Il debito estero taglia sanità e istruzione nei Paesi in via di sviluppo
A vent'anni dalla campagna in occasione del Giubileo del 2000, l'indebitamento con l'estero di molti Stati torna a crescere in modo preoccupante. Innanzitutto in Africa, ma non solo. Una situazione che rischia di strangolare sanità, istruzione e welfare proprio dove ce n'è più bisogno
A vent’anni dalla campagna Jubilee 2000, lanciata nel 1998 in occasione del G7 di Gleenagles, l’indebitamento dei Paesi più poveri è ancora un tema drammaticamente attuale e sarà ancora più urgente nell’immediato futuro. Nel 2022 il debito estero dei 63 Paesi più poveri al mondo verso Paesi stranieri, enti privati esteri o istituzioni sovranazionali (come la Banca Mondiale o il Fondo monetario internazionale) sarà tre volte più elevato rispetto al 2011. E sarà superiore persino rispetto a quello accumulato all’inizio degli anni Duemila che fece scattare la campagna per il Giubileo.
Il significato del debito estero per la spesa pubblica
Le conseguenze di questa situazione sono già evidenti. Per rispondere alla crescente crisi del debito, infatti, i governi dei Paesi più indebitati hanno già iniziato a tagliare la spesa pubblica pro-capite. Le risorse necessarie per sanità, istruzione e welfare sono state tagliate in media del 6% tra il 2015 e il 2018, con picchi del 25% in Ciad e del 50% nella Repubblica Democratica del Congo.
«I tagli nella spesa pubblica sono più consistenti per quei governi che spendono più del 18% delle proprie entrate nel pagamento del debito estero. In media questi 15 Paesi hanno tagliato la spesa pubblica del 13% tra il 2015 e il 2018», si legge nel rapporto “The growing global South debt crisis and cuts in public spending (La crescita globale della crisi del Sud del mondo e i taglia alla spesa pubblica), pubblicato dalla Jubilee Debt Campaign , un’organizzazione inglese che tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila era in prima fila per chiedere la cancellazione del debito ai Paesi più poveri per consentire loro di avviare una nuova fase di sviluppo.
Un risultato raggiunto solo in parte. Sui 52 Paesi che avevano ottenuto la cancellazione del debito nei primi anni Duemila, ben 20 oggi si trovano in una situazione persino peggiore rispetto a quella del 2000.
«Stiamo assistendo a una nuova crisi del debito in molti Paesi poveri», denuncia la Jubilee Debt Campaign, che torna a chiedere la cancellazione dei debiti ingiusti e l’implementazione di misure e strumenti efficaci per evitare che questa situazione torni a ripetersi.
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L’impennata del debito estero dei Paesi in via di sviluppo
Lo studio realizzato dall’organizzazione inglese mette in evidenza come il debito estero medio di 63 Paesi del Sud del mondo abbia raggiunto, in media, una quota pari al 12,4% del totale delle entrate dei governi, contro il 5,5% del 2011 (+125%). E le previsioni per il futuro non sono rosee: la percentuale potrebbe salire fino al 17,4% entro il 2022.
Nel 1998, quando è stata lanciata la campagna per il Giubileo, i governi dei Paesi più poveri spendevano in media il 16,6% delle proprie entrate per ripagare il debito estero. L’analisi ha riguardato molti Paesi africani (dal Kenya all’Etiopia, dal Malawi alla Sierra Leone), ma anche Paesi come l’Uzbekistan, le piccole isole del Pacifico (come Tonga, Tuvalu e Vanuatu), Papua Nuova Guinea, Moldova, Afghanistan, Cambogia.
«Il mondo deve aprire gli occhi sulla crisi del debito nei Paesi più poveri. La crescita esponenziale degli interessi sul debito e i tagli sulla spesa pubblica sono la ricetta per il disastro. Il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo sostenibile per ridurre la povertà e la disuguaglianza richiede un aumento significativo della spesa pubblica, ma in molti Paesi sta avvenendo l’esatto contrario. È necessario che la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale smettano di salvare i creditori avventati che contribuiscono a far aumentare il debito», commenta Sarah-Jayne Clifton, direttore della Jubilee Debt Campaign.
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Il taglio alla spesa pubblica nel Sud del mondo
A fare le spese di questa situazione sono innanzitutto i cittadini dei Paesi maggiormente indebitati che, per fare fronte alle richieste di risarcire i prestiti ottenuti, hanno applicato significativi tagli alla spesa pubblica. In Zambia, ad esempio, nel 2019 la spesa pubblica pro capite ha subito un taglio del 18% rispetto al 2015: il governo deve fare i conti con gli alti tassi d’interesse e con un calo del prezzo del rame sul mercato internazionale che ha penalizzato l’esportazione.
In Mozambico la spesa pubblica è crollata del 21% tra il 2015 e il 2018, mentre in Congo il taglio è stato del 50% nello stesso periodo di tempo.
Per contro, sottolinea il rapporto, fra i 30 Paesi meno indebitati, la spesa pubblica pro-capite è aumentata del 14%.
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La Cina in Africa: come cambia il debito estero
La situazione dei Paesi in Africa è emblematica della gravità della situazione. Se nel 2015 i Paesi africani spendevano, in media, il 5,9% delle proprie entrate per ripagare il debito estero, nel 2017 questa percentuale era raddoppiata, arrivando a quota 11,8 per cento.
I livelli di debito dei Paesi africani, sottolinea la Jubilee Debt Campaign, hanno raggiunto il livello più elevato dal 2001:
«La causa principale di questo cambiamento drammatico è l’aumento del numero di creditori. Seguito dal calo del prezzo delle materie prime a metà 2014», si legge in un rapporto della charity inglese.
Tra i nuovi creditori che si sono affacciati sul mercato africano, un ruolo di spicco va alla Cina, che detiene circa il 20% del debito estero dei Paesi africani. Secondo le stime della China-Africa Research Initiative alla John Hopkins University, tra il 2000 e il 2017 la Cina ha concesso prestiti ai governi africani per un valore di circa 143 miliardi di dollari. L’80% di questi prestiti sono erogati da compagnie legate al governo cinese, mentre la quota restante viene da compagnie private.
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Debito estero: l’allarme della Banca mondiale
Non sono solo le ong a osservare con preoccupazione la crescita dell’indebitamento nei Paesi più poveri. A lanciare l’allarme è la Banca mondiale che nel suo report “Global waves of debt” (Ondate di debito globali) evidenzia come negli ultimi 8 anni il debito dei Paesi emergenti e in via di sviluppo sia cresciuto più velocemente e abbia coinvolto un numero maggiore di Paesi, fino a raggiungere la cifra record di 55 mila miliardi di dollari.
Il rapporto tra debito e prodotto interno lordo è passato dal 54% al 168% tra il 2010 e il 2018. Con una crescita media di sette punti percentuali all’anno. «L’incremento è stato eccezionalmente vasto, coinvolgendo sia i governi sia il debito privato e si osserva in tutte le aree del mondo», puntualizza la Banca Mondiale.