Difensori dei diritti umani: l’Unione europea non li difende come dovrebbe

Sono ancora troppe le disparità di trattamento applicate dall'Ue nella protezione dei difensori dei diritti umani. Lo denuncia un recente studio di Amnesty International, che analizza la situazione in Burundi, Honduras, Russia, Arabia Saudita e Cina

Oltre a rischiare la vita, i difensori dei diritti umani si trovano a essere discriminati, quasi ci fossero – a seconda del Paese – difensori di serie A e difensori di serie B. Persone che in molti casi sono sotto attacco nel mondo. Parliamo di attivisti, giornalisti, avvocati, operatori sanitari, educatori che si occupano di tutelare i diritti umani e che spesso sono minacciati o vittime di violenza.

A dirlo è un recente rapporto di Amnesty International dal titolo “Defending defenders?”, in cui il movimento fa il punto su come si comporta l’Unione europea con i difensori dei diritti umani in cinque paesi: Arabia Saudita, Burundi, Cina, Honduras e Russia.

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La mappa dei Paesi analizzati nel report di Amnesty Internationl

Le incongruenze Ue nella protezione dei difensori dei diritti umani

I Paesi analizzati non sono stati scelti a caso, visto che si tratta di zone in cui i diritti umani sono costantemente calpestati e in cui, come Amnesty fa notare, ci sono disparità di “trattamento” e considerazione da parte della Ue. Paesi che sono stati selezionati per la loro diversità geografica, le loro diverse relazioni con l’Europa e, soprattutto, le gravi sfide affrontate dai difensori dei diritti umani.

La relazione offre una panoramica dell’azione dell’Europa concentrandosi in particolare sulla diplomazia a porte chiuse, sull’azione pubblica, il monitoraggio dei processi, l’impegno con i responsabili delle risorse umane, il finanziamento, la formazione e il rafforzamento delle capacità, il trasferimento e supporto per i visti e l’impegno nelle sedi regionali e internazionali.

«Le nostre ricerche mostrano una serie di incongruenze nell’applicazione delle politiche dell’Unione europea per la protezione dei difensori dei diritti umani», afferma Eve Geddie, direttrice dell’Ufficio di Amnesty International presso le Istituzioni europee.

«Ad esempio, l’Unione europea prende spesso posizione in favore dei difensori dei diritti umani in Cina, mentre il suo silenzio è pressoché totale quando si tratta dell’Arabia Saudita, nonostante la grave repressione in atto contro il dissenso: mantenere buone relazioni col regno saudita è evidentemente più importante che prendere la parola sulle violazioni dei diritti umani».

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Unione europea e diritti umani: l’esame di Amnesty

Il report si occupa del periodo che va dal gennaio 2014 all’aprile 2019. Un periodo in cui Amnesty ha verificato quanto siano state rispettate le linee guida della stessa Ue sui diritti umani e quanto siano stati attuati gli orientamenti previsti per prendere una posizione contro chi non rispetta l’operato dei difensori.

In particolare, è stato esaminato come Unione europea nel suo complesso e i singoli Stati membri abbiano agito praticamente e politicamente per: proteggere i singoli difensori dei diritti umani e promuovere il loro operato; coinvolgere i governi e le altre principali parti interessate nell’ambiente di lavoro dei difensori dei diritti umani e in generale nella società civile.

Il report evidenzia significative differenze nel modo in cui l’Unione europea e i suoi Stati membri si comportano nei confronti dei difensori dei diritti umani di questi cinque Paesi.

Diritti umani in Burundi: Ue impreparata nella gestione dei trasferimenti

A partire dal Burundi, Paese in cui i difensori dei diritti umani hanno dovuto affrontare una serie di sfide per le quali non hanno avuto un sostegno continuo da parte della Ue.

L’Europa, per esempio, non è stata in grado di gestire tutte le richieste di trasferimento da parte dei difensori umani che si sentivano a rischio per la loro incolumità perché non era preparata dal punto di vista delle risorse umane e finanziarie.

Inoltre, la scarsa conoscenza dei difensori dei diritti umani, insieme a un’inesistente rete di delegati, non le hanno permesso di prendere decisioni in modo tempestivo.

Eppure, anche se la maggior parte dei difensori dei diritti umani del Burundi sono in carcere o in esilio, l’Ue è comunque riuscita in questi anni a mettere in atto alcune buone pratiche. Tra queste, per esempio, le dichiarazioni e le azioni contro la detenzione o gli attacchi ai difensori dei diritti, in particolare Pierre Claver Mbonimpa e Germain Rukuki, e l’essersi impegnata maggiormente nelle sedi internazionali per i diritti umani man mano che la situazione in Burundi peggiorava.

Questo evidenzia che, quando ci sono, gli interventi della Ue possono fare la differenza, ma al contempo che spesso manca un approccio strategico che compromette di fatto la sua azione.

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Burundi, donna con bambino a Mirombero. UN Photo/Mario Rizzolio

Unione europea e diritti umani in Russia: determinante l’impegno per Titiev e Cherevatenko

In Russia l’impegno si è rafforzato negli anni e, in particolare nel 2017 e nel 2018, sono stati molti gli sforzi per rafforzare le capacità della società civile russa e dei difensori dei diritti umani. Oltre a dare maggiore assistenza finanziaria e a supportare pubblicamente gli attivisti.

«In due casi emblematici, l’azione ad alto livello, coerente e coordinata dell’Unione europea e degli stati membri ha contribuito alla riduzione della condanna per Oyub Titiev e al ritiro delle accuse per Valentina Cherevatenko, entrambi difensori dei diritti umani sotto processo per accuse inesistenti», scrive Amnesty.

Quest’ultima, in particolare, è stata la prima responsabile di una ong a essere stata perseguita penalmente per presunta violazione dei doveri imposti alle Organizzazioni non governative e il ritiro delle accuse è frutto dell’attenzione internazionale che il caso ha avuto.

Diritti umani in Arabia Saudita: quando a contare sono gli interessi economici

Di segno opposto è stato invece il comportamento nei confronti di un difensore dei diritti umani dell’Arabia Saudita, Mohammed al-Otaibi, vittima di rimpatrio forzato dal Qatar pur avendo ottenuto un visto per motivi umanitari dalla Norvegia.

A quanto pare, nei Paesi membri influiscono le relazioni commerciali. L’Unione Europea, del resto, è il principale mercato per l’Arabia e, viceversa, notevoli sono qui le esportazioni di armi provenienti dall’Europa.

 

Sullo sfondo di questi interessi economici, geostrategici ed energetici, nonché dei continui sforzi dell’Ue per istituzionalizzare ulteriormente le sue relazioni con l’Arabia Saudita, le preoccupazioni in materia di diritti umani sembrano essersi pian piano ridotte.

«Con poche eccezioni, l’Ue e i suoi Stati membri non hanno ampiamente reagito alla situazione in cui si trovano i difensori dei diritti umani e hanno sostenuto una politica di diplomazia silenziosa, astenendosi dal rispondere pubblicamente all’arresto, accusa e condanna per i difensori dei diritti umani e non riuscendo ad articolare in modo efficace il loro sostegno e riconoscimento per il loro lavoro», scrive Amnesty.

Il caso di Mohamed al-Otaibi dimostra come un visto in Arabia Saudita può servire a ben poco. Accusato di «formare un’organizzazione senza averne l’autorizzazione», è stato detenuto in Qatar e poi condannato a 14 anni di reclusione.

L’Ue e i suoi Stati membri non sono riusciti, infatti, a integrare il visto norvegese con altre misure di protezione e a dargli un sostegno politico né a denunciare quanto stesse succedendo, e questo nonostante i ripetuti avvertimenti di Amnesty International.

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La Mecca, Arabia Saudita

Unione euroea e diritti umani: in Cina si usa la diplomazia pubblica

Quanto alla Cina, nonostante le complicate relazioni esistenti, nei suoi confronti l’Unione europea usa molto di più la diplomazia pubblica per esprimere preoccupazione sui difensori dei diritti umani che rischiano persecuzioni, arresti arbitrari e torture.

Qui l’Ue deve affrontare situazioni molto delicate che riguardano la mancanza di coerenza tra le sue politiche e quelle degli Stati membri, così come i molti incontri organizzati singolarmente dagli Stati che mettono a dura prova un’azione comune.

«Queste incoerenze minano la credibilità e l’efficacia a livello globale della politica dell’Unione europea sui difensori dei diritti umani.
In un periodo in cui le donne, le persone Lgbti, i nativi e coloro che lavorano in difesa della terra, dei territori e dell’ambiente sono particolarmente a rischio, è più urgente che mai che l’Unione europea agisca a sostegno di coloro che hanno il coraggio di difendere i diritti umani», ha sottolineato Geddie.

Per quanto riguarda tutti e cinque i Paesi analizzati, si può dire che «l’Unione europea e gli stati membri hanno bisogno di un approccio più strategico e chiaro per sostenere e proteggere persone a rischio perché difendono i diritti umani. Un buon inizio sarebbe l’affermazione dei ministri degli Esteri, attraverso le Conclusioni del consiglio dei ministri degli Esteri, del loro impegno a proteggere i difensori dei diritti umani e a promuovere la loro azione», conclude Geddie.

Diritti umani in Honduras: difensori dell’ambiente ancora in pericolo

In Honduras, dove i difensori che si occupano di terra, territorio e ambiente – come denunciato più volte da tutte le organizzazioni che si occupano di difensori dei diritti umani – sono particolarmente presi di mira. Nello stato dell’America Centrale, l’Ue ha una scarsa rappresentanza: insieme alla stessa Unione europea, solo Francia, Germania e Spagna hanno una delegazione nella capitale Tegucicalpa, mentre ci sono uffici di rappresentanza sparsi in altri luoghi del Paese.

Qui le strategie messe in atto dalla Ue non sono dedicate esclusivamente al supporto ai difensori dei diritti umani locali, ma rientrano in un contesto più ampio di attività riguardo ai diritti umani e allo stato di diritto in Honduras. Come per esempio dichiarazioni riguardo a omicidi di difensori dei diritti umani con richieste esplicite di fare giustizia, azioni pubbliche per contrastare la diffamazione e altro ancora.

Tuttavia, sono tante le azioni che, come fa notare Amnesty International, l’Europa può e deve mettere in campo come il condurre azioni di sensibilizzazione nei confronti dei difensori dei diritti umani nelle aree rurali e remote o rivolgersi a gruppi specifici.

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