Libertà, il documentario che racconta i diritti dei migranti Lgbt
Essere migranti Lgbt vuol dire spesso vedere i propri diritti a rischio due volte. Lo racconta Libertà, un cortometraggio - documentario diretto da Savino Carbone che mette al centro della storia le vicende di due richiedenti asilo omosessuali
Libertà non è solo il nome del quartiere di Bari in cui è ambientato il film di Savino Carbone, ma anche l’argomento attorno al quale ruota questo documentario di 30 minuti, che unisce il tema della migrazione a quello dei diritti delle persone Lgbt. Il desiderio di libertà è ciò che accomuna i due protagonisti del cortometraggio, entrambi richiedenti asilo in Italia.
Libertà, prodotto da Centro Documentazione e Ricerca “Möbius” di Cooperativa Quarantadue, offre un intenso ritratto della condizione dei migranti omosessuali in un alternarsi di testimonianze, confidenze e riflessioni.
Libertà: la trama del documentario di Savino Carbone
I due protagonisti di Libertà, B. e Chizzy, hanno lasciato, rispettivamente, il Senegal e la Nigeria. Per chi, come loro, è omosessuale, in queste nazioni la vita non è facile: da affrontare ci sono condizioni estremamente discriminatorie, che portano all’emarginazione o nel peggiore dei casi a pestaggi, violenze e persino al carcere. Anche con l’arrivo in Italia, però, per i due richiedenti asilo è tutto complicato.
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B. è un ragazzo e proviene dal Senegal, dove viveva coltivando la terra e vendendo frutta e verdura al mercato. Il ragazzo racconta con delicatezza la sua omosessualità, la scoperta dell’amore, il suo viaggio tumultuoso per arrivare in Italia (passando dallo sfruttamento in Mali e dalla drammatica esperienza della prigionia in Libia). In Puglia ha trovato lavoro come bracciante, tra turni massacranti e paghe vergognose. In Italia B. si è innamorato ancora, ma non è stato fortunato:
«Alla fine lui è partito, è andato a Malta, dove ha un vero lavoro. Io sono rimasto qui a obbedire agli ordini del mio padrone. Il mio non è lavoro, è solo schiavitù».
Anche Chizzy, nigeriana, descrive la sua vita nel nostro paese, tra la disperata ricerca di lavoro e l’odissea per ottenere i documenti. Tra maggio e luglio 2019, periodo in cui è stato girato il film, sotto gli effetti dei decreti sicurezza voluti dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, in Italia è aumentata la diffidenza nei confronti degli immigrati, il clima di odio sociale, il razzismo. In questo scenario, in quanto omosessuale, per Chizzy è stato ancora più difficile farsi accettare per quello che è.
«In Italia pensavo di ricevere aiuto, che qualcuno mi stesse vicino, mi proteggesse. E invece non ho documenti, non ho un lavoro, non ho una ragazza né amici. Nessuna libertà. E quel che è peggio è che non so come trovare una ragazza. Non so come si comporta una lesbica in Italia. Non posso conoscerle perché stanno per i fatti loro».
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Storie di sfruttamento e discriminazione nel documentario Libertà
Le due vicende raccontate nel documentario di Savino Carbone, entrambe ambientate nel quartiere Libertà di Bari, caratterizzato da una massiccia componente multietnica, intrecciano numerosi temi.
Il lavoro, ovviamente, con la testimonianza della condizione dei braccianti nel Sud Italia e della difficoltà di ottenere documenti regolari senza un’occupazione stabile. I pericoli del viaggio che un migrante compie per raggiungere l’Italia: in questo senso, particolarmente commoventi sono i ricordi di B. sugli amici e sui compagni persi, ma anche sugli atti di bontà ricevuti da sconosciuti. La difficoltà a integrarsi, a farsi accettare, a fare comprendere alle istituzioni la condizione di richiedente asilo omosessuale. La battaglia delle comunità Lgbt e delle associazioni per fare sì che questo tema, ancora defilato, raggiunga sempre più l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica.
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La condizione dei migranti Lgbt: diritto d’asilo e discriminazioni nel nuovo cortometraggio
«Ho detto tante volte ai giudici di essere lesbica, ma non mi hanno mai creduta».
Come confessa Chizzy in una sequenza di Libertà, esiste un problema legato al riconoscimento del diritto di asilo per i migranti Lgbt. In una sentenza emessa ad aprile 2019, la Corte di Cassazione ha dichiarato che, prima di negare lo status di rifugiato a un richiedente asilo che afferma di essere omosessuale, deve essere accertato non solo se nel paese di origine non vigano leggi discriminatorie, ma pure se le autorità locali forniscano “adeguata tutela” al ricorrente, anche quando colpito da persecuzioni di tipo familiare.
Questo non riguarda solo i paesi in cui vige la pena di morte per l’omosessualità, ma anche nazioni – come la Costa d’Avorio, a cui si riferiva nello specifico la sentenza – dove l’omosessualità in sé non è sanzionata ma non c’è alcuna garanzia di protezione per i cittadini che si dichiarano tali.
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Eppure sono sempre di più le associazioni e gli attivisti che denunciano la doppia marginalizzazione subita dai migranti omosessuali. Si sottolinea come, nei colloqui, le commissioni territoriali chiamate a esprimersi sul diritto d’asilo dei migranti Lgbt si basino su stereotipi di genere; siano evasive e domandino ai richiedenti di essere “discreti” rispetto al loro orientamento sessuale; o, al contrario, per giudicare la validità della richiesta si soffermino su dettagli della sfera privata dei sentimenti e della sessualità. E molti di loro, proprio come Chizzy non manca di sottolineare nel documentario, non desiderano rispondere a queste domande perché non le ritengono pertinenti alla richiesta d’asilo.
Di contro, alle polemiche che considerano l’omosessualità un “pretesto” per ottenere l’asilo, gli avvocati immigrazionisti continuano a ripetere il contrario. E i dati 2019, se mai ce ne fosse bisogno, indicano che ormai la percentuale di richieste diniegate, qualunque sia il motivo per cui si chiede asilo, ha raggiunto circa il 65 per cento.