Riscaldamento globale: conseguenze pesanti per i popoli artici
L'Artide non è soltanto orsi polari e ghiaccio. La regione ospita oltre 4 milioni di persone, di cui circa il 10% indigeni. Comunità che dipendono da attività tradizionali come pesca, caccia, pastorizia e raccolta, che il cambiamento climatico sta mettendo a dura prova
«Non soltanto siamo influenzati da quello che succede per via del riscaldamento globale, ma anche dall’attitudine coloniale delle altre nazioni e delle compagnie. Uno degli strumenti che abbiamo per difenderci sono i diritti umani». A dirlo in un’intervista a Osservatorio Diritti è Dalee Sambo Dorough, presidentessa del Consiglio Circumpolare Inuit, a sua volta inuit dall’Alaska. «Siamo un popolo distinto con uno status distinto e distinti diritti, il diritto alla terra e il diritto alle risorse che sono stati purtroppo danneggiati dal cambiamento climatico».
I termini “popoli circumpolari” e “popoli artici” sono concetti ombrello in cui rientrano i vari popoli indigeni dell’Artico. Fra questi, ci sono Sami, Nenets, Khanty, Evenk, Chukch, Aleut, Yupik e gli Inuit (Iñupiat) americani in Alaska, gli Inuit (Inuvialuit) canadesi e gli Inuit (Kalaallit) groenlandesi. Hanno lingue diverse e una sorta di dialetto comune.
Gli inuit, come gli altri popoli indigeni, si sono adattati all’ambiente durissimo dell’Artico. Così anche la cultura ha preso spunto dalla natura. «Ci sono molte sfumature, ma anche alcune caratteristiche simili da una zona all’altra nella spiritualità. Questa è sempre connessa al mare e agli animali marini. Così come le nostre lingue sono profondamente legate all’osservazione, alla conoscenza e all’uso delle nostre terre e dell’oceano», aggiunge Dorough. «Per quanto ci riguarda, abbiamo un diritto ereditario a questa regione. Non molte persone vorrebbero vivere nel ghiaccio».
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La lotta dei popoli artici contro i cambiamenti climatici
Alcuni impatti del cambiamento climatico hanno combaciato con quelli della colonizzazione a metà del secolo scorso e hanno comportato lo spostamento delle persone via via più lontano dalle zone costiere che si stavano erodendo. «Non so per quanto potremo ancora adattarci, non so quando diremo basta», dice Dorough. «Credo che gli eventi drammatici che stiamo vedendo ora richiedano il nostro contributo e il nostro impegno».
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le comunità indigene dell’Artico stanno crescendo. Così i giovani che lasciano la famiglia per andare a studiare altrove, ma tendono a tornare nel gruppo di origine per fare la differenza. «Penso veramente che continueremo a essere la maggioranza se riusciremo a respingere gli interessi esterni». A questo scopo, la sopravvivenza delle tradizioni lega anziani e giovani che vogliono restare nel luogo a cui appartengono e salvaguardarlo.
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Riscaldamento globale: effetti sull’uomo e possibili rimedi
La popolazione inuit è giovane e in crescita, secondo l’Inuit Tapiriit Kanatami, con il 33% di età inferiore ai 15 anni rispetto al 17% della popolazione totale in canadese.
Shirley Tagalik è un’educatrice di comunità ad Arviat, Nunavut, in Canada. Ha contribuito a sviluppare un curriculum di scuola superiore radicato nella conoscenza tradizionale degli Inuit e ha la missione di connettere i giovani con la loro cultura, in particolare per quanto riguarda la sicurezza alimentare. È stata anche direttrice del “curriculum” e della sezione “servizi scolastici” del Dipartimento della Pubblica Istruzione per 10 anni. Ed è tuttora uno dei direttori di un’organizzazione comunitaria chiamata Aqqiumavvik Society, che offre programmi incentrati sulla sicurezza alimentare, la nutrizione, il mantenimento di una serra e l’insegnamento della caccia ai giovani. Sua figlia, Kukik Baker, gestisce il programma di caccia giovanile.
«L’inuit osserva il mondo in modo olistico, quindi ogni aspetto del nostro ambiente influenza ogni aspetto della vita. Ogni risorsa per garantire un’esistenza di successo viene direttamente dall’ambiente: neve per costruire una casa, pelle di animale per vestiti, ossa e pietre per armi e strumenti, pesce congelato da trasformare in slitte per il trasporto», dice Tagalik. «Il cambiamento climatico si è sempre verificato e gli inuit si sono continuamente adattati a questi effetti. Tuttavia, oggi questi cambiamenti sono estremamente rapidi e l’adattamento è più precario. È la velocità del cambiamento il problema più grande, insieme alla capacità di mitigare questi cambiamenti in modi che consentano di mantenere la cultura».
Il lavoro di Tagalik consiste nella raccolta di tutte le informazioni possibili e nella loro condivisione e promozione di discussioni o collaborazioni affinché possano emergere le risposte migliori. «Condividiamo queste informazioni su Facebook, sul nostro sito web e sulla radio locale per raccogliere feedback informati», racconta. «In questo processo, formiamo anche i giovani e organizziamo seminari nelle comunità per promuovere discussioni collaborative su argomenti specifici».
Le risposte risiedono però nell’azione internazionale. «Possiamo cercare di diffondere costantemente i nostri messaggi, utilizzare le nostre organizzazioni per condividerli, ma alla fine è il mondo che deve impegnarsi a cessare la distruzione dell’ambiente e ad apportare profondi e significativi cambiamenti nella vita quotidiana ad ogni livello».
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Conferenza sull’Artico: scienza, politica ed economia cercano soluzioni al riscaldamento globale
In questi giorni si sta svolgendo la conferenza Arctic Frontiers (26-30 gennaio) nella città norvegese di Tromsø, una sorta di arena internazionale sullo sviluppo sostenibile nell’Artico. Qui si ritrovano scienziati, ministri, imprenditori e giovani studenti per discutere come raggiungere una crescita economica sostenibile.
La premessa dietro alla conferenza è quella di accoppiare il mondo accademico con i decisori politici e le imprese. Attraverso attività di sensibilizzazione e per mezzo di partner competenti, si vuole stabilire l’agenda e collegare politica, economia e scienza per uno sviluppo responsabile e sostenibile.
Del resto, proprio in seguito al riscaldamento globale, il ruolo dell’Artico sta cambiando. Da fredda periferia, la regione giocherà un ruolo sempre più centrale della scena geopolitica con vaste risorse energetiche e marine. L’aumento dell’attività umana avrà implicazioni economiche, politiche e sociali significative per le nazioni artiche e l’ambiente.
La prima Arctic Frontiers si è tenuta nel 2006 e siamo ora alla 14esima edizione dedicata al tema “Il potere della conoscenza”.
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Riscaldamento globale: conseguenze sul clima e sui mari
Da quando i satelliti hanno iniziato a monitorare l’Artico nel 1979, l’area media coperta dal ghiaccio marino si è ridotta di almeno il 40% e lo spessore medio del ghiaccio è diminuito di oltre la metà.
Come spiega Daisy Dunne su Carbon Brief, gli scienziati del clima hanno una domanda: quando scomparirà il ghiaccio marino artico?
Ogni anno, il ghiaccio marino artico attraversa un ciclo stagionale, crescendo in ampiezza e spessore nel corso dei mesi invernali più freddi prima di ridursi di nuovo quando le temperature aumentano in primavera e in estate. Il punto alla fine dell’estate quando il ghiaccio marino raggiunge il livello più basso dell’anno è noto come “minimo estivo del ghiaccio marino”. Quest’anno il minimo del ghiaccio marino è stato il secondo più piccolo mai registrato, battuto solo dal basso livello del ghiaccio marino visto nel 2012.
È difficile prevedere l’anno in cui l’Artico avrà la sua prima estate senza ghiaccio, ma diversi modelli climatici hanno presentato una gamma di possibili date che vanno dal 2005 a dopo il 2100.
Ci sono inoltre prove crescenti che suggeriscono che la struttura unica dell’Oceano Artico potrebbe spostarsi, secondo un fenomeno noto come “Atlantificazione“. Sebbene la portata e l’impatto globali dell’Atlantificazione siano ancora poco chiari, questo potrebbe spingere a un “momento climatico critico”.
La risposta alla crisi ambientale
Alexey Pavlov, responsabile scientifico e sviluppo del progetto presso Arctic Frontiers, spiega che la parte scientifica della conferenza è tradizionalmente un evento interdisciplinare, in cui si prova a discutere della scienza da una prospettiva olistica e pan-artica.
«Quest’anno, uno dei quattro temi è “Sicurezza alimentare artica”, in cui verranno discusse le questioni relative ai contaminanti (comprese le microplastiche). Nell’ambito del secondo tema “Sviluppo basato sulla conoscenza nell’Artico“, diverse presentazioni discuteranno sfide e pratiche dei consigli scientifici sulla politica ambientale nell’Artico. Infine, ci saranno una serie di presentazioni su adattamento e resilienza delle comunità artiche per accelerare il cambiamento ambientale nell’Artico».
Pavlov confessa che i temi per il 2021 non sono ancora stati decisi, ma probabilmente saranno affrontati argomenti relativi anche alla salute.
La questione della sicurezza alimentare è particolarmente importante se si pensa che il cambiamento climatico ha un impatto complesso sull’ecosistema. Le persone che vivono nelle regioni artiche fanno affidamento su risorse marine e terrestri per la loro sussistenza. Le iniziative presso alcune comunità di usare l’acquacoltura, ad esempio, stanno contribuendo agli sforzi globali per migliorare la sicurezza alimentare. Eppure, per soddisfare la domanda futura di pesce, in particolare nei paesi in via di sviluppo, la produzione globale dovrebbe raddoppiare entro il 2030.