale. È necessario che lavoriamo? Ci forniscano i dispositivi di protezione! Siamo un servizio essenziale? Ci assumessero, perché chi svolge un servizio essenziale normalmente ha un contratto di lavoro! È giunto il momento di iniziare a riorganizzarsi per costruire nuove lotte, perché se gli assembramenti fuori dai locali vanno bene per i profitti di grandi multinazionali, si può ragionare su come fare mobilitazione, nel rispetto delle prescrizioni sanitarie, per la difesa dei nostri diritti!».

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