World toilet day: in India la salute si gioca (anche) sui servizi igienici
La defecazione all'aperto ha un impatto sociale, ambientale e sanitario devastante: porta più decessi di bambini sotto i 5 anni di età, denutrizione e diarrea infantile. Un problema che interessa 673 milioni di persone nel mondo, unite oggi nel World toilet day. Una sfida cruciale soprattutto in sette paesi, a partire dall'India
A fine settembre molti giornali italiani hanno ripreso la notizia circolata su quasi tutti i media internazionali che due bambini indiani di bassa casta erano stati presi a bastonate e uccisi da uomini di alta casta in un paesino del Madhya Pradesh, India centrale, perché trovati a defecare all’aperto, su suolo pubblico. I bambini, rispettivamente 10 e 12 anni, erano dalit – tra le comunità posizionate più in basso nella tradizionale stratificazione sociale indiana – e vivevano in una baracca senza servizi.
Alla povertà in India si somma spesso la discriminazione sulla base dell’appartenenza castale che imbriglia, tutt’oggi, ogni ambito del pubblico e del privato.
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India: poche fognature, povertà e defecazione all’aperto
La scarsa diffusione di un sistema di fognature adeguato a una popolazione in costante crescita e la mancanza di servizi igienici, insieme alla povertà e alla convinzione (soprattutto nelle zone rurali) che sia più igienico fare i bisogni all’aperto che in un bagno dentro la propria casa, spinge ancora molte persone in India a defecare in strade, campi o canali di scolo.
Chi con toni critici, chi più accomodanti, in molti hanno notato che Narendra Modi, primo ministro indiano per il secondo mandato consecutivo, era stato insignito dalla Bill and Melinda Gates Foundation di un premio per il suo ruolo nel costruire milioni di bagni nel subcontinente.
Primo ministro Modi premiato per la costruzione di bagni: la contestazione di attivisti e accademici
Attivisti e accademici americani di origine asiatica hanno contestato la scelta dell’organizzazione filantropica e hanno raccolto 100 mila firme in una petizione per chiedere il ritiro del premio a un politico che ha messo in atto politiche escludenti e divisive che stanno acuendo le fratture e gli scontri su base settaria (e di casta) nel paese.
Etichettato come il “macellaio del Gujarat” (lo stato di cui Modi è originario e di cui è stato governatore) per il suo lassismo durante i pogrom anti-musulmani nel 2002, da quando è diventato premier la sua immagine nel mondo è stata relativamente riabilitata rispetto a quando, nel 2005, gli fu negato il visto di ingresso per gli Stati Uniti. La fondazione ha difeso la scelta sostenendo che gli sforzi del primo ministro indiano hanno aiutato milioni di persone ad avere accesso ai servizi igienici.
Nel 2014, fresco di elezione, Modi ha lanciato il progetto Swachh Bharat Abhiyan (Missione India pulita) con lo scopo di liberare il paese dalla sporcizia e dai rifiuti che assediano le strade e le città e ha promesso di rendere l’India libera dalla pratica dell’open defecation entro lo scorso 2 ottobre, 150esimo anniversario della nascita del Mahatma Gandhi.
Modi, che ha detto di voler continuare la missione incompiuta del “padre della nazione”, è diventato il volto di questa campagna: l’immagine del primo ministro vestito di bianco con la scopa in mano che spazza le strade o raccoglie bottiglie di plastica sulle spiagge è diventata una costante della campagna pubblicitaria del progetto in questi ultimi cinque anni.
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In India 110 milioni di servizi igienici in 60 mesi
Il governo ha dichiarato di aver raggiunto l’obiettivo di eliminare l’open defecation – uno dei punti dei Millennium Development Goals (MDGs) rilanciati dall’Onu nel 2015 – grazie alla costruzione in tempi record di 110 milioni di bagni in tutto il subcontinente: secondo i numeri ufficiali, 600 milioni di persone hanno avuto accesso per la prima volta ai servizi igienici.
Che il primo ministro indiano abbia a cuore un enorme problema di salute pubblica come quello della mancanza di sanitari nel secondo paese più popoloso al mondo è certamente una buona notizia. Eppure i suoi sforzi non hanno raggiunto i risultati sperati. Il progetto, costato quasi 8 miliardi di euro e sostenuto da molti volti noti che ne sono diventati ambasciatori, è considerato un flop da esperti e addetti ai lavori. Basta davvero costruire milioni di gabinetti per risolvere il problema dell’open defecation in India?
World toilet day: il problema della defecazione all’aperto
Il 19 novembre si celebra il World Toilet Day, la Giornata mondiale del gabinetto voluta dalle Nazioni Unite nel 2001 per sensibilizzare il mondo sulle problematiche legate alla carenza di servizi igienici nei paesi in via di sviluppo.
Dai dati raccolti dall’Onu emerge che ad oggi 673 milioni di persone continuano la pratica della defecazione all’aperto e la maggior parte di loro vive in soli sette paesi, tra Africa e Sudest asiatico. Un miglioramento c’è stato se si pensa che nel 2000 erano 1,3 miliardi.
La pratica alimenta il circolo vizioso di malattie e povertà: nei paesi in cui è diffusa si registrano il maggior numero di decessi di bambini di età inferiore ai cinque anni, nonché alti livelli di denutrizione e di malattie potenzialmente letali come la diarrea infantile. L’impatto sociale, sanitario e ambientale della pratica è enorme.
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Servizi igienici in India: dati contrastanti
L’India è il paese al mondo con il maggior numero di persone che defecano all’aperto, sia in termini percentuali che assoluti. L’ultimo censimento del 2011 ha rivelato che solo il 36 per cento delle case rurali in India possedeva servizi igienici: si stima che nel 2015 fossero 524 milioni gli indiani che non usavano il Wc.
Secondo un’indagine nazionale, supportata tra gli altri dalla World Bank, lo scorso febbraio la percentuale di persone in India che non usano i servizi igienici era scesa al 10 per cento. Secondo il Ministry of Water and Sanitation il programma è stato un successo e la copertura nazionale ha raggiunto il 99,22% quest’anno. A questo punto, viene da chiedersi quanto queste affermazioni siano credibili e se alla costruzione di servizi igienici sia corrisposto un reale incremento nell’uso effettivo dei servizi. Una ricerca ridimensiona la portata dei risultati
Uno studio condotto dal Research Institute for Compassionate Economics (Rice) in quattro stati in India del Nord dimostra che da quando il programma è stato lanciato la pratica della defecazione all’aperto è diminuita del 26% e l’accesso delle famiglie ai sanitari è passato dal 37 per cento nel 2014 al 71 per cento nel 2018.
La ricerca evidenzia però che, nonostante la maggiore diffusione di servizi nel paese, il 23% delle persone che possiede un bagno continua a defecare all’aperto.
Inoltre è stato riscontrato che in molti villaggi dichiarati ufficialmente senza più defecazione all’aperto, i residenti continuavano a non usare i bagni anche dove disponibili. Un dato inalterato dal 2014.
Secondo alcuni esperti il programma di governo si è concentrato esclusivamente sulla costruzione di servizi senza implementare le infrastrutture o il mantenimento delle fogne o cambiare l’attitudine delle persone.
Un’altra indagine condotta lo scorso febbraio dallo stesso istituto, che si basa su 156 interviste a funzionari coinvolti nell’implementazione del programma nei villaggi rurali di quattro stati, dimostra che i funzionari locali sono spesso ricorsi alla coercizione nella costruzione delle latrine, che erano sottoposti a forti pressioni da parte di funzionari governativi di alto rango per soddisfare target impossibili e che il processo di dichiarazione “libero da defecazione all’aperto” non garantiva che i villaggi lo fossero effettivamente.
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Igiene, accesso ai sanitari e discriminazione di casta
In India, al problema strutturale di carenza di servizi igienici e alla resistenza tradizionale verso il loro uso, si accompagna la questione della discriminazione su base castale che assume diverse declinazioni nel vissuto quotidiano, in un paese dove nascere in una determinata casta si traduce in una condanna senza appello a una vita di discriminazioni e soprusi.
E dove migliaia di persone sono ancora oggi costrette a raccogliere con le mani gli escrementi dalle latrine a secco nelle case delle caste più alte e gli viene negato l’accesso alle fonti di acqua pubbliche per il timore che queste possano essere “contaminate”.
Il lavaggio manuale delle latrine a secco, tramandato di generazione in generazione, è un lavoro basato sull’appartenenza castale, che costringe la comunità a profonde umiliazioni, esclusione sociale e problemi di salute. Gli stessi atteggiamenti e attitudini sono alla base della resistenza di molti indiani all’uso delle latrine che il governo ha promosso con la sua campagna Swachh Bharat.