Rojava: violenze diffuse contro donne curde

A due mesi dall’offensiva turca, nel Nordest della Siria non si fermano le violenze contro i curdi: attacchi, rapimenti, stupri, omicidi. A parlare è Lana Hussein, combattente dell’Ypj: «Le donne sono il target numero 1: per noi il rischio è altissimo»

Rapimenti, stupri, omicidi. E poi imposizione della lingua turca e islamizzazione forzata. A due mesi dall’inizio dell’aggressione turca, la situazione nel Rojava, regione autonoma del Kurdistan in Siria, non è migliorata. Nonostante la sottoscrizione di due accordi di pace, uno tra Turchia e Stati Uniti, l’altro tra Turchia e Russia. E le atrocità colpiscono soprattutto le donne.

La missione turca era nata per stabilire una safe zone, una zona sicura, lungo la striscia nel nord-est della Siria, dopo la decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di ritirare le truppe americane dalla regione. Ma secondo gli attivisti curdi, il vero obiettivo dei turchi è di occupare tutta l’area, non solo quei 30 km di terra.

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Combattenti dell’Ypg – Foto: Kurdishstruggle (via Flickr)

Il Rojava oggi: la guerra della Turchia in Siria continua

«La Turchia non sta rispettando il cessate il fuoco sancito dagli accordi e gli attacchi continuano», dice l’attivista curda Lana Hussein a Osservatorio Diritti.

«Dal 17 ottobre al 3 dicembre ci sono stati 143 attacchi di terra, 124 dal cielo e 147 di artiglieria pesante. Sono state usate anche armi chimiche e munizioni al fosforo bianco. Per non parlare dei massacri e delle atrocità compiute contro la popolazione civile».

Si parla di 1.100 chilometri invasi fino ad oggi e 88 villaggi occupati. Dall’inizio dell’offensiva 478 civili hanno perso la vita, 1.070 sono stati feriti e più di 300 mila sfollati. Ottocentodieci scuole sono state chiuse, di cui 20 sono andate completamente distrutte, e 86 mila studenti oggi non possono più studiare.

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Donne sotto attacco in Rojava e la difesa di Ypg e Ypj

«Le donne sono il target numero 1: per noi il rischio è altissimo», racconta Lana Hussein, che da due anni fa parte dell’Unità di protezione delle donne (Ypj), l’esercito femminile curdo che insieme all’Ypg, l’Unità di protezione popolare, è riuscito a proteggere il Rojava dall’avanzata dell’Isis, combattendo al fianco dell’esercito degli Stati Uniti.

«Solo ad Afrin 40 donne hanno perso la vita, 100 sono state ferite e 60 stuprate. Altre mille sono state rapite e nessuno sa che fine abbiano fatto. Anche all’interno del Ypj, 30 combattenti sono state rapite e ancora oggi tre sono nelle mani dei mercenari, che stanno chiedendo riscatti alle loro famiglie. Questi atti sono emblematici della mentalità che i turchi hanno nei confronti delle donne». Lana Hussein si trova ancora oggi nel nord-est della Siria, ma non può rivelare il punto esatto per motivi di sicurezza.

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Combattenti dell’Ypg – Foto: Kurdishstruggle (via Flickr)

Violenze sulle donne curde in Rojava mostrate nei video

Nei primi giorni dell’offensiva turca nel Nordest della Siria, sui social media si era diffuso un video inquietante. Ritraeva dei miliziani affiliati all’esercito turco che dissacravano il corpo di una combattente curda. «Allahu Akbar! Questa è una delle tue puttane che ci hai mandato qui!», urlava uno dei soldati accanto al corpo di una donna, conosciuta con il nome di battaglia di Amara Renas.

Secondo quanto riportato, quel commando era parte di una coalizione di mercenari ingaggiati dalla Turchia. Quello era solo uno dei tanti video, diventati poi virali, che ritraevano le violenze compiute dai soldati contro le donne, in particolare contro le combattenti curde.

Lo stupro come arma di guerra nel Nordest della Siria

L’uso di violenza sessuale contro le donne nelle zone di conflitti non è un fenomeno nuovo. Si tratta di una strategia considerata molto efficacie in guerra: stuprare una donna lascia un segno molto forte, che dura a lungo, è un atto simbolico che porta disonore e vergogna al nemico.

Anche se non ci sono prove che gli stupri siano stati usati sistematicamente nel Nordest della Siria come arma di guerra, gli agghiaccianti video che sono stati condivisi sui social media sono probabilmente parte di una guerra psicologica nata per spaventare le donne curde e le loro famiglie.

«L’esercito turco combatte al fianco delle cellule segrete di Isis e i loro metodi sono gli stessi», spiega Lana. «Rapiscono i civili e chiedono soldi alle famiglie, stuprano le donne, uccidono intere famiglie e si impossessano delle proprietà e di tutti i prodotti agricoli. Obbligano le persone a indossare vestiti neri islamici e a parlare, leggere e scrivere in turco. Le famiglie cattoliche vengono fatte convertire all’Islam e i loro nomi vengono cambiati in nomi musulmani. Parlare di una safe zone è assurdo: questa area è tutt’altro che sicura».

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Combattenti dello Ypj – Foto: Kurdishstruggle (via Flickr)

Il Rojava resiste: storia di una democrazia senza stato per un paese libero

Il Rojava è una regione autonoma del Kurdistan siriano: dopo il ritiro dell’esercito siriano dal Nordest del Paese, nel 2012, i curdi hanno stabilito un governo autonomo nel Rojava, basato sui principi di equità, orizzontalità, libertà di culto e uguaglianza sostanziale tra uomo e donna. L’obiettivo è quello di mettere insieme diversi gruppi – curdi, arabi, armeni, turkmeni, siri, yazidi – sotto un unico sistema democratico.

Nonostante tutto, la Confederazione democratica del nordest è ancora oggi un laboratorio di autogoverno democratico: le istituzioni e i funzionari stanno continuando a lavorare, così come l’Ypj e l’Ypg non hanno smesso di combattere per proteggere la popolazione civile dagli attacchi.

«Ogni giorno raccogliamo prove per documentare gli immani crimini di guerra che stanno andando avanti», conclude Lana. «Purtroppo le organizzazioni internazionali che dovrebbero garantire la tutela dei diritti umani fanno solo dichiarazioni, ma non intervengono sul campo. Noi comunque resistiamo e non ci arrendiamo: il Rojava deve essere uno stato libero e in pace».

Kurdistan siriano: la mappa del Rojava

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