Ergastolo ostativo: storia di Mario Trudu, morto in carcere a 69 anni
Dopo 41 anni di prigione, Trudu è morto all'ospedale di Oristano a poche ore dalla sentenza della Corte costituzionale sull'articolo 4 bis. L'avvocato: «La sua storia dice che in Italia l'ergastolo c'è e che il diritto alla salute di chi è dentro non è lo stesso di chi è libero»
«La vicenda di Mario Trudu dimostra che in Italia l’ergastolo esiste, a dispetto di chi sostiene che non c’è. Dimostra che il diritto alla salute in carcere non è uguale a quello di chi è fuori. Dimostra un atteggiamento incompatibile con l’obiettivo di risocializzazione che la Costituzione attribuisce alla pena. Spero che la sua storia serva a sensibilizzare chi è preposto alla tutela di chi si trova nella sua stessa situazione».
A parlare è l’avvocato Monica Murru, che negli ultimi anni ha assistito Mario Trudu, morto il 25 ottobre all’ospedale di Oristano, in Sardegna. Pastore originario di Arzana (Nuoro), Trudu era in carcere dal 1979, condannato per due sequestri di persona. Quarant’anni passati dietro le sbarre in diverse carceri del Paese, dal 1992 all’ergastolo ostativo.
In carcere aveva finito le scuole medie, scritto due libri (“Tutta la verità. Storia di un sequestro” e “Cent’anni di memoria. Elogio dei miei vecchi”, per Stampa Alternativa) e frequentava l’istituto d’arte.
«Faceva disegni bellissimi. Nonostante vivesse in una casa di cemento da 40 anni, aveva una memoria molto precisa della natura e della sua terra», dice Murru.
Da due anni era nel carcere di Massama, Oristano. A ottobre, pochi giorni prima della sentenza della Corte Costituzionale sul 4 bis, aveva ottenuto il permesso di curarsi fuori. Trudu era malato di sclerodermia e gli era stato diagnosticato un tumore alla prostata. «Da tempo avevo chiesto i domiciliari perché le sue condizioni erano molto gravi, ma c’è voluto più di un anno, nonostante la prescrizione della terapia da parte del medico e l’autorizzazione del magistrato di sorveglianza, perché glieli concedessero. I tempi del carcere sono lunghi e ci saranno state centomila ragioni per queste lungaggini, ma per me non c’è stata l’attenzione che avrebbe dovuto esserci», sostiene Murru.
Ricoverato il 4 ottobre, Trudu è morto senza poter ritornare a casa. Aveva 69 anni.
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Il significato: che cos’è l’ergastolo ostativo e per quali reati è previsto
Introdotto nel 1992 in seguito alle stragi di mafia e all’uccisione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, l’ergastolo ostativo (articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario) stabilisce che l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative possono essere concessi ai condannati per alcuni reati – associazione mafiosa, sequestro di persona a scopo di estorsione e associazione finalizzata al traffico di droga – solo se collaborano con la giustizia.
Fin dall’inizio sono stati sollevati dubbi sulla costituzionalità di questa norma, non da ultimo quello sull’esplicita previsione di retroattività. Tra i detenuti già in carcere che si sono visti applicare il 4 bis c’era anche Trudu, condannato a 30 anni per il sequestro di Giancarlo Bussi, rapito a Villasimius (Cagliari) nel 1978 e mai tornato a casa, reato per il quale Trudu si è sempre dichiarato innocente, e all’ergastolo per il sequestro di Emilio Gazzotti, rapito nel 1987 e morto in seguito a una sparatoria nel tentativo di liberarsi, e per il quale Trudu si è assunto la responsabilità.
«La questione della retroattività del 4 bis l’ho sollevata tante volte. Anche Trudu ne ha scritto. Ripeteva spesso “ma che c’entro io con Falcone e Borsellino, se quando sono stati uccisi ero in carcere, già definitivo, dal 1979, e neppure sono siciliano”», dice Murru.
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L’ergastolo ostativo per la Cedu
La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) aveva ridato speranza a Mario Trudu. Lo scorso 13 giugno, la Cedu si era pronunciata sul ricorso di Marcello Viola (quattro ergastoli per reati di mafia), stabilendo che l’ergastolo ostativo viola i diritti umani.
«In quei giorni abbiamo festeggiato. Di fronte alle mie proposte di chiedere permessi per necessità, per partecipare a progetti o eventi in cui avrebbe potuto portare la sua testimonianza, era fiducioso. A volte mi chiedeva di pensarci e poi mi scriveva. Non era un uomo che parlava a vanvera, rifletteva», dice ancora Murru.
Le richieste però sono state tutte rigettate, anche quella per la proiezione a Nuoro di “Spes contra spem. Liberi dentro”, il film di Ambrogio Crespi sull’ergastolo ostativo. «A suo favore si era espresso il sindaco e i carabinieri avevano dato la disponibilità ad andarlo a prendere. Nei confronti di quest’uomo si era sviluppato un atteggiamento di profonda compassione, nel senso di condivisione della sofferenza: alcuni agenti del carcere di Massama, a volte, mi dicevano “non capisco perché è qui”. Domande retoriche, che hanno portato all’epilogo che conosciamo».
Per l’avvocato Murru, la verità è che l’esecuzione della pena non è uguale ovunque. «Non è la stessa cosa stare a Milano Opera, a Palmi o a Oristano. Molto dipende dal magistrato di sorveglianza ed è inaccettabile. Non può essere solo una questione di fortuna trovare un orientamento illuminato o restrittivo, perché significa che la legge non è uguale per tutti».
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I progetti di giustizia riparativa
L’avvocato Murru aveva proposto a Mario Trudu di partecipare a un progetto di giustizia riparativa con le vittime di sequestri di persona. «All’inizio era titubante. Diceva di non aver mai chiesto perdono non perché non lo volesse o perché non fosse convinto di avere sbagliato, ma perché sapeva di avere inflitto così tanto male a quelle persone da non voler dare loro ulteriore tormento costringendole a incontrarlo o a sentire il suo nome», racconta l’avvocato. Ma poi aveva accettato. «Lo aveva fatto perché diceva di non avere nulla da nascondere. Gli ho spiegato che non sarebbe stato indolore, ma mi rispose che aveva già raccontato tutto nel suo libro e che non si faceva sconti».
Dopo 26 anni di carcere gli ergastolani possono usufruire di benefici premiali extramurari, gli ergastolani ostativi no: per loro la pena non finisce mai, a meno che non diventino pentiti. «Mario Trudu era un uomo tutto d’un pezzo, schietto, con una grande dignità. Veniva da una terra bellissima ma aspra e se doveva dire qualcosa lo faceva anche a detrimento del suo interesse. Non ha mai voluto o potuto fare i nomi dei suoi complici. Si è assunto tutta la responsabilità a livello emotivo e se ha pagato in questo modo è perché, pur rinnegando la propria condotta delittuosa, non si è mai piegato. Aveva fatto un percorso e non ha mai smesso di gridare che se lo Stato non lo avesse condannato ingiustamente per il primo reato, non sarebbe diventato quello che era».
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Ergastolo ostativo: la sentenza della Corte costituzionale
Nelle settimane precedenti la morte di Mario Trudu sono state due le sentenze che hanno aperto una breccia nella normativa sull’ergastolo ostativo: l’11 ottobre la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rigettato il ricorso presentato dall’Italia contro la sentenza del 13 giugno sul caso Viola e il 23 ottobre la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario «là dove impedisce che per i reati in esso indicati siano concessi permessi premio ai condannati che non collaborano con la giustizia».
E si è aperto il dibattito tra chi dice che in questo modo si contrasta la lotta alla mafia e chi plaude al fatto che sarà il giudice a valutare se, in base al percorso di rieducazione, il detenuto ha diritto ai permessi premio.
Ma perché fa così paura pensare di modificare questa norma? «Perché c’è tanta ignoranza sull’ergastolo ostativo. Quindi la prima cosa da fare è informare. E poi perché c’è il tempo che stiamo vivendo con una campagna di odio feroce che soffia sul fuoco della paura e alimenta la pancia del Paese. E quindi ben vengano le pronunce della Corte europea e della Consulta che ci ricordano che siamo uno Stato di diritto», risponde Murru.