Giornata della Memoria: l’eugenetica nazista e le persone con disabilità
Lo psichiatra Michael von Cranach racconta a Osservatorio Diritti il programma di eugenetica nazista e l'eutanasia sulle persone con disabilità. «Una storia a lungo dimenticata perché nessuno ha accusato i responsabili. Quei medici non erano un gruppo di nazisti, ma l’élite della psichiatria tedesca»
Era il 1980 quando lo psichiatra Michael von Cranach ha messo piede per la prima volta nella clinica di Kaufbeuren, in Baviera. Erano anni rivoluzionari per la psichiatria in Germania: sull’onda della riforma promossa in Italia da Franco Basaglia, i giovani medici tedeschi stavano iniziando a scardinare i vecchi modelli di cura e contenzione ancora in uso negli ospedali. Tra loro Michel Von Cranach, poco più che quarantenne: «Sapevo che avrei trovato una situazione terribile. E in effetti è stato così. In quegli anni io e molti altri giovani siamo entrati nei manicomi tedeschi per iniziare la riforma del sistema», spiega.
I malati uccisi dal nazismo
Negli anni in cui ha diretto la clinica di Kaufbeuren, però, von Cranach non si è limitato a portare avanti un coraggioso lavoro per riformare la cura delle persone con sofferenza psichica.
«Sono venuto subito a sapere che nell’ospedale, durante gli anni del nazismo, erano stati uccisi tanti malati. A sera, finito il lavoro, andavo in archivio per leggere e studiare le cartelle cliniche dei pazienti. Dopo un anno di lavoro ho iniziato a scriverne e a parlare di queste storie».
In questa battaglia contro l’oblio, von Cranach non era solo: tanti altri medici, come lui, hanno iniziato a indagare sulle storie delle vittime del programma di eutanasia nazista (noto anche come “Aktion T4”), voluto e promosso dalle massime autorità del Terzo Reich con l’obiettivo di eliminare le persone affette da malattie genetiche inguaribili e le persone con disabilità mentali.
Non ci sono dati certi, ma secondo le stime più accreditate si pensa che le vittime di questa operazione siano state almeno 200 mila tra bambini e adulti. L’obiettivo del programma Aktion T4 era quello di eliminare le «vite indegne di essere vissute», le vite di uomini, donne e bambini considerati «improduttivi», una «zavorra» di cui la Germania non poteva farsi carico.
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Che cosa è successo dopo la guerra, quando la Germania è stata sconfitta?
Subito dopo la guerra, gli Alleati hanno indagato, e lo hanno fatto molto bene, su quello che era successo nelle cliniche come quella di Kaufbeuren. Alcuni medici andarono a processo per questi crimini. Ma quando l’autorità è tornata alle istituzioni tedesche è sceso nuovamente il silenzio su questa vicenda. Nessuno ne voleva più parlare.
Il 27 gennaio è la Giornata per la memoria. Perché questa storia è stata dimenticata così a lungo?
Perché non c’è stato nessuno che ha accusato i responsabili. In tutto il mondo, le persone con malattie mentali sono stigmatizzate, da sempre. A nessuno interessano e a molti la malattia mentale fa paura. Inoltre, dopo il 1945 non c’è stato un vero ricambio nella psichiatria tedesca. Ci sono stati alcuni processi, ma la maggior parte dei medici e le infermiere hanno continuato a lavorare nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta.
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Chi erano i medici che hanno messo in atto il programma “Aktion T4”?
La cosa più terribile è che questi medici non erano un gruppo di nazisti: erano l’élite della psichiatria tedesca di quegli anni. Continuarono a esercitare dopo la guerra e i medici della seconda generazione erano così vicini ai loro maestri che non osavano e non volevano criticarli. Io sono anziano, ma mi considero membro della terza generazione: sono critico della psichiatria tedesca, mi sento più vicino alle idee di Basaglia.
La gente comune e i familiari delle persone trattenute negli ospedali cosa sapevano e come hanno vissuto il programma di eugenetica nazista?
Oggi sappiamo che molti familiari e buona parte della popolazione tedesca non era veramente d’accordo. Erano insicuri, ma non sapevano come fare per opporsi: la malattia mentale era profondamente stigmatizzata. Oggi tante persone – stiamo parlando della seconda o terza generazione – che vengono da noi a cercare notizie del nonno o della zia. Ci raccontano anche che nelle famiglie c’erano forti sensi di colpa per non essere intervenuti, per non essere riusciti a salvare quel parente ricoverato in una struttura psichiatrica.

Oggi ci sono ancora persone che vogliono scoprire la storia dei propri familiari uccisi durante il nazismo?
Sì, abbiamo anche dato vita a un gruppo – la “Gedenkinitiative München” – il cui zoccolo duro è composto da una trentina di familiari e altri 20-30 psichiatri che si ritrovano regolarmente. Il nostro scopo è quello di aiutare chi ci scrive per avere informazioni su un familiare che, presumibilmente, è stato ucciso in una delle cliniche durante gli anni del nazismo. Noi assistiamo coloro che vogliono intraprendere questa ricerca con il lavoro in archivio. In questi anni si sono rivolte a noi tra le 300 e le 400 persone che cercavano una risposta. Pochi giorni fa, un gruppo di familiari ha incontrato il ministro dell’interno della Baviera – l’istituzione da cui, negli anni Quaranta, dipendeva il programma di eutanasia – e ha chiesto che venisse realizzato un memoriale proprio all’interno della sede dell’istituzione.
Tra le storie che ha raccolto durante il suo lavoro di ricerca ce n’è una che l’ha colpita in modo particolare?
La più conosciuta è quella di Erns Lossa, un bambino che proveniva da una famiglia povera, appartenente alla minoranza jenisch, un gruppo nomade. La madre di Ernst era morta e il padre venne mandato nel campo di Dachau, perché considerato asociale. Il ragazzino e le sue due sorelle finirono in un orfanotrofio cattolico: le suore definirono Ernst come un bambino intelligente ma complicato, asociale. Rubava le cose agli altri bambini e faceva caos. Alla fine, venne mandato a Irsee (una clinica che dipende da quella di Kaufbeuren, ndr) dove Ernst venne ucciso, a soli 13 anni, con un’iniezione letale. Così come Anna Frank è diventata un simbolo della storia dei bambini ebrei, Ernst è diventato un simbolo della storia di migliaia di piccole vittime del programma di eutanasia nazista.
Quale insegnamento ci ha lasciato questa vicenda?
Quando una società comincia a pensare o a dire che le persone non sono uguali, che alcuni uomini hanno più valore di altri, tutto rischia di precipitare velocemente. Questi crimini non furono solo la conseguenza del nazismo: queste idee sulla superiorità di alcuni uomini rispetto ad altri avevano iniziato a diffondersi a inizio del Novecento, quando gli scienziati di tutto il mondo hanno iniziato a elaborare le teorie social-darwiniste, che ponevano al centro l’idea della superiorità di alcune razze sulle altre e l’eugenetica. Quando in una società prendono forma queste idee, allora c’è il rischio che possa anche attecchire l’idea che sia necessario fare il passo successivo: sbarazzarsi di queste persone.
La storia di Ernst Lossa è raccontata nel film “Nebbia in agosto” del regista tedesco Kai Wessel e tratto dall’omonimo libro di Robert Domes. In occasione della Giornata della memoria, progetto L-inc, in collaborazione con il Comune di Cinisello Balsamo, organizza per mercoledì 29 gennaio la proiezione del film presso il centro culturale “Il Pertini”