Diritto al cibo: Italia bene a parole, male nei fatti

Il diritto al cibo in Italia continua ad essere un miraggio per troppe persone. A denunciarlo è la relatrice speciale Onu sul diritto all'alimentazione, Hilal Elver, durante la sua missione nel nostro paese. E nel mirino c'è anche il Decreto Salvini

In Italia, dove per il cibo esiste una sorta di culto, dove si contano più di 334 mila attività che si occupano di ristorazione (una ogni 18 abitanti), dove, secondo la Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe), ogni anno vengono spesi 80,2 miliardi di euro per mangiare fuori, per molti il diritto a un’alimentazione adeguata continua a rimanere un miraggio*.

A sottolinearlo è stata Hilal Elver, Relatrice speciale Onu sul diritto al cibo, durante la sua missione in Italia, che si è conclusa il 31 gennaio. Secondo i dati Istat, nel 2018 nel nostro paese c’erano più di 5 milioni di persone che vivevano in stato di povertà assoluta (l’8,4% della popolazione totale), mentre 9 milioni erano quelle in condizioni di povertà relativa (15% del totale).

«In quanto paese sviluppato, nonché terza economia in Europa, tali livelli di povertà e di insicurezza alimentare non sono accettabili. Il governo italiano dovrebbe comprendere che la beneficienza in ambito alimentare non va confusa con il diritto all’alimentazione».

Relatrice Onu sul tema del diritto al cibo: l’Italia preoccupa

«Durante la mia visita ho incontrato molte persone che dipendono da banchi alimentari e da enti di beneficienza per il loro prossimo pasto, migranti senza dimora e senza un alloggio sicuro dove trascorrere la notte, lavoratori agricoli sottoposti a orari di lavoro eccessivi in condizioni difficili e con stipendi bassi, che non permettono loro di far fronte ai bisogni fondamentali, lavoratori migranti privi di documenti e dunque relegati in un limbo senza accesso a lavori regolari o alla possibilità di prendere in affitto un posto dignitoso in cui vivere e studenti le cui famiglie sono troppo povere per pagare i prezzi richiesti dalle mense scolastiche». Da qui le preoccupazioni della relatrice speciale delle Nazioni Unite sull’Italia.

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La relatrice speciale Onu sul diritto al cibo, Hilal Elver, durante la conferenza stampa a Roma

Diritto al cibo: Costituzione italiana e mancanza di regia

A Osservatorio Diritti Elver ha spiegato di aver scelto l’Italia per l’ultima visita del suo mandato «perché è l’unico paese sviluppato estremamente attivo nella politica alimentare globale. Sono venuta spesso, a partire dal 2014, ho ricevuto centinaia di inviti e le istituzioni sono molto attive. Per questo ho deciso di guardare cosa sta succedendo all’interno del paese».

Ma «quello che sta succedendo» non sembra promettente, come ha sottolineato Elver durante la sua tappa milanese: «Da un lato il diritto al cibo continua ad essere assente dalla nostra Costituzione, seppure è garantito dai patti internazionali firmati dall’Italia nel corso degli anni; dall’altro, le politiche alimentari molto spesso ricadono sulle amministrazioni delle città».

 

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L’assenza di una regia centrale produce dei cortocircuiti che meritano attenzione, come nel caso della Lombardia. «La regione che nel 2015 ha ospitato Expo, per esempio, è anche quella in cui la povertà sta crescendo di più rispetto al resto d’Italia».

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Foto: Bob Jagendorf (via Flickr)

Diritto al cibo: lo sfruttamento lavorativo fa parte del problema

Non è quindi solo la povertà a farci perdere punti per quanto riguarda il diritto al cibo. Anche lo sfruttamento lavorativo è uno dei grossi limiti del sistema alimentare del nostro paese. A finire nel mirino della relatrice speciale Onu, in particolare, il settore agricolo.

All’interno del comparto italiano ci sono tra i 450.000 e i 500.000 lavoratori migranti, che rappresentano circa la metà della forza lavoro complessiva. Quello agricolo è spesso l’unico settore in cui i lavoratori poco qualificati riescono a trovare un impiego. La più elevata percentuale di lavoratori irregolari in relazione al numero totale dei lavoratori migranti si trova in ambito agricolo.

«Da nord a sud, centinaia di migliaia di lavoratori coltivano la terra o si occupano del bestiame senza le adeguate tutele legali e sociali, con stipendi scarsi e convivendo con la costante minaccia di perdere il lavoro, di un rimpatrio coatto o di subire violenze fisiche e morali», ha puntualizzato Elver.

«I lavoratori stagionali e non stagionali spesso trovano nel sistema del caporalato l’unica possibilità di vendere la propria manodopera e di essere retribuiti».

Diritto al cibo e politica: Decreto Salvini sotto accusa

A pesare in maniera negativa, anche certe politiche non strettamente connesse al sistema alimentare italiano. Elver si riferisce al Decreto Salvini, approvato nel 2018, e che da quel momento ha contribuito all’incremento del numero di lavoratori migranti privi di documenti, spronando quindi ulteriormente il lavoro irregolare senza alcuna protezione. «Attualmente si stima la presenza di circa 680.000 migranti privi di documenti, il doppio rispetto a cinque anni fa», ha dichiarato Elver.

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Pesce morto a causa delle acque inquinate – Foto: PxHere

Diritto all’alimentazione: le piaghe del sistema italiano

Oltre alla povertà e allo sfruttamento in ambito lavorativo ci sono anche altri aspetti inaccettabili. Tra questi, l’abbandono in aree rurali di prodotti contaminati, inceneriti o riversati nelle acque dei fiumi.

Oppure, gli acquisti di terreni con proventi da attività illegali. O ancora: la presenza di fertilizzanti contraffatti e tossici piuttosto diffusi, che vengono importati o assemblati in Italia e spesso utilizzati da lavoratori senza le adeguate competenze e in mancanza di misure di sicurezza.

E poi ci sono i mercati all’ingrosso in cui gli agricoltori sono costretti ad accettare prezzi talmente bassi da rischiare di compromettere il proprio sostentamento.

Diritto al cibo e alla salute: le responsabilità della Gdo nelle parole della relatrice Onu

Il discorso dei prezzi bassi chiama in causa anche la grande distribuzione organizzata (Gdo). Come già ha evidenziato nel libro “Il Grande carrello”, la Gdo è riuscita nel corso degli anni ad accentrare nelle proprie mani un potere tale da avere ricadute su tutta la filiera agroalimentare italiana, dallo stipendio dei braccianti alla qualità dei prodotti che comprano ogni giorno i consumatori e quindi anche sulla salute.

Dello strapotere della Gdo ne ha parlato la stessa Elver, riconoscendo come «l’aumento della grande distribuzione ha determinato un significativo riassetto del settore alimentare, poiché le principali catene di distribuzione controllano la maggior parte del mercato agroalimentare, imponendo prezzi bassi, che i piccoli agricoltori non riescono a eguagliare».

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Inaridimento del suolo – Foto: PxHere

Diritto al cibo in Italia: un rapporto con tante ombre

Le missioni precedenti avevano portato Elver in Zimbawe, Azerbaigian, Argentina, Indonesia, Vietnam, Zambia, Paraguay, Polonia, Marocco e Filippine. Quella in Italia è stata la prima in un paese ricco.

Bari, Milano, Torino, Roma. Queste alcune delle tappe del suo viaggio. Nei dodici giorni trascorsi nel nostro paese, Elver ha incontrato ministri, rappresentanti dei comuni, delle università e della società civile. Il rapporto definitivo sullo stato del diritto al cibo in Italia sarà presentato a marzo. Tuttavia, già durante la conferenza stampa conclusiva, la professoressa ha presentato un quadro della situazione tutt’altro che roseo.

Nonostante l’Italia sia «molto attiva nella promozione dei diritti umani, soprattutto per quanto riguarda il diritto all’alimentazione, questo non si rispecchia interamente su scala nazionale».

In Italia, come nel resto del mondo, il sistema economico continua ad essere basato sul profitto e non sui diritti umani. E l’industria agroalimentare sui derivati del petrolio (fertilizzanti, erbicidi, pesticidi, carburante per le attrezzature agricole) piuttosto che sul rispetto del Pianeta. Un approccio che scarica i propri costi sulla società.

* Articolo preparato in collaborazione con Marta Gatti

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