Militari italiani feriti e proteste represse nel sangue: ecco cosa succede in Iraq

Cinque militari italiani sono stati feriti ieri in un attentato in Iraq, nella zona di Suleymania, nel Kurdistan iracheno, dove un ordigno è esploso al passaggio di forze speciali italiane. Un'azione che sembra approfittare di un periodo di grande confusione nel paese, travolto da manifestazioni di piazza. E dove la repressione governativa ha provocato già 300 morti e migliaia di feriti

Cinque militari italiani sono stati feriti ieri nei pressi di Kirkuk, nell’Iraq settentrionale. Tre di loro hanno riportato lesioni gravi, stando alle prime informazioni, anche se nessuno si trova in pericolo di vita.

L’attentato di terrorismo s’inserisce in un contesto estramente confuso. Da oltre un mese, infatti, in Iraq le manifestazioni che si stanno svolgendo a Baghdad e in altre città del Paese vengono represse dalle forze governative. La popolazione è scesa in strada per protestare contro la corruzione, la disoccupazione e le carenze dei servizi nel paese, indebolito da decenni di conflitti e dall’ultima guerra combattuta contro lo Stato Islamico. Finora sarebbero rimaste uccise circa 300 persone e migliaia quelle ferite.

Amnesty International in un recente comunicato ha denunciato la morte di 14 persone e il ferimento di altre 100 nella sola città di Kerbala il 28 ottobre scorso. «A Kerbala abbiamo visto scene orribili. Le forze irachene hanno sparato proiettili veri contro i manifestanti e hanno usato forza eccessiva e spesso letale per disperderli in modo del tutto sconsiderato e illegale», ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente dell’organizzazione. «Queste scene sono ancora più sconvolgenti dato che arrivano dopo che le autorità avevano assicurato che non avrebbero più fatto ricorso a quel livello estremo di violenza che aveva caratterizzato l’azione delle forze di sicurezza in precedenza».

Iraq: le forze di sicurezza sparano sui manifestanti

Un testimone oculare ha riferito ad Amnesty International che già nei giorni precedenti le forze di sicurezza avevano affrontato i manifestanti con gas lacrimogeni e manganelli ma che, la notte del 28 ottobre, la violenza è tragicamente aumentata. «Invece di affrontare queste proteste con forza arbitraria ed eccessiva, le autorità devono affrontare le lamentele dei manifestanti e le cause profonde dei disordini in modo sostenibile», ha aggiunto Maalouf.

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Foto: www.amnesty.org

«Secondo il diritto internazionale, le forze di sicurezza devono astenersi dall’uso delle armi da fuoco se non quando vi sia un’imminente minaccia di morte o di ferimento grave e non sia possibile ricorrere ad altri metodi. Le testimonianze oculari ci dicono chiaramente che non è andata così». Proprio per questo l’organizzazione chiede alle autorità irachene di «tenere sotto controllo i propri uomini per impedire ulteriori bagni di sangue». Le testimonianze raccolte dall’ong raccontano una giornata terribile.

«Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro i manifestanti. Poi una camionetta ha iniziato ad inseguire le persone che fuggivano lungo la piazza per investirle. È stato puro orrore. C’erano donne e bambini. I bambini urlavano di paura. Gli agenti hanno disperso la folla spingendola verso le vie interne», ha dichiarato un uomo rimasto nell’anonimato.

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Iraq, scene di guerra nel paese guidato da Abdul-Mahdi

Sempre secondo fonti raccolte dall’organizzazione, un medico in servizio presso l’ospedale al-Hussein di Kerbala ha raccontato che i manifestanti trasportati al pronto soccorso presentavano ferite da schegge e da armi da fuoco alle gambe, allo stomaco, agli occhi e alla testa. Nei giorni precedenti si erano presentate persone con ferite da pestaggio. Il medico ha anche dichiarato che durante la notte del 27 ottobre le forze di sicurezza in borghese sono entrate in ospedale e hanno portato via decine di persone, tra questi, spiega il dottore, «anche minorenni, uno di loro aveva 14 anni».

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Foto: PIxabay

Perché si protesta in Iraq oggi

La popolazione irachena che partecipa alle proteste accusa i politici di ostacolare la ripresa del Paese a causa della corruzione e della persistente negligenza delle istituzioni. Il popolo, costituito da 40 milioni di persone, chiede lavoro (la disoccupazione tra i giovani supera il 20%), servizi migliori e maggiori infrastrutture.

Alcuni di loro hanno anche chiesto le dimissioni del premier Abdul-Mahdi, insediato circa un anno fa. Da quando è salito al potere, nell’ottobre del 2018, il primo ministro ha promesso di combattere la corruzione, ma i suoi critici lo accusano di averlo fatto in modo lento e debole. Nella sua ultima dichiarazione sull’uso della violenza contro i manifestanti, ha parlato di 157 persone uccise e 5.449 feriti solo nel mese di ottobre.

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Liberazione di Falluja (foto: Tasnim News Agency)

In un discorso in tv, Abdul-Mahdi ha riconosciuto il malcontento popolare, dichiarando che il salario minimo per le famiglie più povere sarà un argomento da prendere in considerazione, ma ha anche avvertito che non ci saranno «soluzioni magiche». Anche secondo diversi analisti, infatti, un cambio di governo non apporterebbe comunque il cambiamento di cui il Paese avrebbe bisogno nel medio periodo. Intanto, il sangue dei morti e dei feriti, continua a scorrere per le strade delle principali città dell’Iraq.

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