Da Huma Younus a Mehak Kumari: conversioni forzate e spose bambine in Pakistan
«Le bambine pakistane hanno bisogno di uguaglianza, istruzione, sanità. Non di mariti». La vicenda di Huma Younus, 14enne cristiana rapita e costretta a sposare il suo aguzzino, riapre il tema dei matrimoni precoci e delle conversioni forzate in Pakistan
Huma Younus ha appena 14 anni, ma in Pakistan, il suo Paese, sta vivendo un calvario. La ragazzina cristiana di Karachi, capitale della provincia del Sindh, lo scorso ottobre è stata rapita, costretta a convertirsi all’islam e obbligata a sposare il suo rapitore, Abdul Jabbar, musulmano.
La vicenda della ragazzina è stata portata alla luce e denunciata dalla fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre (Acs), che ha preso a cuore il caso e sta dando sostegno materiale alla famiglia per riportare a casa la ragazzina. I genitori di Huma sono piombati in un incubo. Grazie alla difesa assunta dall’avvocatessa Tabassum Yousaf, anche lei cristiana, si sono rivolti alla giustizia.
Huma Younus: intimidazioni e minacce ai genitori
L’avvocata ha presentato il caso davanti all’Alta Corte di Karachi sperando di dimostrare, attraverso i documenti presentati, che la ragazzina ha 14 anni e che quindi, per la legge pakistana, non poteva contrarre matrimonio. Dopo aver denunciato il sequestro della figlia, i genitori di Huma hanno cominciato a ricevere intimidazioni e sono stati minacciati di venire accusati di blasfemia.
Il caso di Huma intreccia due problematiche: quello delle conversioni forzate – in un Paese a stragrande maggioranza musulmano, nel quale le minoranze di fatto sono soggette a discriminazioni, vessazioni, abusi dei diritti fondamentali – e il problema dei matrimoni precoci.
In Pakistan dal 1929 il Child marriage restraint act (legge sulla restrizione del matrimonio infantile) fissa l’età minima per sposarsi a 18 anni per i ragazzi, 16 anni per le ragazze. Le norme tuttavia si scontrano con le consuetudini sociali e tribali e, nella pratica, il fenomeno dei matrimoni precoci è largamente diffuso in tutto il Paese.
In base ai dati dell’Unicef, il 3% delle bambine pakistane si sposano prima dei 15 anni, il 21% prima dei 18. La provincia del Sindh è quella con il numero più elevato di nozze infantili: la percentuale si attesta intorno al 72% per le ragazze, 25% per i ragazzi.
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Matrimoni forzati e precoci in Pakistan: legge ancora in attesa
A livello nazionale è stato presentato un disegno di legge per modificare la norma del 1929 e innalzare in tutto il Paese l’età minima per sposarsi a 18 anni, ma il disegno è bloccato e non riesce a concludere il suo iter di approvazione. Il Sindh è la prima provincia che ha imposto – sulla carta – un giro di vite sui matrimoni precoci, con una legge che fissa l’età minima per sposarsi – per ragazzi e ragazze – a 18 anni.
Al Sindh è seguito il Punjab (altra provincia dove il fenomeno è molto radicato), che nel 2015 ha approvato il Punjab child marriage restraint (amendment) act, che però si limita una serie di emendamenti che inaspriscono le punizioni per chi viola la legge, ma non innalzano l’età minima per il matrimonio (un quadro sulla situazione legislativa dei matrimoni precoci in Pakistan si trova nel rapporto del 2018 del Center for reproductive rights; sulla pratica delle conversioni e dei matrimoni forzati nel Sindh, invece, si veda lo studio dell’University of Birmingham).
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Pakistan: minoranze vittime di conversioni e matrimoni forzati
Conversioni forzate e matrimoni obbligati e precoci non sono episodi rari in Pakistan. E riguardano tutte le minoranze. Come riporta Aiuto alla chiesa che soffre, si calcola che siano più di mille all’anno (senza contare i casi non registrati) le ragazzine cristiane, indù e sikh costrette a convertirsi e sposarsi. E la piaga non si arresta.
Nei giorni scorsi, sempre nel Sindh, è venuta alla luce la vicenda di Mehak Kumari, una ragazzina indù di 15 anni, sequestrata dalla sua casa a Jacobabad da un uomo musulmano, Ali Raza Solangi, che l’ha costretta alla conversione e poi l’ha sposata. Mekah è stata chiamata in tribunale e il giudice l’ha inviata in una casa protetta per donne e disposto che una commissione medica accerti la sua età.
Il premier Imran Khan alcuni mesi fa ha condannato le conversioni forzate come «non-islamiche». Ma nel Paese non esiste una legge nazionale che metta al bando questa pratica. Solo il Sindh nel 2016 ha approvato una legge che fissa a 18 anni il limite per la conversione, modificata nel 2019 dalla Criminal Law (Protection of minorities act): nessuna conversione può essere ritenuta valida prima dei 18 anni, anche quando non forzata. Viene inoltre stabilita una pena da un minimo di 5 anni di carcere fino all’ergastolo per chi obbliga con la forza o con la minaccia un’altra persona a convertirsi.
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Huma Younus: per i giudici il matrimonio è valido
Lunedì 3 febbraio Huma Younus avrebbe dovuto essere presente all’udienza in tribunale per essere ascoltata dai giudici dell’Alta corte del Sindh. Sarebbe stata la prima volta che una vittima cristiana di conversione e matrimonio forzati poteva testimoniare in tribunale. Ma, come riporta Aiuto alla Chiesa che soffre, la ragazzina era assente, senza motivazione. I due giudici dell’Alta corte di Karachi hanno stabilito che, anche minorenne, il matrimonio di Huma con il suo rapitore è valido perché, secondo la “sharia” (legge islamica), dopo il primo ciclo mestruale una ragazzina può sposarsi. Una terribile batosta.
Ancora una volta la “sharia” viene fatta prevalere sulla legge dello Stato.
«È l’ennesima sconfitta della giustizia e l’ennesima riprova che lo Stato non considera i cristiani dei cittadini pachistani», ha detto alla fondazione pontificia la madre di Huma, Nagheena Younus, disperata.
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Salman Ali: «Le unioni precoci aumentano»
«Il numero dei matrimoni precoci in Pakistan sta aumentando di giorno in giorno. È vero che nel 2013 il Governo del Sindh ha approvato la legge, ma da allora non è stato fatto niente di concreto e le norme non vengono applicate. Io vedo nuovi casi di matrimoni infantili su base giornaliera».
A parlare è Salman Ali, attivista e giornalista pakistano. Ali lavora nel Sindh, dove è vicepresidente di un’associazione della stampa. Editorialista di The daily times, è impegnato nella Marvi rural development organization (Mrdo), che promuove lo sviluppo delle comunità rurali, con particolare focus su donne e bambine.
Ali conferma che nel Sindh la piaga delle conversioni forzate delle ragazzine cristiane e indù è molto radicata. «Si tratta di una pratica comune qui, specialmente nei distretti di Ghotki, Khairpur, Larkana, Dadu e Jacobabad. I legislatori non alzano la voce in favore delle minoranze perché sono interessati solo a mantenere la poltrona».
Se le conversioni forzate sono una persecuzione contro le minoranze, i matrimoni precoci colpiscono tutte le bambine, musulmane comprese. Ali ricorda il caso denunciato pochi giorni fa nella città di Multan, nel Punjab, di due bambine musulmane di appena 10 anni obbligate a sposare due uomini.
Delitto d’onore e matrimoni precoci: Pakistan alla deriva sui diritti umani
«Spesso le vittime non vengono condotte in tribunale. E in molti casi, nelle zone tribali, a decidere è il sistema della jirga, ovvero l’assemblea delle persone più influenti della comunità, che prevale sulla legge dello Stato. I matrimoni precoci, più che una giustificazione religiosa, hanno come fondamento ragioni sociali e culturali: la povertà e, molto importante, l’elemento dell’eredità. In molte regioni, genitori e fratelli danno le loro figlie e sorelle in spose da bambine perché se raggiungono la maggiore età, 18 anni, in famiglia possono chiedere la loro parte di eredità».
L’attivista aggiunge: «In Pakistan è ancora molto diffuso il delitto d’onore: nel 2019 quasi 140 tra uomini e donne sono stati uccisi per questo reato nel Sindh. Un gran numero di ragazze vengono assassinate dalle famiglie: se una ragazza si innamora di un ragazzo che non appartiene alla sua casta – anche se non è successo nulla tra di loro – il capofamiglia lo considera un disonore e si sente autorizzato a ucciderla».
La leggi non bastano: la situazione delle donne in Pakistan
È dura crescere come donna in comunità dove le famiglie vivono come una colpa la nascita di una figlia. «Nelle zone rurali l’analfabetismo tra le donne è elevatissimo. Le bambine non vengono mandate a scuola e neppure al lavoro. Vengono tenute recluse, segregate in casa, considerate un peso. Possono uscire solo quando si sposano. Per questo le famiglie non vedono l’ora di darle in matrimonio».
Le leggi sono importanti. Ma da sole non bastano. Come ha scritto Ali su The daily times, le leggi devono essere implementate, governo, società civile e media devono impegnarsi per sensibilizzare le comunità, medici, avvocati, insegnanti.
«Le bambine pakistane hanno bisogno di uguaglianza, istruzione, sanità. Non di mariti».