Canada: l’oleodotto Trans Mountain minaccia i popoli indigeni

Il progetto di espansione dell'oleodotto Trans Mountain entra nella campagna elettorale in Canada, dove si voterà il 21 ottobre. Un'opera controversa per i rischi ambientali e i potenziali danni ai popoli indigeni che si porta dietro. E così il governo di Justin Trudeau deve affrontare le contestazioni di alcuni popoli nativi

Il prossimo 21 ottobre i canadesi sono chiamati alle urne per le elezioni federali. Il Governo del liberale Justin Trudeau si avvicina a questo appuntamento con una spina nel fianco: il controverso progetto di espansione dell’oleodotto Trans Mountain (Tmx), che avrà come effetto un significativo impatto ambientale e rischia di minacciare i diritti di parte delle popolazioni native i cui territori sono direttamente coinvolti dal percorso dell’oleodotto.

Un progetto da 1 milione di barili di petrolio al giorno

Il progetto prevede un’espansione dell’infrastruttura esistente, in funzione dal 1953, per un costo di circa 9 miliardi di dollari canadesi (circa 6,23 miliardi di euro), per trasportare quasi un milione di barili di petrolio al giorno dallo Stato dell’Alberta alle coste della Columbia britannica (Canada occidentale).

Il Tmx rappresenta un punto-chiave della politica di Trudeau: lo scorso anno il Governo ha accettato di acquisire il progetto di espansione per 4,5 miliardi di dollari canadesi dalla sezione canadese della statunitense Kinder Morgan Energy Partners.

Il popolo indigeni Secwepemc denuncia il rischio di colonizzazione e genocidio culturale

L’oleodotto passa attraverso il territorio tradizionale dei Secwepemc, nella Columbia britannica. La Prima Nazione – ha dichiarato nel 2018 l’assemblea dei Secwepemc – si oppone al progetto e rifiuta in modo categorico di dare il suo consenso, perché metterebbe in pericolo le sue terre violando un villaggio ancestrale che i Secwepemc intendono riportare in vita.

Se Trudeau permettesse la realizzazione del progetto, si legge nella dichiarazione dell’assemblea, «renderebbe colonizzazione continua e genocidio culturale parte della sua eredità della cosiddetta riconciliazione».

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Justin Trudeau, primo ministro canadese – Foto: 2017 Canada Summer Games (via Wikimedia)

Prima vittoria e nuova sconfitta per i nativi del Canada

Nell’estate del 2018 i nativi hanno ottenuto una prima vittoria: la Corte d’appello federale ha imposto lo stop alla realizzazione della struttura perché il Governo non avrebbe debitamente consultato i popoli autoctoni – che dovrebbero esprimere il loro parere e dare il loro esplicito consenso a qualunque progetto che interessi le loro terre – e aveva richiamato il National Energy Board (l’agenzia creata dal Governo per supervisionare le questioni energetiche) a valutare l’impatto dell’infrastruttura sull’ambiente.

Lo scorso giugno, tuttavia, le cose sono cambiate: il Governo Trudeau ha di nuovo approvato il progetto Tmx, ribadendo con forza che si tratta di un interesse nazionale cruciale che porterà sostegno all’economia nazionale e creazione di nuovi posti di lavoro.

Secondo le intenzioni del primo ministro, i lavori di espansione dovrebbero cominciare entro la fine del 2019.

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Popoli indigeni canadesi: scontri su oleodotti e gasdotti

Tuttavia la questione resta molto dibattuta. E le Prime Nazioni stesse, ossia le popolazioni autoctone in Canada, insieme a Métis e Inuit, si sono divise. Molti gruppi indigeni, che vivono tra Columbia britannica e Alberta, hanno firmato accordi con la Trans Mountain. E varie comunità hanno intenzione di acquistare parte del progetto per usufruire dei benefici economici.

Da sempre la costruzione di gasdotti e oleodotti rappresenta un motivo di dissidio e scontro fra i popoli nativi e il Governo di Ottawa, con risvolti anche violenti. La Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni adottata dalle Nazioni Unite nel 2007 (recepita dal Canada tre anni dopo, a novembre del 2010), pur non avendo valore di legge, stabilisce con chiarezza, in vari articoli, il principio del libero, previo e informato consenso da parte dei nativi a qualunque progetto o iniziativa che influisca sui territori a loro riconosciuti, sulle loro risorse, sulla loro cultura e sul loro stile di vita.

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Abitazione di un popolo nativo – Foto: Pixabay

Distanze geografiche: il caso degli Inuit del Canada

«In Canada tutti i problemi sono legati al territorio. Che rappresenta il principale motivo di contrasto fra indigeni e canadesi non autoctoni», commentano Sara Petrella e Aldo Trucchio, lei storica dell’arte e ricercatrice dell’Università di Berna, lui ricercatore dell’Università di Ginevra con studi in Filosofia politica e Lingua e Letteratura francese, entrambi residenti attualmente a Montréal, dove stanno conducendo studi sul concetto di subalternità e sulla formazione degli stereotipi riguardanti gli autoctoni in Québec.

«Lo dimostrano le questioni dei gasdotti e degli oleodotti che passano per le terre indiane. Ma anche le gigantesche distanze geografiche che finiscono per influire in modo negativo sul reale sviluppo dei diritti degli autoctoni. Gli Inuit, popolazione nativa del Québec, anglofona, sono molto marginalizzati, vivono in un territorio lontanissimo, agli estremi confini dello Stato, in una regione ostile, nella quale tutto è molto costoso, a partire dai trasporti. Durante l’estate tanti Inuit arrivano a Montréal per lavorare e guadagnare qualcosa, ma poi a causa dei costi troppo elevati dei trasporti, non riescono più a tornare indietro, a casa loro, e finiscono “intrappolati” nel grande centro urbano. Lo Stato non dà sovvenzioni per i trasporti. Così, durante l’inverno, in città si vedono gruppi di Inuit che vagano senza lavoro e senza dimora, spesso con problemi di alcolismo».

Troppi stereotipi sui popoli indigeni in Canada

Ancora oggi, in Canada, gli indiani sono vittime di discriminazione e pregiudizi: «Vengono tacciati di essere grassi, nullafacenti, ubriaconi. L’alcolismo è diventato un luogo comune: è vero che è diffuso, ma si tratta di un problema sistemico, che spesso viene usato per giustificare – e non cambiare – la situazione di marginalità degli indiani. Gli stereotipi razzisti di origine coloniale riguardano tutte le Prime Nazioni e appiattiscono le diversità culturali tra comunità che sono molto diverse tra loro».

Gli europei hanno portato qui e applicato agli autoctoni immagini precostituite che si sono cristallizzate nei secoli. «Stereotipi come la danza della pioggia, la danza dell’orso, le piume sulla testa (di cui non si ha prova storica prima del XVIII secolo), l’uso delle asce, delle clave e dei bastoni da guerra, il cannibalismo e i sacrifici umani, la consuetudine di prendere lo scalpo ai nemici».

Un preconcetto molto forte e radicato fra la gente comune, spiegano i due ricercatori, è l’ indian time, il tempo indiano, ovvero la tendenza ad arrivare in ritardo, a non essere puntuali: «Una scusa, in fondo, per escludere i nativi dal mercato del lavoro e dall’economia. Anche il Canada, in fondo, è un Paese attraversato da grande ipocrisia».

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Foto: Pixabay

Trudeau e la riconciliazione con Inuit, Métis e Prime Nazioni

In questi anni  il premier Trudeau si è impegnato in favore del riconoscimento dei diritti dei popoli nativi e del loro sviluppo. A settembre del 2015, nel suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu, Trudeau ha chiesto scusa agli indiani, affermando la volontà del Canada di lavorare per la riconciliazione con Inuit, Métis e Prime Nazioni. Ha riconosciuto l’esclusione e l’emarginazione di cui i nativi sono stati vittime nelle terre di cui erano i primi abitanti, parlando apertamente di “umiliazione, negligenza e abuso”.

In occasione della scorsa Giornata internazionale dei popoli indigeni nel mondo, il 9 agosto, ha lanciato un messaggio al Paese esortando i canadesi ad «apprendere di più delle culture e delle lingue dei gruppi nativi». Ha inoltre ricordato come il Governo abbia avviato iniziative per colmare il divario che separa le comunità native dal resto del Paese nella condizione abitativa, nella salute, nell’istruzione.

La Commissione su femminicidio e genocidio verso i popoli indigeni del Canada

Lo scorso giugno è stato presentato a Trudeau il rapporto finale della Commissione d’inchiesta nazionale chiamata a indagare il dramma del femminicidio etnico, ovvero le migliaia di donne e ragazze indigene delle riserve scomparse e assassinate nel corso degli ultimi decenni. Il rapporto parla chiaramente di genocidio.

«Durante l’estate se ne è parlato tanto: da un lato Trudeau ha riconosciuto il genocidio delle donne native, nello stesso tempo ha approvato l’espansione dell’oleodotto che passa per le terre indigene. E’ il grande paradosso della politica qui». Luci e ombre di un Governo e di un Paese. Gli indigeni continuano a rappresentare la fascia più debole e discriminata, ai margini della società, anche nel multiculturale e tollerante Paese del Nord America.

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