Ergastolo ostativo, perché discuterne aiuta la lotta alla mafia

La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo solleva polemiche sul rigetto dell'ergastolo ostativo in quanto sarebbe una tortura. Chi ha fatto ricorso in Europa è Marcello Viola, un boss conclamato. Ma la discussione su un regime carcerario migliore aiuta la lotta alla mafia. Oggi fuori dall'agenda politica

La Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) ha bocciato il ricorso presentato dall’Italia contro una precedente sentenza che il 13 giugno aveva rigettato l’ergastolo ostativo, ossia la pena a vita senza sconti previsto dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario (riformato nel 1992) per chi non collabora dopo aver commesso reati di mafia e terrorismo.

Secondo la Cedu, il 4 bis contraddice quanto previsto dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, intitolato “Proibizione della tortura”:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

Ergastolo ostativo: Viola ricorre alla Corte europea

A ricorrere alla Corte europea è stato Marcello Viola, personaggio di indubbio spessore criminale. Nel dispositivo della Cedu si legge che è stato condannato la prima volta nel 1992 (omicidio, con aggravante mafiosa, andato a sentenza definitiva nel 1999), poi nel 1997 con il processo Taurus, in cui veniva individuato come il boss di una delle due fazioni protagoniste della faida di Taurianova, una sanguinosa lotta per il comando sulle cosche di Radicena e Jatrinoli, due delle contrade da cui è nato l’attuale paese della provincia reggina. È una delle più sanguinose guerre di mafia, consumata tra il 1989 e il 1992. Gli ergastoli della sua fedina penale alla fine diventano quattro. Sconta la pena in regime di massima sicurezza, quello previsto dal 41bis, fino al 2005.

Il “boss-chirurgo”, è soprannominato, per avere conseguito tre lauree – prima in biologia e poi in medicina e chirurgia – durante il periodo in cella. Dal 2000 ha cominciato una battaglia legale per farsi riconoscere la cessazione dei contatti con la sua cosca di riferimento, richieste sempre rigettate in Italia perché non ha mai dato prova di effettiva collaborazione con gli organi inquirenti, stando a quanto riportano le sentenze in Cassazione.

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Foto: PIxabay

Ergastolo ostativo in Italia, il 4 bis e la Corte costituzionale

La materia è delicata perché qui deve necessariamente trovare un punto di equilibrio tra diritti diversi e difficilmente conciliabili: quello dei familiari delle vittime, dei sopravvissuti e della società tutta a che sia “servita giustizia”, quello dei carnefici ad essere condannati a una pena proporzionata e alla possibilità di rientrare in società. Il “fine pena mai” questa opzione non la contempla.

A questo si aggiunge la natura particolare dei reati di cui si occupa, cioè quelli associativi: se non c’è collaborazione con lo Stato – prova evidente della fine delle relazioni con le associazioni mafiose e terroristiche, per loro natura eversive – come si evidenzia la fine del vincolo con i criminali? All’opposto, dopo vent’anni di carcere, può un associato essere ancora considerato tale?

I dubbi di costituzionalità sull’articolo 4 bis non li scopre certo Viola: dispositivi della Cassazione hanno già introdotto gli istituti della collaborazione «impossibile», quando i fatti per cui un condannato sta scontando la sua pena sono già stati acclarati, e «inesigibile», che si riscontra quando un affiliato ha avuto un ruolo marginale in un’organizzazione criminale mafiosa, perciò le sue parole non introducono elementi utili all’indagine.

La Cedu, inoltre, cita l’ordinanza 4.474 del dicembre 2018 in cui già la Cassazione sollecitava un parere della Corte costituzionale in merito al 4 bis. Parere che però arriverà il prossimo 22 ottobre.

Marina Silvia Mori e Valentina Alberta su Giurisprudenza penale forniscono una lettura qualificata della sentenza. Prima di tutto ricordando la posizione del Governo: dopo la bocciatura del 13 giugno, l’Italia aveva risposto sottolineando le possibili vie d’uscita dal ergastolo ostativo, con i nuovi istituti introdotti dalla Cassazione, la grazia del presidente della Repubblica e l’interruzione per motivi di salute, sottolineando inoltre come l’inserimento lavorativo – e di conseguenza la riabilitazione sociale – sia possibile anche sotto l’ordinamento previsto dal 4 bis. Argomentazioni riconosciute dalla Corte europea, che però ha fatto un passo in più.

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Le conclusioni della Cedu sull’ergastolo ostativo

«La Corte – scrivono Marina Silvia Mori e Valentina Alberta – parte dal presupposto della gravità del fenomeno mafioso e dalla scelta legislativa di privilegiare le finalità di prevenzione generale e, come prevedibile, segnala come le scelte dello Stato in materia di giustizia penale non siano di competenza della Corte, nemmeno in materia di riesame della pena di modalità di scarcerazione».

L’argomento faceva presupporre che la sentenza avrebbe dato «ampio spazio al margine di apprezzamento statale, di fatto accontentandosi delle generiche rassicurazioni governative».

Invece la Corte arriva ad mettere in discussione di un punto cruciale:

Dubita «dell’opportunità di stabilire un’equivalenza tra la mancanza di collaborazione e la pericolosità sociale del condannato».

Aggiunge che la scelta di non collaborare «possa dipendere dal timore di mettere a repentaglio la propria vita e quella dei propri congiunti: di conseguenza la mancanza di collaborazione non deriverebbe sempre da una scelta libera e volontaria di adesione ai valori criminali e di mantenimento di legami con l’organizzazione di appartenenza, come già affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 306/1993».

Nel caso dell’ergastolo ostativo l’ordinamento della Repubblica italiana viene prima dell’Europa

Sono delle novità importanti sul piano della giurisprudenza, ma non vincolanti. Possono essere ignorate dai giudici italiani, come ricordano le due autrici nelle conclusioni: l’ordinamento nazionale in questo caso è primario rispetto all’Europa.

Di conseguenza lasciano aperta ogni valutazione sul possibile impatto concreto di tale decisione sulla reale condizione degli ostativi, Viola compreso. Certo, sono un precedente che peserà in particolare sul verdetto della Corte costituzionale del 22 ottobre.

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Foto: Sebastião Ferreira da Costa (vial Flickr)

Cos’è l’ergastolo ostativo e a cosa porterà: il dibattito

La sentenza ha provocato un’immediata reazione, sproporzionata ed emotiva, perché riguarda un pluriomicida a capo di un clan mafioso. C’è chi la considera un oltraggio alla memoria dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che hanno introdotto le misure speciali antimafia; c’è chi la considera l’ennesima prova di come il fenomeno mafioso non sia compreso all’estero; chi immagina come conseguenza la fine del 41bis (il carcere duro per i boss mafiosi) e capi mafia di nuovo liberi per le città.

Reazioni che però non sembrano prendere troppo in considerazione il tema vero della sentenza: la natura riabilitativa del carcere. L’impianto costruito nel 1992 per punire i mafiosi, dopo anni che il fenomeno era stato ostinatamente negato dalle istituzioni, era particolarmente valido in quel periodo storico.

Rivalutarlo e riammodenarlo, anche in chiave meno punitiva, non significa calpestare la memoria dei magistrati antimafia, né necessariamente fare un favore ai boss. Significa affrontare il fatto che la lotta alla mafia ha compiuto 27 anni e forse merita di essere rivista.

Forse allora era più forte l’ideologia contro lo Stato come motivazione che spingeva ad associarsi (dentro e fuori dalle istituzioni), mentre oggi c’è più che altro l’idea di una convenienza economica e sociale (si parla meno di morti ammazzati per mafia, fa meno paura).

Forse il disegno delle mafie, i loro obiettivi ultimi, non sono più quelli della Trattativa Stato-mafia che ha portato alle stragi del 1992 (una delle pagine più oscure della storia d’Italia). Forse riguarda il mondo intero e non solo un cambio di legislazione in Italia. Solo per fare qualche ipotesi.

Queste riflessioni mettono in discussione alcuni grandi risultati raggiunti e si muovono in un territorio sconosciuto. Però partono da un assunto fondamentale, che è a cuore anche a tutti i magistrati che si sono preoccupati dopo l’uscita della sentenza: rendere più efficace (e quindi anche più “giusta”) la lotta alla mafia.

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Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Ergastolo ostativo e associazione mafiosa

Merita un’altra riflessione il tema dell’associazione mafiosa. L’articolo del codice penale che lo individua è preziosissimo (anche se nessuno se ne accorge nel mondo), perché individua la natura eversiva di un tipo specifico di associazioni, quelle mafiose. Ciò che rende i mafiosi tali è la loro adesione a un’organizzazione che vuole sostituire lo Stato, che lo combatte, che si vuole sostituire, imponendosi con la forza e soggiogando le popolazioni sotto il suo controllo. È questo che li rende speciali e per questo il solo associarsi costituisce reato.

Il vincolo di fedeltà che si instaura è talmente forte che la collaborazione, soprattutto di boss di un certo rilievo, è un evento raro, come sappiamo. È certo, come sostengono alcuni, che non ci saranno più collaboratori con un regime più morbido? Difficile sostenerlo, viste le difficoltà che ci sono anche oggi.

Se questa fosse la priorità, invece che rafforzare il regime carcerario e basta, andrebbero studiati a fondo i motivi per il quale ci si associa e ci si dissocia da un’organizzazione criminale. C’è chi lo fa, come la scuola di studiosi che segue le orme di Girolamo Lo Verso (come Antonino Giorgi a Brescia), ma il loro lavoro non è valorizzato a sufficienza.

Se ci fosse interesse per la mafia al di fuori del simbolo, per le mafie oggi, sarebbe un argomento di dibattito pubblico. Se ne parlerebbe sui giornali, se ne discuterebbe nei palazzi della politica. Invece non si fa. Si riconoscerebbe, così, il declino inesorabile di Cosa Nostra, si studierebbe meglio la natura transnazionale ed economica della ‘ndrangheta, ci si domanderebbe di più perché le mafie invece che trattare con lo Stato centrale come 30 anni fa, oggi siedono in piccoli consigli comunali con politici che spesso sono direttamente organici alla famiglia. Per quanto un fenomeno centenario, la mafia non è immutabile.

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