Patrick Zaky: chi è l’attivista in carcere in Egitto e perché è stato arrestato
Patrick Zaky, studente egiziano dell’Università di Bologna, è stato arrestato al Cairo mentre andava a trovare la famiglia. È impegnato nella difesa dei diritti delle minoranze oppresse nel Paese, a partire da comunità cristiane e persone Lgbt. «È stato arrestato perché denuncia il lato oscuro dell’Egitto»
Questa settimana sarebbero dovute ricominciare le lezioni all’università, ma in classe Patrick non c’è. Tutti i compagni però parlano di lui, che in questo momento si trova rinchiuso in un carcere in Egitto, dopo aver subito interrogatori e, secondo i suoi avvocati, minacciato, picchiato e sottoposto a torture. Patrick George Zaky, ricercatore egiziano e difensore dei diritti umani di 27 anni, è stato arrestato all’aeroporto del Cairo venerdì 7 febbraio con le accuse di fomentare le manifestazioni e il rovesciamento del governo, pubblicare notizie false sui social media minando l’ordine pubblico, promuovere l’uso della violenza e istigare al terrorismo.
Patrick Zaky e l’Italia: l’Università di Bologna e Amnesty
Da agosto 2019 Zaky vive a Bologna, dove frequenta il master “Gemma” dell’Erasmus Mundus, in studi di genere e delle donne: era tornato in Egitto per trascorrere qualche giorno con i genitori a Mansoura, sua città natale, a 130 chilometri a nord del Cairo.
Mentre Amnesty International denuncia un elevato rischio di tortura e chiede la liberazione dell’attivista, l’Università di Bologna ha creato un gruppo di crisi per seguire la vicenda e il Servizio europeo di azione esterna si è detto al corrente del caso e in fase di verifica dei fatti.
Nel frattempo domenica è stata confermata la custodia cautelare di Zaky, che resterà in carcere per 15 giorni: si tratta di una procedura che ha lo scopo di prolungare la durata delle indagini. «È una misura che si può rinnovare più volte: altri attivisti politici sono detenuti così da 3 anni», dichiara l’ong.
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Chi è Patrick Zaky: in difesa delle minoranze in Egitto
«Abbiamo dovuto chiudere i profili di Patrick su Facebook e Twitter: in Egitto, quando la polizia arresta un dissidente, poi perseguita anche i suoi amici e familiari, che sono più facilmente individuabili attraverso i social», racconta Amr Abdelwahab, che aveva conosciuto Zaky in piazza nel 2011 durante la primavera araba.
I due erano grandi amici e Abdelwahab ha lanciato una petizione su Change.org per chiedere al governo egiziano il suo rilascio: in 5 giorni si è arrivati a quasi 60 mila firme. «Zaky lottava per i diritti di tutte le minoranze oppresse nel nostro Paese. Era il coordinatore della campagna per supportare le comunità cristiane cacciate dal nord del Sinai, a causa dell’avanzata dello Stato Islamico, e sfollate nella città di Ismilia. E poi lottava per i diritti della comunità Lgbt».
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L’impegno di Zaky per la comunità Lgbt egiziana
Abdelwahab è spaventato e chiede di non diffondere la notizia dell’impegno di Zaky per le persone Lgbt se l’articolo dovesse essere tradotto anche in arabo: «In Egitto questo è ancora un motivo per essere perseguiti dalla legge: se questa notizia arrivasse ai media arabi, la posizione di Patrick diventerebbe ancora più delicata». Nel frattempo, questa informazione è stata pubblicata praticamente da tutti i media che si sono occupati di quel che è successo allo studente.
A settembre, Zaky aveva pubblicato un lungo articolo in inglese sulle violazioni dei diritti delle persone Lgbtiq in Egitto, raccontando la rappresaglia contro chi aveva esposto bandiere arcobaleno al concerto della rock band libanese Mashrou’ Leila (il cui front man è gay dichiarato). Nell’articolo, Zaky denunciava una forte crescita degli arresti di persone Lgbtiq: nel periodo 2013-17 erano stati registrati in media 66 arresti l’anno, contro i 14 del periodo 2000-2012.
L’arresto e le torture subite da Patrick Zaky
La storia del suo arresto è stata raccontata dall’Egyptian Initiative for Personal Rights (Eipr), l’organizzazione per i diritti umani con cui Patrick lavora come ricercatore e ripresa da Amnesty International. Venerdì mattina, il 7 febbraio, appena atterrato al Cairo, Zaky è stato fermato dalla polizia: è scomparso per le successive 24 ore e poi è stato trasferito a Mansoura dove, secondo i suoi avvocati, è stato interrogato sul suo lavoro di attivista, minacciato, picchiato e sottoposto a scosse elettriche.
Su Zaky pendeva un mandato d’arresto in Egitto dallo scorso settembre, ma lui non ne sapeva niente. L’8 febbraio mattina è comparso davanti alla procura di Mansoura per un nuovo interrogatorio: il giovane ha potuto vedere un avvocato, ma non la sua famiglia.
Egitto: repressione interna e violazioni dei diritti umani
«Patrick dava fastidio perché raccoglieva dati e informazioni sulle violazioni dei diritti umani in Egitto e le diffondeva all’esterno, proprio come faceva Giulio Regeni», commenta Paolo De Stefani, professore di International law of Human rights (Diritto internazionale dei diritti umani) all’Università di Padova. «L’Egitto invece vuole presentarsi alla comunità internazionale come un Paese moderato, il gigante buono che fa da paciere tra Israele e Palestina, ma la verità è che la repressione interna è molto forte. Ecco perché queste persone diventano estremamente scomode».
«L’accusa di terrorismo è molto malleabile e negli stati autoritari viene utilizzata per colpire attivisti e dissidenti a 360 gradi. In Egitto, il sistema di giustizia è sempre meno indipendente: la recente riforma costituzionale attribuisce al capo dello Stato non solo la presidenza della magistratura ma anche la possibilità di nominarne i vertici», dice De Stefani.
In più, dal 2017 il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato lo stato di emergenza: «Questo permette di dare ampio potere alle corti speciali per la sicurezza dello Stato e alle corti marziali e di aggirare molte norme scritte nei codici, che di fatto non vengono rispettati. Ma anche se si dovessero seguire le regole, le garanzie dello stato di diritto sarebbero molto lasche: la legge prevede la possibilità di mantenere una persona in arresto senza contatti con l’esterno per svariati giorni, senza che ci sia una vigilanza del giudice, proprio come è successo a Patrick. E allora possono avvenire torture, pressioni psicologiche e altre violazioni dei diritti».
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L’Onu denuncia le sparizioni forzate in Egitto
Lo scorso novembre l’Egitto è stato sottoposto all’Esame periodico universale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, che fa un bilancio della situazione di ogni Paese membro: nel report ufficiale dell’Onu sono state denunciate gravi restrizioni delle libertà, 1.500 sparizioni forzate tra il 2013 e il 2018 e migliaia di persone rinchiuse in carcere in maniera preventiva, anche in stato di isolamento.
«Finire nel sistema giudiziario egiziano non è esattamente un colpo di fortuna. Nonostante nel 1986 l’Egitto abbia aderito alla Convenzione contro la tortura, la legge non esclude la possibilità di utilizzare informazioni estorte con la tortura in sede giudiziaria e le sanzioni per i funzionari che praticano tortura sono assolutamente esigue. In questo senso, il fatto che Zaky sia stato portato davanti a un giudice in tribunale non è garanzia di rispetto dei suoi diritti», commenta ancora De Stefani.
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Patrick Zaky e Giulio Regeni
Il caso di Zaky riporta alla mente la vicenda di Giulio Regeni, il dottorando dell’Università di Cambridge ucciso al Cairo nel 2016. Ma secondo De Stefani le due storie vanno considerate in maniera diversa: «Innanzitutto Regeni era cittadino italiano, anche se questo non è bastato a evitare che lo uccidessero. Zaky invece è egiziano e studia in Italia: è questo il filo sottile che ci lega a lui. Ma stavolta l’Università di Bologna e la comunità accademica hanno preso posizione in tempi brevi, a differenza delle autorità accademiche inglesi al tempo di Regeni, con una reazione tempestiva che potrebbe salvargli la vita. L’importante è che dall’Italia continuiamo a mantenere alta l’attenzione e a fare pressione affinché venga liberato».
Rielaborazione da notizie pubblicate sul Redattore Sociale