Accordo migranti: a Malta si avanza su redistribuzione, ma resta il nodo Libia

I ministri dell'Interno di Italia, Malta, Francia, Germania e Finlandia, riuniti a La Valletta, hanno messo le basi per un sistema di redistribuzione automatica dei migranti in Europa. Un passo avanti, ma su base volontaria. E manca ancora l'ok del resto dell'Ue. Intanto nessuno mette in discussione l'accordo con la Libia

C’è ottimismo dopo il mini-vertice di Malta durante il quale si sono incontrati il 23 settembre i cinque ministri dell’Interno di Francia, Italia, Malta, Finlandia e Germania con l’intenzione di scrivere un nuovo capitolo nelle politiche europee sull’immigrazione. È il terzo vertice a materia di immigrazione che si tiene sull’isola dal 2015.

Accordo migranti: la redistribuzione nella bozza per l’Ue

Quattro dei Paesi partecipanti – la Finlandia presidente di turno dell’Unione europea presenterà l’Intesa – hanno annunciato di aver raggiunto una bozza di accordo che porterebbe per la prima volta a una redistribuzione automatica dei migranti. Il condizionale è d’obbligo perché l’adesione al meccanismo è su base volontaria.

La dichiarazione d’intenti dovrà passare il vaglio di 23 ministri dell’Interno dell’Unione europea a ottobre, durante il meeting che si terrà a Lussemburgo. Solo allora si capirà quanti intendono aderire al progetto messo in campo da Italia, Malta, Francia e Germania.

Sul piano dei diritti umani, la notizia ha due facce: quella positiva è che i Paesi firmatari riconoscono la necessità di dover condividere maggiormente la gestione degli sbarchi. Quella negativa è che sul piano dei diritti umani, anche nella piena applicazione delle nuove regole, per i migranti non cambia molto: gli accordi con la Libia restano inalterati e, di conseguenza, come accade ormai da oltre un anno, la maggioranza dei migranti sarà intercettata dalle motovedette della Guardia costiera libica per poi essere riportata nelle prigioni libiche.

Il meccanismo previsto dal testo dell’accordo sui migranti in Europa

Il primo punto della bozza di accordo riguarda la redistribuzione automatica dei migranti in un tempo massimo di quattro settimane. Era una richiesta avanzata già nel giugno 2018, a Bruxelles, in un documento non ufficiale redatto dall’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) e dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Le organizzazioni Onu chiedevano alla Commissione di costruire delle disembarkation platform, ossia sistemi per ricollocare i migranti a livello europeo senza dover passare, come accade oggi, da trattative tra Stato e Stato.

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Gruppo di migranti al confine tra Ungheria e Serbia (via Wikimedia)

Rispetto a quella proposta, quella del vertice di Malta è più rinunciataria. Il meccanismo infatti varrà solo per gli sbarchi in Italia e a Malta, approdi della rotta del Mediterraneo centrale. In più varrà solo per i migranti portati a terra da navi delle ong o mezzi militari. In altre parole, l’8% del totale degli arrivi.

Paesi come Grecia e Spagna restano tagliati fuori nonostante quest’anno il flusso migratorio verso i loro confini abbia numeri molto più alti che nel Mediterraneo centrale. Esclusi anche gli sbarchi “spontanei”, in cui un barchino raggiunge terra senza che ci sia un’operazione di salvataggio. In sostanza, quindi, il meccanismo automatico su base volontaria copre una fetta molto bassa degli arrivi verso l’Europa.

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A Malta si cerca di superare il Regolamento di Dublino

Va però sottolineato che il meccanismo rappresenta un superamento di fatto del Regolamento di Dublino, secondo cui spetta al Paese d’arrivo di un richiedente asilo occuparsi della sua accoglienza. È un fatto positivo, perché schioda una discussione ormai a un punto morto. Ma può avere solo una valenza temporanea, fino a quando l’Unione europea non sarà in grado di disegnare la sua nuova legge sull’asilo, magari inserendo l’obbligatorietà dei ricollocamenti (la cosiddetta “politica delle quote”) sulla quale i Paesi dell’area di Visegrad, cioè Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia, hanno sempre espresso la loro contrarietà.

Una delle possibili critiche che riceverà il piano è che – stando alla formulazione attuale – coinvolge non solo persone che otterranno lo status di rifugiato, ma anche migranti economici. È un atto di consapevolezza che il flusso dei migranti è composto da entrambe le categorie – come ormai dimostrato da centri di analisi dei dati sulle migrazioni mondiali – ma fonti diplomatiche interpellate da Politico Europe prevedono discussioni sul punto.

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Foto: Óglaigh na hÉireann (via Flickr)

Porti di sbarco a rotazione

Sempre su base volontaria, l’accordo a quattro prevede che cambino i porti di sbarco dei migranti, con l’obiettivo di evitare l’intasamento di strutture di primissima accoglienza in un singolo Paese. C’è però un problema di applicazione della normativa sui salvataggi in mare – sostiene Annalisa Camilli di Internazionale – secondo cui deve essere il porto «più vicino» quello dove i migranti devono sbarcare dopo un naufragio.

L’operazione di salvataggio, infatti, si conclude, almeno stando alle regole attuali, nel momento in cui i migranti scendono a terra. Il punto è criticato da avvocati che prediligono interpretazioni più restrittive del diritto internazionale. Si vedrà quindi, su questo punto, come evolverà la discussione.

Sul piano politico, l’inserimento di questo punto rappresenta una vittoria soprattutto per l’Italia, Paese che più di altri ha insistito sull’«essere stata lasciata sola dall’Europa» ad accogliere i naufraghi nei suoi porti. Gli analisti leggono il punto come un’apertura al nuovo governo Conte, definito sui giornali internazionali «pro-Ue», a confronto del governo Lega-Cinque Stelle che era definito «di estrema destra».

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Foto: Óglaigh na hÉireann (via Flickr)

Resta il nodo dell’accordo sui migranti tra Italia e Libia

La redistribuzione potrebbe contribuire a rendere l’accoglienza meno frammentaria, però non cambia un fatto: il Mediterraneo centrale ora è una zona presidiata in modo importante dalla Guardia costiera libica, coacervo di milizie legate a clan coinvolti per il predominio della Libia che si è macchiata più volte di crimini contro i migranti. Il tutto a partire dall’accordo siglato a febbraio 2017 dall’allora ministro Marco Minniti con il governo di Tripoli guidato da Fayez al-Serraj.

L’attuale ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha sottolineato come quel memorandum of Understanding con la Libia resterà in piedi. La legittimazione della Sar libica, e quindi della zona di salvataggio sotto la responsabilità di Tripoli, fa sì che oltre il 60% di chi parte dalla Libia venga in realtà intercettato e riportato indietro dalla Guardia costiera libica.

Queste persone restano in un limbo giuridico che ancora non è risolto: da un lato, la Libia non può essere in alcun modo definita «un porto sicuro»; dall’altro, non c’è una chiara indicazione delle norme internazionali su dove debba essere sbarcata una persona. Quindi non si può nemmeno impedire che la Guardia costiera libica, dotata di mezzi e formata da Italia ed Europa, agisca in questo modo.

Tuttavia non è più possibile negare gli abusi che subiscono i respinti. L’ultimo caso risale ad appena qualche giorno fa, il 20 settembre: un migrante sudanese riportato sulla spiaggia di Abu Sitta è stato ucciso da colpi di arma da fuoco sparati – dice un comunicato dell’Oim – «da uomini armati». Il migrante stava cercando di fuggire per evitare di essere rinchiuso nuovamente in un centro di detenzione.

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