Carceri italiane in rivolta: 12 morti, violenze ed evasioni
Le restrizioni per evitare contagi da coronavirus nelle carceri italiane hanno fatto scoppiare proteste e violenze un po' dappertutto. Dodici detenuti sono morti tra Modena e Rieti, altri sono evasi dal carcere di Foggia, mentre a San Vittore, Milano, hanno protestato salendo sul tetto. Le ultime misure rischiano di far saltare un sistema già troppo provato dal sovraffollamento
Le misure per il contenimento del coronavirus sono il detonatore che ha fatto scoppiare la situazione in diverse carceri italiane. Negli ultimi due giorni si sono registrate rivolte, nove detenuti sono morti a Modena e altri tre a Rieti. E si sono avuti episodi di violenza nei confronti di agenti della polizia penitenziaria. E non sono mancate neppure le evasioni.
«Forte preoccupazione per le proteste da giorni in corso in diversi istituti penitenziari, proteste sfociate talvolta in violenze inaccettabili, con conseguenze gravissime, prime fra tutte la morte di alcune persone detenute», si legge in una nota del Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma. «La sospensione dei colloqui diretti con i familiari, disposta come misura precauzionale per contrastare il diffondersi del virus Covid-19, comporta un grave sacrificio per le persone ristrette e le loro famiglie, ma si tratta di una misura a termine, fino al 22 marzo. La sostituzione delle visite con le video-comunicazioni e con l’aumento del numero di telefonate previste dalla legge richiede uno sforzo organizzativo da parte dell’amministrazione centrale e degli Istituti, ma soprattutto un impegno teso a favorire una comunicazione corretta e completa sui provvedimenti adottati in carcere e anche sul territorio nazionale».
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Come si è arrivati alla rivolta nelle carceri italiane
Il 24 febbraio è stata creata una cabina di regia per gestire l’emergenza sanitaria nel settore della giustizia. E nei giorni seguenti il Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) ha adottato misure volte ad arginare la possibilità di propagazione del contagio, come ridurre le visite familiari e i permessi per lavoro esterno. Un sistema di sorveglianza sanitario è stato organizzato in un triage d’ingresso ad ogni nuovo detenuto.
Le misure sono state applicate dai singoli direttori dei penitenziari e il messaggio ministeriale sottolinea la necessità di evitare l’ingresso di persone esterne come volontari e professionisti che coordinano attività lavorative. Il decreto di domenica 8 marzo, che chiude fino al 22 marzo l’accesso agli esterni, ha fatto esplodere le proteste violente.
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Nove morti a Modena, tre a Rieti, evasioni a Foggia: la rivolta nelle carceri italiane va da Milano a Palermo
Una delle prime carceri a esplodere è stata quella di Modena, dove l’8 marzo mattina sono state prese di mira le stanze dell’ambulatorio medico. Alcuni detenuti hanno saccheggiato gli armadietti dei medicinali, appiccato il fuoco e aggredito i poliziotti intervenuti a sedare la violenza.
In poche ore il carcere è diventato inagibile e oltre 500 detenuti sono dovuti essere smistati in altri istituti (Alessandria, Verona, Parma e Ascoli). In tutto sono morte sei persone tra i reclusi. Il motivo è ancora da accertare, ma viene indicata l’overdose da farmaci come possibile causa.
Il 9 marzo diversi altri istituti sono entrati in agitazione, spesso nei reparti di dipendenza. Tra questi il carcere di San Vittore, a Milano, dove oltre 20 detenuti hanno distrutto gli spazi del progetto “Nave” dedicati al recupero dei tossicodipendenti. Sono stati incendiati materassi, saccheggiati gli armadietti dell’ambulatorio medico e assunti farmaci che hanno poi comportato il ricovero in ospedale per abuso di sostanze. Per diverse ore una decina di detenuti è rimasta sul tetto del carcere urlando «libertà, libertà».
Una reazione simile c’è stata in altri istituti fino a Foggia, dove decine di detenuti sono riusciti a scappare e a prendere in ostaggio diversi spazi all’interno del carcere gridando all’indulto. Le situazioni sono rientrate grazie alla mediazione dei garanti regionali per la libertà delle persone ristrette, che nella maggior parte dei casi hanno aiutato le direzioni a proporre soluzioni tampone.
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Vita nelle carceri italiane: situazione cronica di sovraffollamento
«Se l’informazione dall’esterno entra solo con il telegiornale che invita a stare un metro di distanza dagli altri e la tua cella, che dividi con altri due, è poco meno di tre metri per tre è evidente che vieni assalito dal panico e reagisci», spiega il senatore del Partito Democratico Franco Mirabelli.
Il parlamentare il 9 marzo mattina doveva entrare nell’istituto penitenziario milanese per parlare dell’emergenza sanitaria con il direttore Giacinto Siciliano, ma «all’ingresso sono stato invitato ad aspettare fuori perché era già in corso la rivolta del terzo e quinto raggio. Il direttore era chiaramente impegnato a gestire l’emergenza e ho atteso fuori. Ho visto il fumo in cima al complesso e delle persone in piedi sul tetto. Devo dire che le mie preoccupazioni erano fondate».
Con oltre 61 mila detenuti nelle carceri italiane il sovraffollamento è la causa principale delle rivolte, una situazione ormai stabile e di difficile gestione «La risposta politica deve essere la detenzione domiciliare per chi sta finendo di scontare la pena e la dimora notturna in casa per chi esce con il permesso di lavoro. Stiamo aspettando che il ministro Bonafede risponda alle nostre sollecitazioni», conferma Mirabelli, che nei giorni scorsi aveva segnalato la possibile crisi intramuraria causata dalle restrizioni per il Covid-19
Antigone e Garante detenuti: le proposte degli esperti
«Delle rivolte così violente e numerose non ne avevo mai viste, meno male che non sono coordinate dalla criminalità organizzata che, anzi, si è scostata da questo tipo di proteste», commenta Alessio Scandurra, responsabile dell’Osservatorio Carceri dell’associazione Antigone.
Il lavoro dell’associazione, dedicato al monitoraggio della vita nelle carceri, dimostra come il sistema detentivo stia vivendo un livello di tensione molto alto a causa dei mancati colloqui con i familiari e della sospensione dei permessi di lavoro esterno. «Le misure alternative, come il lavoro extramurario, devono essere ripristinate subito per poter gestire l’eventuale panico dei detenuti. Non è pensabile che si chiudano gli istituti, si rischierebbe davvero un collasso dell’intero sistema nazionale».
Mauro Palma, Garante nazionale per le persone detenute, ha avuto una lunga riunione il 9 marzo col ministro della Giustizia e alcune associazioni al fine di creare una task force dedicata alla gestione dell’emergenza sanitaria nelle carceri. Nel comunicato stampa finale sottolinea la necessità di aumentare i minuti di telefonate verso i familiari, assicurare il lavoro in esterno e spingere per una detenzione domiciliare.
In una nota aggiunge come la risposta politica «sia arrivata con un certo ritardo». Il ministro Alfonso Bonafede ha però riposto prontamente con un messaggio sui social in cui chiede di mantenere la calma in un momento in cui tutto il popolo italiano sta facendo grandi sacrifici per superare l’emergenza sanitaria.