Guerra in Libia: violato l’embargo sulle armi
L'ultimo rapporto di Amnesty International indica probabili crimini di guerra commessi da entrambi gli schieramenti, il Governo di accordo nazionale di Serraj e l'esercito nazionale libico di Khalifa Haftar. La guerra in Libia non è "solo" un conflitto civile: potenze straniere stanno armando le due fazioni, anche con droni di ultima generazione
In Libia l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite è costantemente violato. Con quelle stesse armi è probabile che le forze in conflitto – il Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al-Serraj e l’Esercito nazionale libico (Enl) del Generale Khalifa Haftar – stiano commettendo «crimini di guerra»: bombardamenti a tappeto su zone residenziali, droni impiegati per colpire obiettivi civili (ospedali compresi), vittime sempre più numerose tra la popolazione.
Amnesty International ha raccolto diversi indizi, pubblicati nel rapporto La guerra senza sosta delle milizie in Libia: i civili danneggiati della battaglia per Tripoli e chiede all’Onu di aprire una commissione d’inchiesta per andare a fondo sulla questione.
L’indagine dell’ong ricostruisce in modo puntuale 33 tra bombardamenti e attacchi d’artiglieria (condotti da entrambe le parti in conflitto, anche se la maggioranza è per mano dell’Esercito nazionale libico) che hanno sterminato intere famiglie tra aprile e agosto 2019. I morti sono almeno 100 e gli sfollati più di 100 mila.
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Guerra in Libia, la situazione sul campo
Da guerra lampo, la campagna di Tripoli del Generale Khalifa Haftar si è trasformata in una guerra civile senza fine. Cominciata il 4 aprile, è stata pompata sui social network come la liberazione del Paese da corruzione e terrorismo. La campagna mediatica doveva spianare la strada all’ascesa del leader a nuovo unificatore della Libia, un redivivo Gheddafi (sono passati otto anni dalla destituzione e uccisione dell’ex rais).
Invece la realtà sul campo di battaglia è molto più complessa. Per quanto il Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al-Serraj sia sempre più debole in casa propria, intorno ai due schieramenti in conflitto si è scatenata una vera e propria guerra per procura. In Europa si tende a leggerla come interessi italiani contro interessi francesi.
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Ma il quadro è molto più vasto: tra gli attori che partecipano indirettamente al conflitto c’è la Turchia, principale alleato del Governo di Serraj, mentre sull’altro fronte ci sono Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto. Oltre alla Russia, che in Libia ha anche disposto un battaglione di mercenari, il Wagner Group, che ha partecipato anche al conflitto in Crimea e che soprattutto è ritenuto essere espressione diretta del Cremlino.
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Guerra in Libia oggi: da dove vengono le armi
Fin dai tempi di Gheddafi la Libia è una polveriera: un enorme deposito di armamenti a cielo aperto. Il leader libico era ossessionato dalle forniture militari e con la caduta del regime le armi stoccate nei vari depositi del rais sono finite nelle mani di gruppi armati di stanza in Sudan, Mali, Algeria, Sud Sudan, Chad. È stato l’innesco che ha prodotto instabilità e formazione di nuovi gruppi armati in tutta la regione.
Ora, però, non bastano più i vecchi armamenti. Le potenze straniere con interessi nel conflitto stanno dotando i rispettivi alleati di droni e missili. La battaglia da terra si è spostata principalmente in cielo. Seppur dal 2011 sia in vigore un totale embargo all’ingresso di nuove armi:
«La comunità internazionale deve mantenere e rafforzare l’embargo che Turchia, Emirati Arabi Uniti, Giordania e altri paesi hanno clamorosamente violato», dichiara Brian Castner, Senior Crisis Advisor di Amnesty.
Gli attacchi con i droni nella guerra in Libia
Secondo lo Special representative dell’Onu in Libia, Ghassan Salamé, ci sarebbero state almeno 900 azioni condotte da droni da aprile a inizio ottobre. Alcune delle quali non per ricognizioni, ma offensive.
Una di queste, riporta il report di Amnesty International, è avvenuta il 27 luglio 2019. Le vittime sono i due medici Aws Nusrat e Fathi Belqaid e i tre ambulanzieri Mu’adh Nusrat, Mohammed Salah e Ibrahim ben Salah. Si trovavano in una veranda di una delle case accanto all’aeroporto internazionale a sud di Tripoli, ormai in disuso da tempo. La zona viene chiamata “Ambasciata americana” perché tra il 2013 e il 2014 è stato effettivamente il compound della missione diplomatica statunitense. Oggi è un ospedale da campo improvvisato.
«Gli investigatori di Amnesty – prosegue il report – hanno trovato frammenti del missile teleguidato cinese Blue Arrow 7 nel cratere del sito dell’attacco». Quel missile in Libia può solo essere sparato dal drone cinese Wing Loong, «che gli Emirati operano per conto dell’Enl».
Un testimone, il dottor Haytham, racconta:
«Ho visto un drone nel cielo prima del bombardamento ma non pensavo attaccasse. Invece l’ha fatto. Saranno state circa le otto di sera. Dopo l’attacco, abbiamo trasportato velocemente i feriti in ospedale ad Abu Salim e poi siamo tornati indietro a raccogliere i resti dei cadaveri».
«Non è nuovo questo genere di droni in Libia – spiega a Osservatorio Diritti Matthew Herbert, ricercatore della Global Initiative Against Transnational Organized Crime che per l’Institute for Security Studies ha scritto un’analisi sulla presenza di armamenti ad alta tecnologia nel conflitto – si sono visti già nella battaglia di Derna. Ci sono diversi report con prove molto credibili che lo riportano».
La battaglia di Derna si è conclusa nel giugno 2018 con la vittoria di Haftar sulla Shura dei Mujahideen, coalizione locale di milizie filo-islamiste che a loro volta nel 2016 avevano sconfitto lo Stato Islamico. La Turchia, invece, fornisce con i suoi droni diverse basi che si trovano nell’ovest della Libia, la zona in cui il Gna ha ancora maggiore controllo, spiega Hebert.
Bombe sui migranti, colpi d’artiglieria sui centri abitati
Nei mesi estivi la campagna militare non ha risparmiato nemmeno i centri di detenzione per migranti. È il 2 luglio del 2019 quando viene colpita la struttura di Tajoura, nella periferia est di Tripoli, una delle prigioni ufficialmente riconosciuta dal Direttorato per la lotta all’immigrazione irregolare (Dcim) di Tripoli.
Nella stessa struttura si trovano anche forze di sicurezza libiche e i loro depositi di armi. Una delle strutture già a maggio era stata bombardata, forse proprio con l’intento di colpire il luogo di stoccaggio delle armi. La ong riporta però che non risultano esplosioni secondarie, nonostante l’enorme numero di armamenti che si presume fosse lì nascosto. Agli investigatori di Amnesty è stato impedito avvicinarsi al centro di Tajoura e al magazzino in cui a maggio c’è stata l’altro attacco al compound.
L’indagine di Amnesty non si limita a mappare i bombardamenti dell’Esercito di Khalifa Haftar. Perché in questa guerra anche le milizie alleate di Serraj, governo sostenuto dalle Nazioni Unite, hanno ugualmente colpito senza criterio degli insediamenti civili. Come quello di Qasr Bin Ghashir, bersaglio dell’artiglieria del Gna il 14 maggio 2019. Due missili hanno danneggiato un’abitazione a tre piani, provocando il decesso di almeno cinque persone.
Se nel caso del centro di detenzione si può pensare che il vero obiettivo fosse il magazzino con armi e mezzi militari, per i colpi sparati su Qasr Bin Ghashir è più difficile darsi una spiegazione. I resti dei missili secondo Amnesty non sono compatibili con gli armamenti che di norma vengono usati in contesti urbani. A questo si aggiunge che il fronte più vicino si trova a due chilometri e non c’erano obiettivi militari nei pressi.