Caporalato: in Puglia è stata l’ennesima “Cattiva stagione”

Tra ghetti, condizioni igienico-sanitarie precarie e giornate lavorative di 8 ore pagate 35 euro: le conseguenze di caporalato e sfruttamento nella Capitanata (Foggia), dove vivono 7 mila migranti. Lo denuncia l'ultimo rapporto di Medici per i diritti umani

Condizioni igienico-sanitarie precarie, isolamento, assenza di mezzi di trasporto, mancanza di servizi primari. E ancora: luce, acqua e gas inesistenti, così come i bagni che, quando ci sono, definire fatiscenti è poco.

Siamo nella Capitanata, provincia di Foggia, e a vivere in questo modo sono 7 mila migranti, braccianti agricoli, in un territorio dove viene coltivato più di un terzo dei pomodori prodotti in Italia, ma dove i processi di meccanizzazione della raccolta sono ancora molto arretrati.

A denunciare le condizioni di sfruttamento estremo e di caporalato in Puglia è (Medici per i diritti umani (Medu) nel rapporto “La cattiva stagione”.

Caporalato in Puglia: sfruttamento dei migranti in provincia di Foggia

Da giugno a settembre 2019, l’associazione ha operato all’interno degli insediamenti di questo territorio che comprende il Gran Ghetto di Rignano Garganico, il ghetto Pista di Borgo Mezzanone, i casolari abbandonati nelle campagne di Poggio Imperiale, Palmori e San Marco in Lamis.

Medici, operatori socio-legali e mediatori culturali hanno prestato assistenza sanitaria e legale a 225 persone, realizzando 292 visite mediche e portando avanti 153 colloqui di orientamento sui diritti.

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I casali di Ciceroni in Puglia – Foto: Rocco Rorandelli

In questo lasso di tempo hanno avuto modo di constatare come in questa zona della Puglia, dove si lavora a ritmi serrati per raccogliere i pomodori destinati alle conserve della grande distribuzione organizzata, lo sfruttamento sia ancora forte.

E questo nonostante la Legge sul Caporalato, datata 2016, che ha “riscritto” il reato rendendolo più facile da identificare e sanzionando anche il datore di lavoro, non solo l’intermediario.

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Chi sono gli immigrati vittime del caporalato

I braccianti hanno un’età media di 31 anni e sono per la maggioranza uomini, provenienti da 24 paesi – per lo più dell’Africa Sub-Sahariana e del Nord Africa, dell’Europa dell’Est e del Centro e del Sud-est Asiatico – di cui i principali sono Mali, Ghana, Gambia, Nigeria, Costa d’Avorio, Guinea Conakri, Senegal, Togo e, in percentuale minore, Marocco, Turchia e Pakistan.

I volontari di Medu hanno garantito assistenza sanitaria e legale anche a donne (il 7% del totale), nella maggioranza dei casi vittime della prostituzione.

Si tratta comunque di persone che non sono arrivate in Italia da poco: il 40% degli assistiti si trova nel nostro paese da un periodo che va da 1 fino a 3 anni, mentre il 33% da 4 fino a 10 anni. Dimostrazione di una situazione che si trascina da tempo, senza che sia mai stata messa in campo una soluzione a lungo termine.

Come si legge nel rapporto:

«Nonostante il tempo medio-lungo di permanenza sul territorio, le persone assistite vivevano in una condizione di profonda marginalità sociale ed esclusione dai diritti».

Caporalato e immigrazione: come vivono i migranti

Su questo sicuramente influiscono le condizioni abitative: nei grandi ghetti come quello di Borgo Mezzanone che, come fa notare Medu, è la baraccopoli più grande d’Italia, vivono 3.500 persone solo nella stagione estiva. A questo si aggiungono il Gran Ghetto di Rignano o Borgo Tre Titoli a Cerignola e numerose masserie e casolari diroccati, situati in diverse aree di campagna della provincia (Poggio Imperiale, Palmori, Ortanova, tra le tante).

A caratterizzare questi insediamenti, sebbene diversi tra loro, sono il sovraffollamento, le condizioni igienico-sanitarie estremamente precarie, il fatto che non ci siano mezzi di trasporto che portino le persone a lavorare nei campi e a casa, l’assenza di luce, acqua e gas che in alcuni casi viene colmata con generatori e stufe e in altri, come nel Ghetto di Rignano, con cisterne dell’acqua fornite dalla Regione. Nel borgo di Mezzanone si ovvia anche in un altro modo: ci si allaccia alla linea elettrica del centro d’accoglienza per migranti lì vicino.

Una situazione simile pesa anche livello psicologico e mette i migranti in condizioni di forte vulnerabilità. La cronaca – e il rapporto lo ricorda – ha visto nel corso degli anni numerose operazioni di sgombero e tentativi mal riusciti di dare delle risposte in tempi brevi per portare allo smantellamento dei ghetti e trovare nuove abitazioni.

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Ghetto Pista di Borgo Mezzanone (Puglia) agosto 2019 – Foto: Rocco Rorandelli

Dati sul caporalato in Puglia: al lavoro per 4 euro l’ora

Da queste parti il caporalato impera su ogni aspetto, a partire dall’organizzazione del lavoro, passando per il reclutamento della manodopera, il trasporto a carico dei caporali, le abitazioni e il pagamento delle giornate lavorative. E questo in tutti gli aspetti della filiera produttiva.

Nella Capitanata, in cui si concentra buona parte dei pomodori italiani, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro legale è inesistente. Basti pensare, ricorda Medu, che alle liste speciali per l’impiego di Foggia si sono iscritte solo 30 persone.

La difficoltà di avere un contratto regolare inevitabilmente si ripercuote sul mancato rinnovo del permesso di soggiorno e sulla possibilità di avere un contratto di locazione. E così, anche chi inzialmente è in regola, in assenza di contratto si trova a perdere tutti i diritti civili, a non poter richiedere nemmeno la residenza anagrafica, con tutto quello che ne consegue.

Lavoratori che diventano manodopera a basso costo e irregolare per i caporali, che li pagano all’ora (29%) o a giornata (20%), tranne qualche caso (appena il 2,3%) di chi, nel mese di agosto, ha riferito di essere stato pagato a cassetta.

Quando si viene pagati a giornata, questa dura in media 8 ore ed è retribuita per lo più tra i 30 e i 35 euro, in alcuni casi può arrivare a 40 e, solo per una piccola percentuale dei lavoratori, a 50 euro. Il corrispettivo orario è di circa 4 euro l’ora e a volte può arrivare fino a 5 o scendere fino a 3,50. Non è mai riconosciuto lo straordinario.

Sottolinea Medu:

«A fronte di un quadro di tale gravità, sembra essersi registrato un aumento dei controlli da parte dell’Ispettorato del lavoro sia a livello nazionale che a livello locale. Nella provincia di Foggia, in seguito alla strage estiva dei 12 braccianti morti in un incidente stradale vicino Lesina nel 2018, sono state istituite delle specifiche task force anti-caporalato. I risultati però appaiono ancora del tutto insoddisfacenti.

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Le campagne di Rignano – Foto: A. Brugnani

Salute dei migranti: le conseguenze dello sfruttamento

Condizioni di lavoro precarie portano a condizioni di salute altrettanto precarie: oltre a malattie osteomuscolari, del sistema connettivo e infettive, sono tante le situazioni di disagio psichico con abuso di alcol.

Senza dimenticare che sullo stato mentale dei migranti influisce non solo la situazione di degrado attuale, ma la violenza subita prima di arrivare fino in Italia, in particolare per chi viene dalla Libia.

Legge e permesso umanitario: le proposte di Medu

Il rapporto non si limita ad analizzare la situazione, ma avanza alcune proposte. Tra queste la richiesta di approvazione in Senato del disegno di legge 1549 -A sulle “Disposizioni concernenti l’etichettatura, la tracciabilità e il divieto della vendita sottocosto dei prodotti agricoli e agroalimentari, nonché delega al Governo per la disciplina e il sostegno delle filiere etiche di produzione”, per contrastare le distorsioni della filiera agroalimentare che alimentano lo sfruttamento.

Allo stesso tempo, viene chiesta la reintroduzione del permesso di soggiorno per motivi umanitari per evitare un aumento di persone in condizione di irregolarità e costrette a lavorare in condizioni di sfruttamento o a rischio di subire il controllo e l’influenza della microcriminalità e della criminalità organizzata locale.

«Quella passata è stata l’ennesima cattiva stagione», conferma il rapporto. «Una stagione resa ancor più nefasta dagli effetti del Decreto Sicurezza sulla vita dei lavoratori stranieri, esposti non solo ad un crescente rischio di irregolarità, incertezza e ricattabilità, ma anche a vere e proprie aggressioni xenofobe.

La gravità della situazione descritta, rende necessario l’impegno di tutte le istituzioni nel promuovere innanzitutto un cambiamento culturale, che promuova la legalità, la dignità del lavoro, i valori del rispetto dei diritti umani e della non discriminazione. Solo su un rinnovato humus culturale possono radicarsi misure concrete – ormai urgenti e indifferibili – volte a superare una piaga devastante che segna tante campagne del Mezzogiorno d’Italia e non solo».

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