Malati di Alzheimer: l’emergenza coronavirus dimentica i centri diurni

Per i malati di Alzheimer il pericolo in caso di contagio è elevato. Ma i centri diurni restano una risposta necessaria per il loro benessere e, in alcuni casi, la loro sopravvivenza. Dimenticati dai decreti Covid-19, ora ci si domanda come e quando potranno riaprire in sicurezza

Come spiegare a un malato di Alzheimer che deve restare tra le quattro mura domestiche? Come compensare terapie, soprattutto quelle non farmacologiche, e socialità dei centri diurni per demenze durante il lockdown? E come immaginare tutto questo nei prossimi mesi di convivenza con il coronavirus?

Durante questa emergenza sanitaria sono molte le domande dei familiari dei pazienti dei centri diurni per demenze che restano senza risposta. A loro si uniscono quelle degli stessi centri, tra le realtà sanitarie e sociali più ignorate dai decreti anti-contagio, prima esposti al pericolo senza informazioni precise, dall’8 di marzo chiusi senza indicazioni su come potranno operare nel futuro.

Leggi anche:
Malati di Alzheimer: senza strutture è emergenza per pazienti e famiglie
Demenza senile: malati imbottiti di psicofarmaci in case di cura australiane

centri diurni alzheimer covid

Centri diurni per demenze: eravamo esposti al contagio, ma non lo sapevamo

Impossibile il distanziamento di un metro coi malati di Alzheimer, difficile costringere i pazienti a indossare mascherina o guanti, malati e famiglie che arrivano la mattina e la sera rientrano nelle proprie abitazioni: i centri diurni per le demenze, all’indomani del decreto dell’8 marzo 2020, sono stati chiusi.

«Abbiamo chiuso così, da un giorno all’altro, dopo il Dpcm dell’8 marzo», racconta a Osservatorio Diritti Elena Sodano, presidente dell’Associazione Ra.Gi, che gestisce due centri diurni in Calabria nei comuni di Catanzaro e Cicala. «Peccato che la delibera ufficiale della Regione sia arrivata dieci giorni dopo. E, soprattutto, che nessuno fino ad allora ci avesse minimamente avvisato del pericolo che stavano correndo i nostri pazienti e il nostro personale. Eppure molti dei nostri ospiti sono anziani, le persone da noi vanno e vengono. Se avessimo ricevuto indicazioni sulle precauzioni da prendere, anche prima del lockdown, ci saremmo attenuti tempestivamente. E invece abbiamo assistito a passerelle mediatiche che almeno fino alla fine febbraio ci dicevano di stare tranquilli. Evidentemente non era così».

Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti

osservatorio diritti newsletter

 

Malati di Alzheimer, si torna indietro

Dopo la chiusura, il nulla. Da un lato le famiglie dei malati di demenza che si sono visti venire meno, improvvisamente, il sostegno terapeutico; dall’altro i centri diurni dal futuro sempre più incerto.

«Non abbiamo nessun elemento per dire se e quando potremo riaprire. La fase 2 è work in progress, ma la sofferenza dei malati non può essere work in progress, abbiamo bisogno di capire e di prepararci al futuro».

Immaginarsi un ritorno graduale alla cosiddetta “normalità” nei centri diurni è più che mai difficile, perché per ridurre il pericolo di contagio le misure preventive conosciute, come il distanziamento sociale e la mascherina, sono poco applicabili per i malati di demenze. Senza contare che, in caso di contagio, per una persona con demenza sarebbe complicato applicare una cura medica invasiva, come l’intubazione, persino una flebo è difficile da gestire, così come l’isolamento nei reparti o domiciliare.

Con queste premesse, il timore più grande è che, semplicemente, i centri diurni non riaprano, almeno per molti mesi. «Corriamo il rischio di tornare indietro e di ridurre la cura dei malati di Alzheimer alla residenzialità nelle case di cura non specializzate in demenze e alle cure farmacologiche», si allarma Elena Sodano, che con la sua associazione da anni si fa promotrice dell’umanizzazione delle cure attraverso un approccio di tipo sociale nei centri specializzati.

Leggi anche:
Pfas: in Veneto l’acqua contaminata fa temere per la salute
Violenza psicologica sulle donne: l’altalena emotiva in una mostra

centri diurni alzheimer coronavirus

La denuncia dei centri diurni per malati di Alzheimer: i decreti sul Covid-19 si sono dimenticati di noi

La soluzione più percorribile a oggi per permettere ai centri diurni di riaprire potrebbe essere quella di lavorare con micro-gruppi, attivando corridoi protetti tra le abitazioni dei malati e il centro, ma questo dovrebbe avvenire con la massima tutela. «I malati di Alzheimer sono pazienti molto delicati, sono soggetti ad arresti cardio-circolatori e a complicanze polmonari, proprio quello che li rende più vulnerabili in caso di contagio da Covid-19», ricorda Sodano.

«Per riaprire abbiamo bisogno di agire nella massima sicurezza, ci servono tamponi e un’assistenza che al momento non possiamo nemmeno immaginare di avere. Eppure il nostro ruolo sociale è importantissimo, siamo il cuore pulsante della società, ma la politica ci ha dimenticati».

Leggi anche:
Festa delle donne dell’8 marzo: storia, significato e diritti violati
Caregiver: assistono milioni di persone, ma sono senza diritti

centri diurni alzheimer covid
Foto: Pixabay

Le difficoltà dei centri diurni sono anche di carattere economico. Anche ipotizzandone la riapertura, lo sforzo di rialzare le serrande per realtà che per mesi hanno di fatto ridotto le entrate a zero, di riorganizzare strutture e personale secondo nuove direttive, potrebbe essere superiore alle possibilità economiche effettive.

«Piccole realtà non accreditate come la nostra facevano fatica ad arrivare a fine mese anche prima e ora la situazione è ancora più drammatica. Anche nei centri diurni accreditati (cioè le strutture sanitarie pubbliche o convenzionate, ndr) la situazione non cambia. Chiediamo che il nostro ruolo sociale venga riconosciuto e che ci sostengano per  svolgerlo al meglio», conclude Sodano.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.