German Graciano Posso: chi è il difensore dei diritti premiato da Focsiv

Costretto da ormai 3 anni a girare accompagnato da una scorta civile internazionale a causa delle minacce ricevute per aver scelto la nonviolenza: German Graciano Posso, rappresentante della Comunità di pace di San Josè de Apartadò (Colombia) e vincitore del Premio volontario del sud Focsiv 2019, si racconta a Osservatorio Diritti

È il difensore dei diritti umani German Graciano Posso il vincitore del Premio volontario dal sud Focsiv 2019. Nato nel 1982 nel villaggio Porvenir, in Colombia, dopo l’ennesimo sfollamento forzato e l’uccisione di 13 familiari, tra cui il padre e un fratello, decise di intraprendere il cammino della resistenza non violenza e del rifiuto delle armi. E nel 1999 entrò a far parte della Comunità di pace di San Josè de Apartadò (Cdp), di cui è rappresentante legale dal 2013.

Agricoltore di 37 anni e padre di due figli, da circa tre anni German si muove solo se è accompagnato da una scorta civile internazionale. Questo perché nel dicembre del 2017, insieme a un altro componente della Comunità, Jose Roviro Lopez, ha subito un tentativo di attacco da parte di cinque paramilitari armati. Dal 1997 a oggi sono più di 300 i membri della Comunità di pace assassinati.

«La storia della Comunità di pace, come di altre in Colombia, è un cammino molto difficile e una lotta senza fine, il cui risultato sono gli omicidi a cui stiamo assistendo nel Paese. Il mio obiettivo di vita è quello di provare a cambiare, non solo me stesso, ma l’intera umanità, cercando di dare l’esempio di come si possa lottare per un mondo diverso, alternativo, per una vita degna fatta di uguaglianza senza ricevere niente in cambio», dice German in questa intervista a Osservatorio Diritti.

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German Graciano Posso – Foto: © Irene Masala

Il Premio volontario dal sud Focsiv 2019 a German Graciano Posso

Il premio a cui l’attivista colombiano è stato candidato da Operazione Colomba della Comunità Papa Giovanni XXIII è arrivato ormai alla sua 26° edizione. Indetto nel 1994 dalle Nazioni Unite per celebrare la Giornata mondiale del volontariato, è un attestato dell’impegno contro ogni forma di povertà ed esclusione e per l’affermazione di una vita degna nel rispetto dei diritti fondamentali di uomini e donne.

«Il cambiamento più importante si ottiene quando dai la tua vita per gli altri, per cercare di cambiare quel modello di guerra che caratterizza le nostre società a livello mondiale. Ci portano a credere che la via del potere, la via delle armi siano le uniche valide in questo mondo. Noi della Comunità di pace abbiamo iniziato invece a pensare in modo diverso».

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German Graciano Posso: Comunità di pace minacciata

«È una vita molto difficile quella di chi si sente limitato nelle proprie azioni, di chi sa che quando arriva la sera aumenta la possibilità di essere attaccati o assassinati. Per questo ogni volta che vien meno la garanzia del rispetto dei nostri diritti, l’unica forza etica e morale nelle nostre mani è quella di cercare sostegno a livello internazionale, nei riconoscimenti e nell’accompagnamento come quello che da tanti anni mettono in campo i volontari di Operazione Colomba e delle Brigate di pace internazionali». German Posso spiega quanto l’assegnazione di un premio e la presenza di volontari internazionali possano fare la differenza per la sopravvivenza della comunità.

La Comunità di Pace è stata fondata nel 1997 da un gruppo di 500 contadini, che decisero di dichiararsi neutrali nel conflitto in corso tra guerriglia, paramilitari ed esercito colombiano.

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German Graciano Posso (in piedi, col cappello) – Foto: © Irene Masala

L’esercito della Colombia contro San Josè di Apartadò

Oltre alle costanti minacce alla vita dei leader sociali, la Comunità di pace sta vivendo in questo momento un vero e proprio paradosso: il colonello Carlos Alberto Padilla Cepeda, comandante della Brigata XVII dell’esercito colombiano, ha querelato la comunità per aver diffamato il buon nome e l’onore della Brigata attraverso la pubblicazione di report, da gennaio a marzo del 2018, nei quali si segnalava la presenza di gruppi paramilitari insieme a truppe dell’esercito colombiano.

«Se noi denunciamo un attentato contro la Comunità o contro il suo rappresentante, come quello del 2017, e la risposta che riceviamo dalle istituzioni è una notifica contro la comunità, questo rende tutto ancora più difficile. Non si indaga sui paramilitari che hanno compiuto l’attacco ma si accusa invece la Comunità che l’ha subito», continua German.

Che ribadisce come ogni giorno sia sempre più difficile mostrare ciò che davvero succede nel territorio. «Non abbiamo nessuna garanzia da parte del governo colombiano per la protezione delle nostre vite. Una cosa è parlare qui dall’Italia, un’altra è vivere in una regione controllata dai paramilitari, dove sono loro che danno gli ordini e chi non li rispetta è costretto ad andarsene o a morire».

L’ordine di arresto contro German è stato annullato, ma la denuncia è ancora pendente. «Questo è un fatto gravissimo per tutti i difensori dei diritti umani in Colombia. Se la querela andasse a buon fine significherebbe che noi, le vittime, dovremmo chiedere perdono ai carnefici e questo sarebbe vergognoso. Sarebbe come se le vittime non potessero più reclamare i propri diritti o denunciare le ingiustizie subite».

La sentenza è in attesa di essere revisionata dalla Corte costituzionale, che dovrà verificare il rispetto di tutte le norme del diritto internazionale e in difesa dei diritti umani.

Questa situazione potrebbe rappresentare un grave precedente per tutti i cittadini colombiani e i leader comunitari che oggi si espongono per segnalare le violazioni dei diritti umani e la connivenza tra esercito e paramilitari.

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German Graciano Posso – Foto: © Irene Masala

German Posso: «Difendono le multinazionali»

«Le maggiori sfide che oggi si trova davanti la Comunità di pace sono la privatizzazione del territorio, lo sfruttamento delle miniere di carbone e delle risorse naturali soprattutto nell’Urabà. Sappiamo che il tema della restituzione delle terre non è facile e l’unico modo per affrontare queste sfide è continuare a cercare l’appoggio internazionale e l’accompagnamento. Perché senza, forse, la Comunità di pace non esisterebbe più. Per questo è fondamentale che sul piano internazionale, nonostante sia in corso questo processo di pace, si mantenga alto il livello di attenzione per cercare di chiarire molti degli omicidi dei leader sociali».

German Posso punta così i riflettori su un tema molto scottante per il governo colombiano. Dal 2016 – anno in cui è stato firmato l’accordo di pace tra il governo di Juan Manuel Santos e le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia – al giugno del 2019 sarebbero almeno 700 i leader sociali e i difensori dei diritti umani assassinati, stando al rapporto pubblicato da Indepaz. Nel mirino degli attacchi anche esponenti politici, come la giovane candidata sindaca Karina Garcia Sierra, che ha perso la vita in un’imboscata lo scorso settembre.

«Il governo colombiano e le forze dell’ordine si sono convertiti nei difensori degli interessi privati di imprese e multinazionali. Per questo la strategia messa in atto in Colombia, così come in altri Paesi del Sud America, è quella di azzittire la voce di quelle comunità che chiedono il rispetto dei diritti umani. È arrivato il momento in cui il popolo deve alzarsi e attivarsi per cercare una soluzione, soprattutto nell’ambito di un processo di pace appoggiato che invece ha avuto come risultato l’uccisione di tutti questi leader e attivisti politici».

Colombia travolta dal grande sciopero nazionale

Almeno 4 morti e oltre 120 civili feriti: è questo il bilancio delle proteste che dal 21 novembre stanno animando le strade della Colombia, da Bogotà ad altre città del Paese, e alle quali si stima che abbiano partecipato finora circa 250 mila colombiani. L’obiettivo dello sciopero generale era quello di esprimere il malcontento della popolazione rispetto alle politiche sociali ed economiche del presidente Ivan Duque.

«È molto importante ciò che sta succedendo in Colombia, e in particolare a Bogotà, perché si sciopera per gli stessi diritti che abbiamo reclamato anche noi come comunità pacifica: riforma agraria, salute pubblica, accesso all’educazione».

German Posso commenta così i movimenti popolari che stanno riempendo le piazze della Colombia. E conclude: «È il momento di parlare, di denunciare i paramilitari che ci minacciano, che reclutano i nostri giovani. Non possiamo stare zitti perché altrimenti saremmo anche noi responsabili di ciò che sta succedendo e continuerà ad accadere nel Paese. È importante che questo sciopero nazionale continui per cercare di realizzare delle politiche comuni. Non sono solo per i popoli indigeni, per gli afro discendenti e per i contadini che stanno soffrendo ma per tutto il popolo unito della Colombia».

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