Cile: storia di Romina, arrestata perché ha osato partecipare alle proteste

Arrestata dai militari dopo una manifestazione pacifica, Romina non è riuscita a raccontare quello che le è accaduto per due mesi. Ecco cosa le è successo in un'intervista concessa a Osservatorio Diritti

A Santiago del Cile Romina Concha Madrid, 32 anni, viene arrestata dai militari dopo una manifestazione pacifica contro il presidente Sebastián Piñera. Ore di detenzione che la traumatizzano e fanno nascere la paura di uscire di casa, in una città con il coprifuoco.

Ma resta in lei una gran voglia di manifestare per la libertà. E a due mesi dall’arresto decide di rilasciare questa intervista a Osservatorio Diritti. Un modo, per lei, di liberarsi dal peso della paura. E, per chi legge, di avere un racconto personale di chi vive tutti i giorni il terrore di tornare alla dittatura di Pinochet.

È lunedì 21 ottobre a Santiago del Cile, sono quasi le 8 di sera. Da due giorni il governo ha deciso che a quest’ora parte il coprifuoco. Nessuno può circolare per strada senza autorizzazione. Non succedeva dai tempi della dittatura di Pinochet.

Il popolo non ci sta e decide di rimanere in strada a protestare. Nel corso della giornata una lunga manifestazione ha invaso le strade della città, cittadini contro esercito. Romina è uscita presto di casa, con un’amica, per seguire il corteo. All’ora del coprifuoco sta rientrando a casa, ma viene presa davanti al suo portone da quattro militari che la fermano e la trascinano in un furgone.

Perché hai deciso di partecipare alle proteste in Cile?

Quando sono iniziate le manifestazioni, io ho deciso di partecipare attivamente e pacificamente. Andavo ai cortei con la mia pentola, il mio mestolo e con un cartello del tipo “Fuori Piñera”. Mi sentivo proprio chiamata alla causa come tanti, piena di rabbia e anche di speranza di cambiamento. Ho tantissime ragioni per manifestare. Non solo per l’educazione, ma anche per la pensione dei miei genitori, l’alto costo della vita, il nostro futuro.

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Puente Alto, Santiago del Cile (dettaglio) – Foto: © Alexandra Pinto

In Cile cosa succede oggi, perchè contestate Piñera?

Le proteste iniziarono quando il governo di Piñera aumentò di 30 pesos cileni (circa 0,036 euro) il biglietto di metropolitana e autobus. Il trasporto pubblico in Cile è uno dei più costosi del Sudamerica, questo significa che a fine mese un cittadino medio spende il 13,78% del proprio salario per spostarsi. Circa il 50% della popolazione guadagna meno di 460 euro al mese. La prima forma di protesta è stata quella degli studenti delle scuole superiori che salivano sui mezzi senza pagare.

Le nostre richieste sono mutate nel tempo. Prima si protestava per l’aumento del prezzo del trasporto e della luce, poi le domande sono cresciute di importanza chiedendo dignità per il popolo, fine della costituzione di Pinochet che, per assurdo, ancora abbiamo, distribuzione più equilibrata delle ricchezze, fine del sistema pensionistico attuale, fine del sistema neoliberale, fine della militarizzazione nel territorio mapuche, stop alla privatizzazione dell’educazione, della salute e le dimissioni del presidente Piñera. Io per studiare all’università ho dovuto contrarre un debito bancario, come la maggioranza dei giovani cileni, per il quale dovrò pagare una rata mensile per 20 anni. Questo vuol dire che i giovani escono dall’università già indebitati.

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Come ha reagito il governo del Cile alle proteste della popolazione?

La reazione del governo è stata fin da subito la repressione delle manifestazioni. I primi giorni dopo l’esplosione sociale, Piñera ha dichiarato guerra, argomentando che c’era “un nemico grande e pericoloso”, ma questo nemico non era nient’altro che il popolo con le sue richieste di giustizia e di cambiamento alla base dell’economia cilena, fondata sulla disuguaglianza.

Il 19 ottobre Piñera ha dichiarato lo stato di emergenza e coprifuoco, sono usciti i militari come nel peggiore incubo. Migliaia di feriti, 24 morti, 5 dei quali a causa di agenti statali, più di 200 persone hanno perso un occhio. Oltre ai gravi casi di Gustavo Gatica e Fabiola Campillay (36 anni), che hanno perso due occhi. Ma nel tempo anche gli atteggiamenti di Piñera sono cambiati, perché era evidente l’intento di nascondere il senso profondo delle proteste.

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Plaza de la dignidad, Santiago del Cile (dettaglio) – Foto: © Martin Palma

Da un punto di vista politico, hanno dato delle risposte?

A livello politico hanno reagito tardi e mi pare che, ancora oggi, non si risponda effettivamente alle richieste dei cittadini. Per questo continuano le proteste. Nell’immediato hanno bloccato l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana, dell’autobus e anche il prezzo della luce, hanno aumentato del 20% le pensioni e lo stipendio minimo mensile di circa 44 euro. Ma tutto questo non è abbastanza, perché il modello economico che ci tiene in una situazione miserabile non cambia.

Per le richieste di una nuova costituzione, dopo molti dibattiti tra i politici hanno accettato l’inizio di un processo costituente che si svolgerà ad aprile 2020, in cui si chiederà ai cittadini se vogliono una nuova costituzione e come costruirla: attraverso una convención mixta constituyente o attraverso una convención constitucional. Ma a causa della bassa rappresentatività da parte dei partiti politici attuali non si assicura la partecipazione di tutta la società, neanche una quota ammissibile di donne e dei popoli indigeni (quasi il 10% della popolazione in Cile).

Qual è la tua storia con l’esercito cileno?

Il 21 ottobre sono andata a una grande manifestazione in centro città con un’amica, era pieno di gente e anche pieno di polizia e militari. Ho visto tantissima repressione, lacrimogeni, spari. Dopo alcune ore di marcia stavamo tornando indietro e ci siamo fermate vicino alla scuola militare perché c’era tantissima gente che manifestava pacificamente. Alle 8 di sera cominciava il coprifuoco, però tutti, compresi anziani e bambini, continuavano a manifestare. Poco dopo i militari hanno iniziato a sparare lacrimogeni e a colpirci con i getti d’acqua.

Io ho deciso di rientrare a casa, ero da sola, e quando sono arrivata sotto al mio appartamento mi sono trovata la strada piena di soldati con fucili e mitraglie. Erano almeno 80, c’erano anche i carri armati. Non ci potevo credere, mi sembrava di essere in un film horror.

Dieci di loro mi hanno visto e hanno iniziato a correre verso di me, urlandomi addosso e prendendomi di forza. Mi hanno preso in quattro e mi hanno caricata sul camion, mi hanno fatta sdraiare per terra a faccia in giù, con le mani sulla testa, insieme ad altri tre ragazzi catturati. Non potevo vedere cosa succedeva intorno a me e neanche dove mi portavano. Solo sentivo il ragazzo vicino a me che urlava perché i militari gli avevano messo i piedi addosso e lo picchiavano. Immaginavo il peggio, perché si conoscevano già casi di abusi sessuali e perfino casi di morte. Sono stati minuti di terrore.

Ci hanno portato alla scuola militare e ci hanno detto di scendere dal camion. Ci hanno ordinato di non alzare la testa e di non guardargli il viso, anche se era tutto coperto. Un militare mi domandava perché adesso non protestassi, come mai non fossi più così tanto coraggiosa. Dovevano portarci dai carabinieri per fare il controllo di detenzione, ma credo che se uno dei ragazzi presenti con me non avesse detto che aveva parenti nell’esercito non ci avrebbero lasciati liberi. Allora hanno deciso di liberarci e mentre stavamo andando via ci hanno urlato che dovevamo correre e che se altri militari ci avessero trovato per strada loro non avrebbero fatto nulla. Quindi abbiamo cominciato a correre con la paura che ci prendessero di nuovo. Si sapeva anche di casi in cui sparavano alla schiena alle persone che correvano, quindi ho iniziato a pensare al peggio e sentivo tantissima paura.

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Plaza de la Dignidad, Santiago del Cile – Foto: © Alexandra Pinto

Ci sono somiglianze con la dittatura di Pinochet?

La violenza che viviamo in questi giorni è stata veramente brutale ed eccessiva. Lo conferma la recente indagine di Amnesty International e anche l’indagine di Human Rights Watch (https://media.hrw.org/category/3/americas) IL  VIDEO È MOLTO FORTE, dove si parla di violazioni sistematiche dei diritti umani e una politica di punizione alle manifestazioni. Ci sono stati casi di persone sparite, feriti, mutilazioni, persecuzioni, violazioni, anche casi in cui la polizia vìola il domicilio dei cittadini, tenendoli in custodia.

Io sono nata nell’87, quindi praticamente non ho ricordi della dittatura di Pinochet, ma ho studiato e abbiamo tantissimi documenti d’informazione. Il coprifuoco non si viveva dalla dittatura, quindi si può paragonare questa violenza agli avvenimenti di quel periodo, anche se forse per il momento la gravità della situazione è inferiore al passato. Ricordiamo che la dittatura è durata 17 anni. Quello che c’è di diverso adesso è che tutti noi abbiamo il cellulare per registrare e fare video, così possiamo denunciare tantissimi casi di repressione da parte della polizia.

Ho potuto vedere con i miei occhi giovani, bambini e anziani manifestare pacificamente e intorno a loro militari in carri armati e sugli elicotteri in volo a una quota molto bassa che puntavano le armi contro i manifestanti. E noi eravamo lì con solo mestoli e pentole. Questo non lo dimenticherò mai.

Cos’è il Cile oggi e cosa sarà di voi?

Siamo spettatori di quanto i politici siano capaci di fare e quanta forza possano schierare per mantenere i privilegi nelle minoranze. Sembra come se la voglia di ricchezza non abbia limiti e per questo possono arrivare a fare qualsiasi cosa. Quindi non si sa quando può finire, perché le manifestazioni non si fermeranno fino a quando tutte le richieste non saranno ascoltate.

Quando penso in positivo vedo come in queste settimane tante persone si riuniscono in gruppi per parlare della nostra attualità e di politica come non si faceva da tantissimi anni, discutono su cosa vogliamo e cosa sogniamo come società. Stiamo diventando consapevoli di quello che si vive qui e intorno a noi.

Per esempio, essere consapevoli dell’occupazione militare nel territorio Mapuche e come i media vengano manipolati da politici e militari. Voglio ricordare il caso dell’omicidio da parte di agenti statali di Camilo Catrillanca, attivista Mapuche (http://www.akicita.org/index.php/comitato-11ottobre/9-news/96-camilo-catrillanca-comunero-mapuche-24-anos-muere-por-disparo-de-carabineros).

Sappiamo anche degli attivisti ambientali come Alejandro Castro, Macarena Valdés e altri che difendevano il loro territorio da imprese che saccheggiavano le risorse naturali e per questo sono stati uccisi da chi aveva interessi economici. Quindi lentamente si sta perdendo la paura di alzare la voce e denunciare, anche di relazionarsi con la gente che non si conosce, perché il Cile, soprattutto la capitale, è una società molto individualista, con tanti traumi dal recente passato della dittatura. È come se avessero aperto una ferita non guarita, ma dobbiamo stare uniti perché non siamo in guerra. Stiamo lottando per la dignità e tutte le nostre richieste sono legittime.

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